Il figlio di un dio
C’era una donna molto bella, che era ancora senza marito. Un uomo era già stato scelto per diventare suo marito, ma ancora non aveva dormito con lei. Nonostante questo, la donna d’improvviso si ritrovò incinta. Per questo fu molto sorpresa. Per quanto riguarda l’altra gente, pensavano così: «Sarà probabilmente rimasta incinta dormendo con qualche altro uomo.» Questo era ciò che le altre persone dicevano. L’uomo che doveva diventare suo marito era molto arrabbiato. Ma non poteva sapere come avesse fatto lei a rimanere incinta.
Poi la donna partorì. Nacque un piccolo serpente. Se ne vergognò parecchio. Sua madre prese il piccolo serpente, uscì e parlò così, piangendo: «Quale dio si è degnato di generare un bambino in mia figlia? Se proprio voleva generarne uno, sarebbe stato meglio se almeno avesse generato un bambino umano. Ma questo piccolo serpente noi esseri umani non lo possiamo tenere. Siccome è il figlio del dio che lo ha generato, può anche tenerselo.» Dicendo così, lo gettò via. Poi la vecchia donna tornò in casa.
Essendo andata così, in seguito si sentì il rumore di un bambino che piangeva. La vecchia uscì e guardò. Era un bel bambino. Così la vecchia lo portò dentro. La donna che aveva partorito il bambino gioì con le lacrime agli occhi. Allora scoprirono che il bambino era un maschio, e lo tennero. Un poco alla volta divenne grande. Dopo un certo tempo divenne un uomo. Poi, essendo davvero un bravo uomo, uccise un gran numero sia di cervi che di orsi.
La donna che lo aveva partorito era la sola a essere stupita. Ciò che era accaduto era che, mentre lei dormiva, la luce del sole aveva brillato su di lei attraverso l’apertura nel soffitto. Così lei era stata ingravidata. Poi lei aveva sognato un sogno, che diceva: «Io, essendo un dio, ti ho dato un figlio, perché ti amo. Quando morirai, diventerai davvero mia moglie. Il tuo e mio figlio, quando otterrà una moglie, avrà un sacco di figli.» La donna sognò così e venerò. Così quel figlio di lei, quando inseguito dagli orsi, non poteva essere preso. Era un grande cacciatore, un uomo davvero ricco.
Poi la donna morì, senza avere avuto un marito umano. In seguito suo figlio, ottenuta una moglie, ebbe figli e divenne ricco. I suoi discendenti sono a tutt’oggi ancora vivi.
(Tradotta letteralmente. Raccontata da Penri il 21 luglio 1886.)
Commento
Il motivo della donna ingravidata dalla luce del sole è comune a molte culture, anche parecchio distanti tra loro. Compare anche in area dolomitica nella storia di Soreghina, specie nella versione di Karl Wolff, e in Giappone troviamo un episodio piuttosto interessante, raccontato nel Kojiki: una vergine ingravidata dalla luce del sole, che partorì una pietra rossa. Il principe coreano Ame no Hiboko, proveniente dal regno di Silla, chiese e ottenne la pietra in questione, che in seguito si trasformò in una ragazza di nome Akaruhime, la quale divenne moglie del suddetto principe. Akaruhime, in seguito, abbandonò il marito e tornò in Giappone, perché lui la maltrattava, ma la storia non ci interessa più. In Corea, e più precisamente nell’antico regno di Koguryō, si raccontava di un’altra vergine che fu ingravidata dalla luce del sole e partorì un grosso uovo. Questo uovo poi si schiuse e ne uscì un bambino normale, che da adulto sarebbe diventato il primo re del regno di Koguryō.
Potremmo continuare guardando anche ad altri continenti, ma non mi pare il caso. Il punto è che la storia ainu di una ragazza ingravidata dalla luce del sole ha diversi precedenti nelle vicinanze ed è almeno possibile che il motivo di base sia arrivano tra gli ainu da uno dei due paesi nei dintorni. La Corea sembra essere il punto da cui questa particolare storia è partita, per poi raggiungere il Giappone forse attraverso immigrati coreani nella prima metà del primo millennio d.C, in tempo per essere metabolizzata e inserita nel Kojiki, testo concluso nel 712. Che sia arrivata poi anche tra gli ainu, che all’epoca vivevano ancora sull’isola centrale del Giappone, ossia Honshū, o almeno vi abitavano i loro antenati, e i cui conflitti coi giapponesi sono raccontati anche nello stesso Kojiki? Forse sì, forse no.
La storia di una ragazza che partorisce un serpente dopo essere stata ingravidata da un dio compare anche nello Hitachi fudoki, testo giapponese del VIII secolo. In quel caso, i rapporti col dio sono molto più espliciti, perché la ragazza, Nukahime, riceveva visite notturne da un uomo misterioso, che poi avrebbe anche sposato: il concepimento avviene dunque in modo perfettamente normale, anche se il risultato è anormale. Il figlio serpente, pur potendo parlare nelle ore notturne, non assume mai forma umana nella storia giapponese; ha inoltre la spiacevole abitudine di crescere tantissimo da un giorno all’altro, a complicare ulteriormente la convivenza con gli esseri umani. Alla fine fu abbandonato dalla madre, che non riusciva a prendersi cura di lui, ma la separazione non fu pacifica, tra lanci di piatti e uno zio assassinato. Non proprio simile alla storia ainu, insomma, a parte la natura del figlio del dio.
Il serpente è una figura piuttosto curiosa nel folklore ainu. Le storie sulla sua origine ci dicono che è arrivato sulla terra dal cielo, sotto forma di fulmine, e lo collegano pertanto al fuoco celeste. A rafforzare questo aspetto c’è il suo amore per la dea del fuoco domestico, chiamata Kamui Huchi/Fuchi, Ape Kamui e in altri modi ancora. Questa è una delle divinità più importanti per gli ainu, una sorta di Vesta, incarnata dal focolare della casa, e che da lì controlla e protegge la famiglia. In alcune storie, sarà lei a rendere testimonianza di tutto ciò che un ainu ha fatto di buono e di male nel corso della sua vita, quando sarà morto. Quando Kamui Huchi discese sulla terra, il serpente innamorato di lei la seguì e da allora vive nella terra degli ainu assieme a tutti i suoi discendenti.
Il primo serpente disceso sulla terra era buono, ma esistono anche serpenti malvagi. Le storie sulla loro origine sono variabili, ma in generale sarebbero nati da oggetti buttati via da uno dei grandi eroi culturali ainu, in genere Aeoyna, il capostipite mitico. Storie a parte, il rapporto che gli ainu avevano coi serpenti nella vita quotidiana era conflittuale. In alcuni casi li temevano, accusandoli di poter possedere le persone, in particolare le donne che li incontravano sulla propria strada. Accanto a questa superstizione, però, l’aiuto dei serpenti era invocato in certe occasioni, come per un parto difficile o per guarire da alcune malattie. Esistevano poi cerimonie in cui i serpenti erano usati per maledire altre persone, pregandoli ad esempio di mordere un individuo sgradito, ma queste erano ovviamente considerate forme di magia nera e di solito si eseguivano di nascosto, perché erano disapprovate in società.
Tornando alla storia, troviamo di nuovo il motivo della morte come matrimonio con un essere soprannaturale che ci desidera. Stavolta il kamui di turno non cerca di provocare la morte della persona amata, ma si accontenta di aspettare che il tempo faccia la propria parte. Forse. È anche possibile che in realtà il kamui abbia accelerato un poco le cose: il racconti è ambiguo quanto basta sulla morte della donna. Sia come sia, se un kamui si innamora di un essere umano, uomo o donna che sia, e decide di averlo, in un modo o nell’altro lo isolerà dagli altri umani e alla fine ne causerà la morte. Esistono poi storie in cui un protagonista forte a sufficienza riesce a sventare questo fato, ma è un altro discorso.