Adriano - racconti e altro

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Sogni ricorrenti

Quando l’assistente domestico lo svegliò con la sua voce artificialmente femminile, Manuel Ravioli ne fu quasi contento. In parte. In parte ne fu invece infastidito, come gli capitava sempre quando il maledetto aggeggio lo molestava, ma ancora non aveva scoperto come spegnerlo, ammesso che una maniera ci fosse, e se lo era ritrovato assieme all’appartamento dove viveva in affitto, e insomma si era ormai trasformato in una piaga da decubito in formato smart. Non si era abituato, ma si era quasi assuefatto, da un certo punto di vista. Ma sono dettagli. L’assistente lo svegliò, dicevamo.

«Stavi facendo un brutto sogno,» gli disse l’aggeggio con la sua voce suadente come un clistere.

«Non era proprio un brutto sogno,» bofonchiò Manuel.

«I tuoi dati biometrici dicono che era un brutto sogno,» ribatté l’aggeggio.

«Ero solo un poco infastidito, ma niente di che.»

«Il tuo livello di stress aveva superato la soglia critica. Svegliarti era imperativo.»

Manuel Ravioli contò fino a dieci, occhi chiusi e respiro regolare o quasi. Non doveva arrabbiarsi. Il bagaglio appeso al muro aveva meno cervello di una mosca: non aveva senso prendersela. Quindi gli avrebbe risposto con gentilezza, invece di bestemmiare come le ultime ventuno volte. C’era il rischio che i suoi dati biometrici superassero qualche altro livello di stress o quello che era.

«Va tutto bene, grazie per avermi svegliato.»

«Vuoi parlarmi del tuo sogno? Posso attivare la funzione Freud.»

La bocca di Manuel si contorse sotto la barbetta poco curata. Cos’era la funzione Freud? Perché ci doveva sempre essere una scemenza nuova? Perché non poteva lasciarlo stare? Dopotutto era solo il più stupido degli aggeggi incollati a un muro, poco più di un microfono che non avrebbe saputo dire l’ora senza collegarsi e spettegolare con un server!

«Non voglio parlare del sogno. Voglio solo dormire un altro po’.»

«Dovresti parlare del sogno. È per il tuo bene.»

Manuel strinse i pugni. «Non adesso. Adesso voglio riposare ancora un poco.»

Per un qualche miracolo l’assistente si azzittì. Manuel Ravioli tornò a respirare normalmente. Era il più piccolo dei trionfi, ma era pur sempre un trionfo. Quanto al sogno... Sospirò.

Non era stato un incubo. Non proprio. Non era mai un vero incubo. Era fastidioso, seccante e forse a modo suo un poco angosciante, ma non ti spaventava. Non era stato spaventoso neppure quando si era inserito Carlo Conti e aveva cercato di tagliargli la testa, soprattutto perché quella parte era fuori posto e si capiva che non c’entrava niente col sogno originario. Solo un piccolo fuoriprogramma, un rutto mentale. Il sogno vero, ora, quello era interessante. A modo suo.

Perché era ricorrente. Più o meno. Come idea generale.

I dettagli variavano ogni volta o quasi, ma la trama restava sempre quella. Era un po’ come un film d’azione hollywoodiano, sotto questo aspetto. Quella notte era cominciato in città, anche se non era la sua città. Non era neppure una città che lui conoscesse. Era un posto che era forse in collina, o un quartiere era in collina, o almeno sopraelevato. Tipo Bergamo di sopra, ma non era Bergamo. Aveva case vecchie ovunque, ma non troppo vecchie. Tipo una specie di centro storico, ma tenuto bene in generale, coi vicoli stretti ma non troppo, alcuni ricoperti di sassi invece che di asfalto, quasi tutti in salita. Ogni tanto c’erano gradini al posto del normale marciapiede e a volte il marciapiede proprio non c’era e dovevi camminare in strada. Solo che le auto non c’erano, quindi tutto a posto.

Manuel camminava. Non era da solo, ma erano tutti silenziosi. Percorreva una via, poi un’altra, una curva, un incrocio, e continuava a cambiare direzione, ma andando sempre verso l’alto e diventava a poco a poco più faticoso, più ripido, fino a che quasi non riuscivi a stare in piedi, dovevi avanzare a quattro zampe, ma anche così non riuscivi e arrivava il punto in cui la strada era un muro verticale o quasi e...

E lui si svegliava. A volte. A volte passava a un altro sogno. Quella notte era successo che boh, non si ricordava niente, quindi forse aveva dormito normalmente, per un poco, poi c’era stato il sogno di Carlo Conti che cercava di decapitarlo, ma era finito subito e si era ritrovato in un edificio, un poco simile alla sua vecchia scuola superiore, ma non poi così tanto. Manuel doveva salire le scale fino a raggiungere l’appartamento al terzo e ultimo piano perché sì, e lo faceva. La prima volta tutto bene, la seconda volta c’era qualche gradino che mancava, la terza la scala dondolava un poco, la quarta mancava un bel pezzo di rampa e si doveva arrampicare usando un corrimano instabile e, beh, credo che ci siamo capiti, no? Continuava così per qualche altro round, sempre più difficile, fino a quando non poteva più salire. Allora si svegliava, in genere.