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Erinni
Era primo pomeriggio, era nebbioso e Mario Oresti era finito di nuovo davanti alla chiesa. La stessa chiesa. Maledetta, anche? Forse no, non in senso stretto, ma dal suo punto di vista lo poteva essere, a grandi linee. Non era la parte peggiore della giornata, ma questo non migliorava le cose. Pure, non lo avevano ancora raggiunto, giusto?
Si guardò attorno. No, ancora non si vedevano. Ma le sentiva, questo sì. Le sentiva nella testa. Voci, strida: potevano essersi smarrite per un poco, ma erano là ed erano a caccia di lui. Perché?
Domanda inutile. Non aveva risposta e non aveva neppure idea di dove lui si trovasse adesso. Solo che c’era la chiesa lì davanti. Era fuggito alla cieca per la città, che era solo un paese con qualche pretesa di grandezza, ed era finito di nuovo davanti alla solita chiesa. Continuava a finirci.
Sapeva di avere fatto una strada diversa stavolta, anche se non sapeva bene quale strada, eppure era di nuovo lì e la chiesa lo fissava di nuovo con la sua facciata scialba, il portoncino chiuso e le poche finestrelle buie, che forse avevano un nome specifico in architettura ma lui non lo conosceva, né gli interessava conoscerlo. Aveva altri problemi, al momento. E la chiesa lo derideva. Mario lo poteva sentire. La chiesetta la fissava e lo derideva.
Era in trasferta per lavoro, aveva mancato l’appuntamento del mattino e stava andando tutto male. E non aveva senso, che era la parte peggiore. Nulla di ciò che gli stava accadendo aveva senso, ma gli accadeva lo stesso. Perché? Solita domanda, che continuava a spuntare e non trovava mai risposte. Proprio come continuavano a spuntare loro, che invece trovavano sempre quanto stavano cercando. Ossia lui, la loro preda predestinata.
Erano le erinni.
Ok, probabilmente non lo erano davvero, non quelle erinni, ma ci assomigliavano e svolgevano più o meno lo stesso lavoro, per cui le potevi anche chiamare così, giusto? A Mario Oresti lo sembrava. Non giusto in senso assoluto, ovvio. Non poteva essere giusto che ce l’avessero proprio con lui, che non aveva mai fatto del male a nessuno, ma era giusto in senso corretto, no? Come ragionamento. Se ci sono donne mostruose che ti svolazzano attorno alla testa, strillano come indemoniate, hanno fruste e altra roba strana, sono chiaramente erinni, soprattutto se le puoi vedere e sentire solo tu.
Perché il problema era quello. Le vedeva e le sentiva solo lui.
Era cominciato tutto in albergo, un buco vergognoso che dichiarava di avere tre stelle, ma Mario lo valutava da una al massimo, e pure spenta. Riscaldamento scadente, aria condizionata scadente, e il bagno era stretto, gli asciugamani in dotazione sembravano carta vetrata, la moquette era ruvida e il materasso troppo rigido per i suoi gusti. Un buco, appunto, ma era quello che gli aveva assegnato il direttore, quel pidocchio maledetto. Mario Oresti ci stava dormendo male, con poca voglia di andar incontro a una colazione senza dubbio scadente, quando uno strepito lo aveva svegliato in parte.
La stanza accanto, si era detto. In un buco simile, minimo minimo hai una coppia di drogati in crisi di astinenza come vicini. Poi qualcosa lo aveva frustato sulla schiena e a quel punto Mario Oresti si era dovuto lasciare del tutto alle spalle il mondo dei sogni, perché gli aveva fatto male.
Si era svegliato, si era rigirato sulla schiena ferita con tutta la plasticità di un coleottero ribaltato e le sue palpebre si erano dischiuse controvoglia e contro la cispa che le tratteneva. E le aveva viste per la prima volta. Non aveva urlato, ma solo perché il suo cervello era lento a metabolizzare.
Erano donne, grossomodo. Erano tre. Avevano cose nei capelli che si muovevano, o forse non erano cose che si muovevano, ma capelli che si muovevano, vallo a capire appena sveglio. Il punto è che c’era movimento attorno alle loro teste e non era normale che ci fosse. D’accordo, Mario Oresti non aveva una esperienza diretta così vasta nel settore “donne”, soprattutto se limitato a quelle che puoi trovarti in camera di prima mattina in un alberghetto durante un viaggio tutto spesato, ma era quasi sicuro che i loro capelli non si dovrebbero contorcere così. Per non parlare del resto.
Le fruste ok, le poteva capire. Non rientravano tra i suoi interessi, ma un collega del reparto vendite gli aveva parlato con entusiasmo di certi giochetti che potevi ottenere con un piccolo sovrapprezzo, per cui poteva accettare che quelle tizie le avessero. Era tutto il resto che non poteva accettare. Tipo che fossero nella sua stanza di primo mattino, senza il suo permesso. Non era il problema più grave, ma era l’unico che in quel particolare momento si sentisse psicologicamente pronto ad affrontare.
«Che cosa ci...» aveva cominciato a bofonchiare, prima di ricevere una nuova scarica di frustate e di raggomitolarsi come un verme sotto le lenzuola. Ah, forse discutere non era la scelta giusta.