Adriano - racconti e altro

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Poteva solo andare peggio

Era una brutta giornata e poteva solo andare peggio. Egisto Caproni ne ebbe la conferma quando il monopattino si stagliò contro l’orizzonte urbano che, ok, non era poi così poetico da meritarsi l’uso di parole come “orizzonte” o “stagliarsi”, e forse neppure “urbano”, ma al momento lui si trovava in quel particolare stato d’animo in cui, se possiedi una certa predisposizione, vocaboli simili sgorgano come rutti dallo stomaco in disordine della tua mente. Egisto possedeva una certa predisposizione e il resto è inevitabile: quando la parola arriva, tu apri la bocca e lasci uscire tutto. Anche se è solo sul piano metaforico e in un monologo mentale.

Non è rilevante. Il punto è che Egisto vide il monopattino in arrivo ed ebbe la conferma che era una pessima giornata, in via di peggioramento. Non poteva essere altrimenti, capite. L’estate era finita e il caldo no, non del tutto. Le mosche gli ronzavano attorno alla testa come se fosse, beh, sappiamo a cosa amano ronzare attorno le mosche. Una consegna che sarebbe dovuta arrivare due giorni prima non si era ancora fatta vedere, per misteriosi contrattempi alla frontiera. Aveva anche finito il latte e si era dimenticato di comprarlo quella mattina. Adesso era pomeriggio e stava andando a rimediare, con tanta voglia di lasciarsi alle spalle quella giornata. Solo che stava peggiorando, come si diceva.

Il monopattino. Egisto Caproni li detestava cordialmente. Erano stupidi. I loro conducenti erano più stupidi ancora, almeno secondo il suo modesto parere. E non solo: infestavano il marciapiede. Non tutti, d’accordo, e non sempre, ma alcuni sì e tanto bastava per detestarli tutti. Come i ciclisti, del resto, che più il marciapiede è stretto e più lo infestano. Ma i ciclisti sono il cancro della società e lo sanno tutti, secondo il modestissimo parere di Egisto. I tizi in monopattino, però, erano candidati perfetti per insidiare quel primato negativo. Un primato da primati, di nuovo secondo il modesto e morigerato parere del nostro Egisto. Era una persona molto aperta e comprensiva, capite.

Dicevamo del monopattino. Era in arrivo, era sul marciapiede, era veloce, era guidato (per un valore molto aleatorio di guidare) da un tizio imbavagliato che impugnava uno smartphone e insomma era la quintessenza del ritardo mentale, secondo il sobrio parere di Egisto Caproni. Ti bastava vederlo e la tua giornata peggiorava per osmosi. O forse non per osmosi, d’accordo, ma era una parola che Egisto amava tanto e la usava il più possibile, anche a sproposito. Non che facesse alcuna differenza concreta, sia chiaro: la maggior parte dei suoi discorsi erano monologhi interiori, si svolgevano (o forse si dipanavano) nel privato della sua testa, dove nessuno li poteva ascoltare, quindi grammatica e vocabolario erano a discrezione sua, ecco. Non aveva molti amici, per qualche strana ragione.

Ma il monopattino era in arrivo ed Egisto lo detestava. A pelle. E anche Apelle, figlio di Apollo, che aveva tormentato la sua infanzia con quella specie di filastrocca stupida che, ok, non ha importanza, ma Egisto se l’era appena ricordata e la sua giornata era peggiorata ulteriormente. Perché lo spazio non manca mai, verso il basso. Se poi guardava in avanti, dove c’era il monopattino in arrivo, anche lo zero assoluto diventava un numero insignificante, arbitrario, da nulla. Perché il tizio imbavagliato alla guida del monopattino si stava facendo un selfie, in apparenza. O era una videochiamata? Non importa. Qualcosa di stupido con lo smartphone, invece di guardare la strada. O tempora, o mores!

Egisto Caproni era già all’estrema destra del marciapiede, a un passo dalla specie di aiuola stitica e moribonda che lo separava dalla strada e che, di tanto in tanto, ospitava pure lampioni ridicoli, vari segnali stradali e pochi alberi rachitici. Il monopattino continuava a puntarlo. Era in chiara rotta di collisione con lui. Se n’era accorto quel decerebrato che vi stava appollaiato sopra? A giudicare dal suo sguardo glassato, cadaverico, probabilmente no. E adesso?

Egisto sospirò dentro. Era lì sul marciapiede, tranquillo, che se ne stava andando a prendere il latte, benché non mandato dalla mamma, e un monopattino minacciava di travolgerlo. Era brutto. Ancora più brutto era il fatto che non sarebbe stato travolto soltanto dal veicolo, gesto dignitoso come farsi travolgere da un Apecar scalcagnato, ma lo avrebbe travolto anche il ramapiteco alla guida. Un tizio imbavagliato, con lo sguardo di cadavere, impegnato a farsi un selfie o a videochiamare con un altro celenterato suo pari. Orribile! Essere colto da un attacco di diarrea esplosiva durante la discussione della tesi di laurea sarebbe stato molto meno imbarazzante. Non che a Egisto fosse mai successo, sia chiaro, ma se gli fosse successo, per assurdo, lo avrebbe trovato meno imbarazzante. Ecco.