37. Pietro il buon soldato.

Una volta un soldato, che aveva nome Pietro, se ne tornava a casa dalla guerra. Strada facendo dovette attraversare un bosco. Quando fu innanzi un buon pezzo, vide di lontano, e proprio su quel sentiero per il quale egli camminava, un mulo morto, e attorno c’erano un leone, una tigre, un cane, una volpe, un’oca e una formica. Preso da spavento a tale vista, non sapeva che fare. Tornare indietro era lo stesso che dire: inseguitemi; andare innanzi peggio che peggio. Aveva avuto salva la vita in tante battaglie, e ora cadeva in bocca alla morte. Non c’era via di scampo. Tirò diritto votandosi a tutti i santi del paradiso, e passò oltre. Come fu innanzi, il leone disse ai compagni: Noi siamo qui imbrogliati attorno a questo mulo, dovremmo chiamare quel soldato a spartircelo. - Tutti furono d’accordo, e il leone gridò: Oh! buon soldato, vieni, te ne preghiamo, vieni qua a spartirci questo mulo. - Il povero Pietro si tenne perduto, pure si volse e s’accostò alla brigata. Sguainò la spada, e fece le parti così bene, dando anche alla piccola formica la sua, che tutti ne furono contenti. Allora il leone dice: Tu, o Pietro, ci hai cavati d’un grande impaccio e non so come rendertene merito. Prendi questo mio pelo. Ogniqualvolta tu ti trovi in un bisogno, non hai che a dire: Mutami in un leone di quei più forti che siano al mondo, e la tua volontà sarà fatta. - Altrettanto fecero gli altri, fuorchè l’oca che gli diede una penna e la formica una gambettina. Ricevuti questi doni, se ne va con Dio. In sulla sera giunge a una città. Le case erano parate a nero, e tutti i cittadini mesti. Pietro, non sapendo che volesse dir questo, domanda a un cittadino la cagione di tanta mestizia. Il cittadino risponde: Dovete sapere che proprio oggi e in questo momento dev’essere condotta la figlia del re dal drago delle sette teste che la mangerà. Questa è la cagione di tanto lutto. Pietro intese la cosa, e in cuor suo pensò di liberar la giovane. Intanto udì romore di pifferi e di tamburi. Veniva una lunga processione di gente vestita a bruno, a capo della quale c’era la povera fanciulla vestita da sposa e accompagnata dal padre. Pietro tenne dietro alla processione e vide quando il drago se la tirò dentro della sua buca sollevando una pesantissima pietra. Tornò a casa e vi stette alcuni giorni. In capo dei quali si presenta al re e gli dice: Io mi sento in animo di liberare la vostra figliuola dal drago delle sette teste, purch’ella sia ancor viva. - Il re commosso rispose: Va pure, buon giovane; se tu la liberi, sarà tua sposa. - Pietro andò alla buca del drago e disse: Mutami in formica, - ed eccolo mutato in formica. Allora per una fessura entra nella buca e si trova in un magnifico palazzo, e vede la giovane mesta seduta in un canto. Il drago non c’era. Si muta da capo e torna un bel giovane com’era poco prima. La figlia del re, appena lo vede, gli dice: Che hai fatto, infelice? Non sai che, se il drago torna e ti vede, siamo perduti tutt’e due? - Rispose Pietro: Non temere di questo, bella fanciulla, chè, come son venuto, così me n’andrò. Appena il drago entra, io mi muto in formica e me ne vo. - E così fece. Il giorno appresso viene ancora alla buca e si trattiene più ore con la fanciulla. Da ultimo le propose di volerla sposare. - Ma sei pazzo? disse la fanciulla, - ancorchè io fossi contenta, come s’uscirebbe di qui?

- Non ti dar pensiero di questo, chè, come il drago entra ed esce a sua voglia, saprei trovarla anch’io la via.

Detto questo, se ne va. Il giorno dopo torna e dice alla fanciulla: Quando viene a casa il drago, tu mettiti a piangere. Ti domanderà perchè piangi, e tu rispondi: perchè ho veduto che hai i capelli bianchi e presto ti converrà morire. - La giovane fece appunto così. Venuto a casa il drago, la vede piangere e le domanda: Perchè piangi? - La fanciulla risponde: Io sono la più disgraziata delle donne. Voi avete già i capelli bianchi e presto dovrete morire. E allora che sarà di me meschina? - Il drago sorridendo disse: E tu piangi per questo? Io non posso morire. C’è solo un modo, ma prima di tutto lo so io solo, e poi non è così facile. Chi fosse tanto ardito da pensar di volermi uccidere, dovrebbe prima far tutto questo: Vincere un leone gagliardissimo e fortissimo; vinto questo, non basta, chè dal ventre del morto salta fuori un cervo de’ più veloci, bisogna raggiungerlo e ammazzarlo; da esso salta fuori una tigre delle più feroci; ammazza anche questa e non basta ancora; dalla tigre morta sbocca fuori un cane, da questo una volpe e da questa un’oca, e da ultimo da questa un uovo. Bisogna prender l’uovo, venir quaggiù in questo mio palazzo e romperlo sulla fronte. Ti pare che la cosa sia facile? Dàtti animo dunque, e non pianger più, la mia bella fanciulla.

Questa si tiene a mente le cose udite, e il giorno dopo, quando venne l’amante a trovarla, gli racconta ogni cosa. Allora egli dice: Io adesso parto di qua e starò lontano tre mesi, se entro questo tempo non ritorno, vorrà dire che sono morto. Ma spero riuscire nell’impresa di liberarti.

Detto questo, si fa formica, ed esce. Va a casa, abbraccia i genitori e loro promette che in capo a tre mesi lo rivedranno. Poi si mette in cammino e, appena uscito della città, dice: Mutami in cane di quei più veloci che siano al mondo. - Diventa cane, corre e corre alla disperata. Giunge a un bosco e gli si fa incontro un fierissimo leone. Ed egli dice: Mutami in leone di quei più forti che siano al mondo. - Mutato in leone, s’azzuffa con l’altro e in breve l’uccide. Salta fuori un cervo, ed egli, fatto cervo, lo insegue, l’arriva e strozza. Salta fuori una tigre ferocissima ed ei, diventato tigre, s’attacca con essa e l’ammazza. Dalla morta tigre esce una volpe e si mette a correre. Ma il giovane, fatto volpe, le corre dietro e l’uccide. Ecco un’oca, che si dà a fuggire volando, ma egli, diventato pur oca, vola, l’acciuffa e la finisce. Quindi piglia l’uovo dell’oca e se ne torna alla buca del drago. Trovò la giovane che piangeva e gliene domanda la cagione.

- Piango, perchè son già passati tre mesi che tu m’avevi promesso di venirmi a trovare, e io disperava di non vederti più.

- Non piangere adesso, chè son qui a liberarti.

- E se viene il drago, come farai? perchè ti vedrà di certo.

- Lascia il pensiero a me, - e tosto, sentendo avvicinarsi il drago delle sette teste, si muta in formica e col suo bravo uovo tra le zampine si nasconde in un buco. Entrato il drago, si mette a conversare con la giovane, poi siede su un trono e s’addormenta. La formica, col cuore che le tremava, s’arrampica su per le spalle del drago e in un tratto ridiventa uomo, e schiaccia sulla sua fronte l’uovo. Il drago mandò un mugghio e cadde a terra morto; rintronò la buca e tutta s’aperse. I due giovani, presisi per mano, fuggirono di là e si recarono alla reggia. Il re, quando li vide, ebbe quasi a morire per la gioia. Abbracciò la figlia e poi diede ordine che si facessero le nozze ricche e splendide per festeggiare il giovane soldato che gli aveva liberata la figlia da morte e il paese dal crudele drago delle sette teste.

Commento

Animali grati, più anima esterna e fanciulla da salvare dal drago: questi i motivi di base della fiaba. L’eroe a cui è richiesto di spartire qualcosa tra vari pretendenti è un classico: a volte si conclude con una truffa e l’eroe che fugge rubando ogni cosa, ma quando ci sono di mezzo gli animali di solito si risolve con una spartizione vera e onesta, che gli varrà la riconoscenza degli animali stessi. È quanto accade stavolta, con gli animali che donano una parte del proprio corpo (un pelo se possibile, oppure una penna o una zampa) all’eroe, conferendogli così il potere di assumere il loro aspetto a volontà.

L’anima esterna è un grande classico delle fiabe russe in cui compare Koščej l’immortale, un cattivo ricorrente che non può essere sconfitto senza aver recuperato la sua anima, nascosta al di fuori del suo corpo. L’anima si trova sempre dentro un uovo, che è a propria volta nascosto in una serie di animali, con una struttura a matrioska. Per riuscire a portare a termine la prova, l’eroe deve di solito ricorrere ad aiutanti, che spesso sono animali: è quanto avviene in questo caso, dove l’eroe ricorre alla metamorfosi concessa dagli animali grati e uccide una dopo l’altra le varie bestie che contengono l’anima del drago. Curioso che l’eroe si possa trasformare anche in cervo, dato che tra gli animali riconoscenti non c’erano cervi; c’era però il cane, che sarebbe dovuto essere prima della volpe nella lista dei custodi dell’uovo, ma in realtà non si vede. Distrazione del narratore, forse, o magari di Visentini in fase di trascrizione.

Sul drago che chiede in sacrificio una principessa si è già detto a sufficienza altrove e non mi pare il caso di ripetermi. Possiamo notare come sia antropomorfizzato in più occasioni, attribuendogli capelli bianchi e la capacità di sedersi su un trono, oltre a un palazzo in cui vivere: ricorda i draghi a più teste che compaiono nelle fiabe russe, capaci anche di andare a cavallo e giostrare con l’eroe di turno.