Adriano - racconti e altro

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Morti grati

C’era un corpo umano appeso davanti all’ufficio dell’Agenzia delle Entrate. Era appeso per i piedi e penzolava a testa in giù. Due tizi in giacca blu scuro e cravatta rossa lo stavano bastonando. Doveva per forza essere un cadavere. Non reagiva. Un cadavere o un pupazzo. Ma era molto realistico, pure troppo per i gusti di una qualunque persona sana di mente. Quindi doveva essere vero. Un cadavere, dunque. Appeso a testa in giù davanti all’Agenzia delle Entrate. E due tizi lo bastonavano.

Alfredo Sbiotto si fermò a guardare. Non credeva ai propri occhi, eppure lo vedeva e quindi doveva essere vero. Ma non aveva senso. Peggio, era di cattivo gusto. Possibile? E da quando?

Alfredo non passava mai davanti all’Agenzia delle Entrate, se lo poteva evitare. Siccome si trovava in una zona piuttosto periferica e malfrequentata del suo comune, riusciva a evitare quasi sempre di passarci davanti. Aveva pessimi ricordi legati a quell’ufficio, capite anche voi, e comunque non era il genere di posto che una persona sana di mente desidera vedere, secondo il suo modesto parere. La scena a cui stava assistendo adesso sembrava confermare la correttezza della sua opinione.

Due tizi in giacca e cravatta bastonavano un cadavere appeso davanti all’Agenzia delle Entrate.

Dovevano per forza essere due impiegati dell’ufficio. Per quale altro motivo si sarebbero sistemati a bastonare il cadavere proprio lì davanti? Perché era il loro lavoro, ovvio. Non aveva senso, ma era la sola spiegazione che Alfredo riuscisse a trovare, al momento. In che modo bastonare un cadavere si potesse inserire nelle normali attività di un ufficio era un altro discorso e al momento non credeva di poterlo affrontare, ma era meglio procedere per gradi. E dunque.

Lo stava vedendo davvero, oppure era un’allucinazione molto realistica? Alfredo Sbiotto credeva di vederlo davvero, ma forse si sbagliava. Si guardò attorno, in cerca di conferme, ma non c’erano altri passanti, neanche un’auto, neanche un ridicolo monopattino. Perché nessuno si avvicina all’Agenzia delle Entrate, se lo può evitare. Ma il cadavere penzolava e i due tizi lo bastonavano con passione.

Perché? No, domanda sbagliata. Era davvero il caso di indagare? O era meglio passare oltre facendo finta di niente? La seconda soluzione sembrava la più sana, ma c’era qualcosa di così orribile nella scena che Alfredo non sentiva di poterlo fare, non subito, non senza avere ottenuto almeno una vaga risposta. Orribile e familiare, sì. Aveva già visto qualcosa del genere? O ne aveva sentito parlare?

La memoria non lo aiutava, al momento, quindi restava una sola cosa da fare. Chiedere. Solo che gli sembrava pericoloso. Che fosse solo un lavoro o meno, due tizi che bastonano un cadavere non li si può considerare sani di mente, o almeno inoffensivi. Persone sane di mente o inoffensive non fanno un lavoro simile, giusto? Alfredo Sbiotto pensava fosse giusto. Eppure...

Uno dei due bastonatori si fermò, sospirò, si tolse il cappello e si asciugò la fronte. In effetti doveva far venire caldo tutta quell’attività fisica. Il suo collega abbassò il bastone e gli disse qualcosa, ma Alfonso era troppo lontano per sentirlo. L’altro rispose, scrollò le spalle, si rimise il cappello. Era un siparietto che aveva qualcosa di kafkiano, ma tutta la scena sembrava uscita da una storia di Kafka, per cui era normale a modo suo. Poteva anche essere il momento giusto per avvicinarsi e fare quella domanda. Se proprio desideravi farlo, ovvio. E lui desiderava farlo?

Alfredo Sbiotto ci pensò un attimo e decise che sì, desiderava farlo. Doveva sapere. Perché era così assurdo, ma aveva anche qualcosa di familiare. Se non avesse chiesto, quella immagine lo avrebbe perseguitato tutto il giorno. Era fatto così, capite. Quindi si preparò al peggio, respirò a fondo e fece qualche passo avanti, verso l’ufficio e la gente che lavorava davanti al suo ingresso.

C’era sicuramente una storia lì dietro.

«Scusate!»

I due bastonatori si girarono verso di lui come uccelli rapaci. Lo fissavano seri e un poco arrossati, i bastoni a riposo ma non troppo, le palpebre che sbattevano appena. Non risposero.

«Cosa state facendo?»

«Lavoriamo,» rispose uno dei due.