Adriano - racconti e altro

Occasioni

Se c’era una cosa che Alessio Resdori odiava, era cambiare le corde della chitarra. La detestava con tutto il cuore. Ok, in realtà erano molte le cose che odiava e detestava, se vogliamo essere precisi: i tizi al piano di sopra che spostavano mobili in continuazione, per esempio, o i cani che abbaiavano tutto il tempo, la gente che urlava, quelli che sbattevano le porte, quelli che lasciavano spalancato il portone, quelli che non avvitavano mai bene i tappi delle bottiglie, quelli che facevano cadere roba sul pavimento, i clacson, doversi radere e più o meno tutto ciò che gli era capitato addosso o attorno durante gli ultimi trent’anni. Ok, facciamo pure quaranta, già che ci siamo.

Era una persona con una soglia di sopportazione piuttosto bassa, il nostro Alessio Resdori, come voi potreste avere ormai capito. Irrilevante. Ciò che conta in questo preciso momento è il suo odio per le corde da cambiare. Lo trovava insopportabile. Era anche quello che stava facendo in quel preciso momento: cambiare le corde della sua chitarra acustica. E lo odiava. Tanto.

Lo faceva il meno possibile ed era comunque troppo, almeno per i suoi gusti. Ma adesso le doveva proprio cambiare. Si era rotta la sesta corda, capite. Il famigerato mi cantino. Così non aveva scuse o alternative: se voleva continuare a suonare la chitarra, doveva montare una nuova muta di corde. Siccome Alessio lo voleva, stava cambiando le corde. E brontolava. E soffriva. E agonizzava.

Ci metteva sempre un pomeriggio intero a fare quel lavoraccio maledetto. Ok, magari non proprio un pomeriggio intero, magari erano due ore scarse, facciamo pure una sola, ma era un tempo che si dilatava, non finiva mai, quindi valeva un pomeriggio intero. Valeva una vita all’inferno, in effetti. Perché gli capitava sempre qualcosa di brutto, mentre litigava con quei maledetti cavi di acciaio che si fanno passare per corde. Giusto adesso, mentre ne sfilava una dalle meccaniche, quella maledetta aveva preso vita e gli era scivolata di mano, ferendogli gravemente un dito. Il pollice sinistro.

Ok, magari non era una ferita grave, ma un taglietto e ok, magari era giusto una puntura, niente di più terribile e sanguinoso di una sottocutanea, ma il punto non è questo. È questione di principio, capite. La corda lo aveva ferito. Gli aveva succhiato il sangue. E Alessio la detestava.

Ah, cosa avrebbe dato per non dover fare quel lavoraccio infame!

Pure, lo doveva fare. Suonare la chitarra era più o meno la sola cosa che gli desse un vago brandello di gioia nella sua vita. Non la suonava bene, sia chiaro, e non la suonava forte, perché i vicini non lo avrebbero gradito e probabilmente si sarebbero messi a battere contro il soffitto, che corrispondeva al pavimento di Alessio, e lui si sarebbe arrabbiato con loro e loro si sarebbero arrabbiati con lui e in conclusione non ne sarebbe uscito alcunché di buono. Quindi suonava piano e canticchiava dentro.

Ma gli piaceva. Ok, forse è più corretto dire che tutto il resto della sua vita gli faceva schifo al punto che quella piccola scintilla di serenità sembrava un incendio colossale, o qualcosa del genere, ma il punto è un altro. Il punto è che suonare da solo nel suo piccolo appartamento era forse l’unica cosa che ancora gli impediva di prendere la via del most peculiar man cantato da Simon&Garfunkel, per cui gli stava molto a cuore, capite. Solo che gli si era rotta una corda, la più piccola delle sei. Quindi adesso le doveva cambiare. E lo odiava tantissimo, nel caso non lo abbiate ancora capito.

E gli sanguinava un dito. Ferito dalla corda ribelle.

Ok, aveva già smesso, era stata giusto una punturina, ma era il principio, come abbiamo già detto. Il mondo lo odiava, era evidente. Gli voleva negare anche quella sua piccola, piccola gioia privata. Un mondo davvero malvagio e spietato, che si accaniva sui più deboli, senza concedere loro neanche la più piccola possibilità di salvarsi, di migliorare la propria vita. E così via, in un monologo interiore che riempiva spesso le solitudini di Alessio Resdori.

Perché per una volta non poteva capitare anche a lui qualcosa di buono? Perché tanto dolore?

Poi qualcosa accadde. Ci fu il rumore come di un tappo di spumante che salta dalla bottiglia, ma era un tappo davvero grande su una bottiglia davvero grande, a giudicare dal botto. Veniva da un punto dietro la schiena di Alessio. Un punto dove non ci sarebbe dovuto essere alcunché. Ok, il muro, e il letto, ma a parte questo niente che potesse produrre un botto simile. E quindi?

E quindi doveva essere stato in strada, ovvio. Uno strano effetto acustico gli aveva fatto credere di averlo sentito in camera, ma in realtà era successo fuori. Che cosa fosse successo era tutto un altro discorso, ma Alessio riteneva che non fossero affari suoi. Se il mondo lo ignorava, anche lui poteva ignorare il mondo, giusto? Secondo il suo modesto parere era giusto. E poi aveva altri problemi per le mani. Doveva cambiare le corde, come abbiamo già detto. E lo detestava.

Qualcuno si schiarì la gola dietro di lui.

Alessio Resdori si immobilizzò. Ok, questo non poteva essere venuto dalla strada. Era troppo vicino a lui. Aveva praticamente sentito il fiato sul collo, che diamine! Quindi c’era qualcuno nella stanza. A parte lui, ovvio. Non aveva senso, ma sembrava essere così. E adesso?

Forse si sarebbe dovuto girare a controllare. Davvero non voleva girarsi a controllare. Pure, non era possibile restare lì tutto il giorno, una corda in mano e la testa smarrita in mille pensieri che...

«Vuoi aspettare ancora un poco? Non ho tutto il giorno, sai com’è.»

Alessio non era sicuro di sapere come fosse, ma la voce che aveva appena sentito era di un uomo, di sicuro adulto, forse di grosse dimensioni. O almeno, ti dava l’idea di una voce che venisse da grandi polmoni, o qualcosa del genere, ci siamo capiti. Forse stava solo impazzendo. Sì, questo sembrava il modo migliore per, non so, spiegare tutto. Pazzia. Stava impazzendo. Era impazzito. Era...

Cigolio delle molle del letto, come di qualcosa di grosso che si muove. «Ti giri tu con le buone o ti devo girare io con le cattive? Sono qui per farti un favore, sai. Non rendere le cose più difficili.»

Alessio Resdori respirò a fondo e abbracciò la follia. Si girò lentamente. E, per una volta, non ne fu deluso. La pazzia era lì ad attenderlo. Non proprio come l’aveva immaginata lui, d’accordo, sempre che si possa immaginare l’aspetto della pazzia, ma erano dettagli che poteva ignorare, per adesso. Il resto era molto più difficile da ignorare, ma una cosa alla volta, grazie.

Seduto sul suo letto, a gambe incrociate, c’era un genio. Precisiamo: c’era un tizio di chiara origine mediorientale, di grossa stazza, vestito come il più stereotipato dei geni mai uscito da una versione cinematografica delle “Mille e una notte”. Quindi era un genio, o almeno qualcuno che si credeva di esserlo. Siccome era grosso il triplo di Alessio, come minimo, lui era disposto a non contraddirlo.

«Buongiorno,» gli disse, fingendo che fosse perfettamente naturale trovarsi un energumeno seduto a gambe incrociate sul letto, dove fino a poco prima non c’era nessuno. Fallì su tutta la linea.

Il presunto genio agitò una mano. «Sì, buongiorno, quello che ti pare. Saltiamo pure i convenevoli, non sono qui per fare conversazione. Prima ci sbrighiamo e meglio è.»

Alessio Resdori sorrise e annuì. «Per cosa saresti qui, allora?» gli chiese, non volendo conoscere la risposta, ma sapendo che prima o poi l’avrebbe scoperta, con le buone o con le cattive.

Il genio lo fissò come se fosse uno stupido. «Per esaudire un tuo desiderio, no? Per cosa altro dovrei essere qui in questa stanza fetida? Dovresti ricordarti di cambiare aria ogni tanto: non si respira.»

Un desiderio, ovvio. Cosa fanno i geni? Esaudiscono desideri. Di solito ne esaudiscono tre, ma non gli sembrava il caso di fare il pignolo. Era davvero grosso, quel tizio: finché restava calmo e parlava civilmente, lui gli avrebbe dato corda. Molto più sicuro per tutti, o almeno per lui.

E poi era uno scherzo, ovvio. Uno scherzo o, non so, un qualche tipo di realtà virtuale, simulazione, quello che era. Nella realtà reale non accadono certe cose, lo sanno tutti. Non arriva mai un genio a esaudire i tuoi desideri. Alessio aveva montagne di desideri, alcuni vecchi di decenni, fossili mentali che risalivano alle scuole medie, e nessuno si era mai presentato per esaudirli. Dunque ciò che stava vedendo non era reale. Sì, così andava meglio. Allucinazione, realtà virtuale, esaurimento nervoso, quello che volete, ma non una cosa reale. Respirare gli venne già più facile.

«Un desiderio?» chiese al genio.

«Un desiderio, sì.»

«Una cosa qualunque?»

«Una cosa qualunque, sì. Una cosa che desideri molto. Perché, come dicevamo all’inizio, si tratta di un desiderio, no? È questo che esaudisco io. È il mio lavoro, puoi anche dire.»

«Un desiderio, sì.» Alessio si guardò attorno, leccandosi le labbra. E adesso? Dargli corda, ovvio. In fondo cosa gli costava? Bastava dire una cosa qualunque, magari una cosa non pericolosa, tanto per stare sul sicuro. Chiedergli una cosa impossibile sarebbe stata una pessima idea, per esempio: dopo aver cercato di esaudirla e aver fallito, il presunto genio sarebbe potuto diventare aggressivo. Forse non era reale, quasi sicuramente non era reale, ma perché rischiare? Alessio non amava rischiare. Lo lasciava fare agli altri. Il che forse spiegava la sua vita fallimentare, ma è un altro discorso.

Il genio sospirò. «Lo so che hai un desiderio. Ne hai parecchi, in effetti. Per questo sono qui. Basta che chiedi una cosa, una qualunque, e la facciamo finita. Io lo esaudisco, tu sei contento, il discorso è chiuso, ognuno per sé e tanti saluti a tutti. Un desiderio.»

Già, era facile. Sembrava anche comprensivo, quel tizio strano. Alessio Resdori si sentì meglio, ma non troppo. Gli alessioresdori del mondo non si sentono mai troppo bene: sono fatti così, capite. Un desiderio, una frasetta qualunque, e tutto si sarebbe risolto. Forse. Speriamo.

Cosa chiedere? Alessio si guardò attorno, giocherellando nervoso con la corda metallica che aveva in mano. La corda lo punse. Alessio trattenne una invocazione non approvata dalla CEI. Ok, adesso aveva deciso. Si sarebbe liberato di tutte le seccature e non aveva alcunché da perdere. Facile facile.

«Voglio poter cambiare le corde della chitarra senza difficoltà. Giusto così, uno schiocco di dita e la nuova muta è al suo posto, perfetta e pronta per suonare.»

Il genio lo fissò. «È questo il tuo desiderio?»

«Sì, è questo il mio desiderio.»

Il genio lo fissò ancora per un attimo, poi scrollò le spalle. «Come desideri tu.» Batté le mani. Non accadde altro. Solo un clap, sonoro quanto volete, ma tutto qui.

Alessio Resdori aspettò un poco, ma continuò a non accadere alcunché. «Dunque il desiderio è stato esaudito?» chiese, non sapendo bene come comportarsi. Era adesso che il tizio sarebbe diventato un pericolo? Lo avrebbe aggredito? Lo avrebbe... peggio ancora?

Il genio annuì. «Esaudito, sì. Prova pure e vedrai che funzionerà.»

«Devo provare adesso?»

«Come vuoi. A me piace vedere i clienti soddisfatti, ma la scelta è tua. Hai una chitarra sottomano e le stai cambiando le corde, quindi puoi anche fare subito, non credi?»

Ragionevole, ma Alessio aveva paura che il tizio potesse diventare aggressivo, dopo avere visto che il desiderio non era stato esaudito. Dopotutto non era un genio vero, no? Era una persona normale, ammesso e non concesso che fosse una persona e non un’allucinazione molto realistica, che un poco puzzava di incenso, adesso che ci badava. D’altro canto, poteva diventare aggressivo anche se lui lo contraddiceva. Quindi...

Alessio Resdori schioccò le dita. La corda che aveva in mano sparì. Guardò la chitarra ed era tutta a posto, le sei corde montate alla perfezione, come a lui non era mai riuscito di fare in vent’anni. Solo vedere la precisione da manicure con cui erano tagliate all’altezza delle meccaniche lo commosse. Il lavoro di un professionista, ma di alto livello.

«Ha funzionato davvero,» sussurrò.

«Ti aspettavi un bidone? Uomo di poca fede. Beh, adesso che il tuo desiderio è esaudito, io non ho altro da fare qui. È stato un piacere conoscerti e tutto il resto. Ciao.» Il genio svanì di colpo, con un altro rumore da tappo di bottiglia che salta.

Alessio Resdori rimase a lungo a fissare il vuoto. Perché? Perché? Si sedette con cautela sul letto e sentì che era ancora un poco caldo, là dove il genio lo aveva occupato. Prese la chitarra e suonò una breve progressione ritmica, tanto per fare qualcosa. Era accordata alla perfezione. Anche le vecchie corde erano state raccolte con cura, pronte per essere smaltite.

Si pizzicò una guancia, perché così voleva la tradizione, e gli fece male. Quindi non stava sognando e tutto era successo davvero, sempre secondo la tradizione. Un genio era apparso dal nulla e aveva esaudito un suo desiderio. Adesso poteva cambiare le corde della chitarra con uno schiocco di dita. Era successo davvero. La realtà si era fatta da parte per un attimo e gli aveva consentito di toccare un altro mondo, un mondo che aveva solo potuto sognare fino ad allora. Un desiderio. Un regalo tutto per lui. Un desiderio vero. L’universo gli aveva porto una mano.

Perché lui aveva chiesto una cosa tanto stupida?

Contemplando la profonda ingiustizia del mondo e la malvagità della vita umana, Alessio Resdori cominciò a improvvisare il blues delle occasioni perdute. Suonò in mi minore, sulle corde appena cambiate. Erano montate davvero bene. Da sogno.

Da piangere.

di Adriano Marchetti