Adriano - racconti e altro

Zeus e le liti familiari

C’era una volta Crono, capo degli dei equo e saggio, nonché padre amorevole e coscienzioso, con la curiosa ma simpatica abitudine di divorare i propri figli a mano a mano che nascevano dalla moglie Rea. Dopo aver partorito ormai diversi pranzi per il marito, senza peraltro ricevere un solo “grazie”, Rea decise che non si poteva continuare così. Quando partorì Zeus, dunque, sostituì il neonato con una pietra, che Crono divorò senza notare la differenza, e spedì il figlio in campagna, dove una capra lo avrebbe allevato con cura. O così le avevano assicurato i genitori-suoceri e lei si fidò.

Una volta cresciuto, Zeus tornò a casa, prese Crono, lo suonò come una fisarmonica, liberò fratelli e sorelle che, forse a causa di una digestione particolarmente lenta e faticosa, erano ancora vivi nello stomaco del padre mangione, infine si insediò come nuovo signore degli dei. Così si sarebbe potuta concludere una storia semplice e lineare, se non fosse stato per un piccolo problema: l’eredità.

Come in ogni famiglia che si rispetti, e in molte di quelle che non si rispettano, anche nelle famiglie divine la spartizione equa di una eredità può causare gravi attriti tra parenti che, in altre circostanze, si odierebbero solo a morte. Quando poi famiglia e parentele sono rese ancora più complicate da una rete di incesti seriali, quale non si sarebbe più rivista fino alla nascita delle monarchie europee, e quando l’eredità da spartire consiste nel dominio sugli dei e sul mondo, è facile immaginare come possa essere rapida la transizione dagli insulti alla violenza più insensata e gioiosa. La titanomachia è fondamentalmente questo: una normale lite familiare, ma tra divinità.

Dopo aver sottoposto a una legittima dose di violenza il padre Crono e averlo rinchiuso in catene nel punto più profondo del Tartaro, dove avrebbe patito il mal di denti per l’eternità, Zeus si sentiva più che legittimato a impadronirsi dell’intera eredità paterna e spartirla, eventualmente, con gli altri fratelli, una volta che questi si fossero ripuliti dai succhi gastrici. Così sarebbe accaduto, se Crono non avesse avuto anche una carriolata di fratelli, tutti aspiranti a una fetta di torta, o anche alla torta stessa, intera va benissimo, grazie.

Gli zii, noti collettivamente col nome di Titani, non erano infatti d’accordo con la spartizione proposta da Zeus, ossia “io mi prendo tutto e voi niente”. In quanto fratelli del non compianto e non defunto Crono, i titani si sentivano in diritto di pretendere una parte dell’eredità, pari all’incirca al cento per cento, anche se si dichiaravano disposti a lasciare al nipote il servizio di posate in argento, ma da quell’orecchio Zeus non ci sentiva. Perché dividere il bottino con quei vecchi scansafatiche, se il lavoro sporco lo aveva dovuto fare tutto lui? E così, tra un insulto e l’altro, il litigio ebbe inizio.

Siccome a quei tempi non erano ancora stati inventati gli avvocati e le beghe legali dovevano essere risolte in modo economico tra le parti in causa, il litigio verbale sfociò ben presto in un litigio molto più fisico e corporale. Il che è già sgradevole, quando tutto si svolge tra esseri umani. Quando però a litigare sono due gruppi di divinità, da un lato gli dei Titani e dall’altro i futuri dei dell’Olimpo, i piatti e gli stracci non sono le uniche cose a volare: i macigni volano molto più facilmente, oltre ai fulmini e quant’altro gli dei si trovino sotto mano in quel momento.

Dopo una prima fase in cui zii e nipoti si schierarono sulle vette di due montagne contrapposte, per sfidarsi nell’equivalente divino di palla prigioniera, si passò poi alle maniere più forti, con una sana, robusta scazzottata, quale neppure nelle scene finali dei film con Bud Spencer e Terence Hill. Per motivi e in modi che nessun mortale potrebbe mai comprendere, anche perché nessun poeta si è mai preso la briga di scendere nei dettagli, la guerra per l’eredità si protrasse per ben dieci anni, che è un po’ la durata standard per ogni guerra che si rispetti, se combattuta in campo mitico-leggendario, e probabilmente sarebbe durata per chissà quanto ancora, se non fosse stato per l’intervento di Gea.

Gea era era un poco la vecchia comare della situazione, essendo da in lato la madre dei Titani e da un altro lato la nonna degli dei olimpi. Se vogliamo mantenere semplici le parentele. Se preferiamo complicarle, invece, abbiamo spazio in abbondanza per il divertimento, dato che la storia di incesti a catena la collocano più o meno in qualunque grado di parentela con qualunque personaggio, ma soprassediamo. A ogni modo, da brava nonna (fra le altre cose), Gea decise di favorire il nipotino Zeus, a discapito di quei bricconi dei figli, e diede a tutti gli olimpi il consiglio giusto.

Nascosti da qualche parte nelle viscere della terra, sepolti e dimenticati da ere incalcolabili, c’erano Obriareo, Cotto e Gige, gli ultimi tre figli che Urano aveva avuto dalla madre-moglie Gea. Tre figli che non gli erano venuti benissimo, è giusto dirlo: grandi, grossi, con cento mani e cinquanta teste, erano il perfetto esempio di prole che poteva far discutere il vicinato. Urano li aveva sepolti vivi al momento della nascita, proprio per evitare pettegolezzi, e Crono li aveva lasciati dov’erano, perché tre parenti del genere non lo avrebbero aiutato a entrare nei salotti-bene. Perché non riesumarli? Erano grossi, erano fessi, erano incazzati e potevano dare una mano in battaglia. Trecento mani, se si voleva essere precisi.

Siccome non era una brutta idea, Zeus decise di seguirla. Ringraziò la nonna, liberò i tre zii, li invitò sul monte Olimpo, li fece mangiare e bere come porci all’ingrasso, li adulò, leccò un po’ qui e un po’ là, sempre col suo migliore sorriso da pubblicità, e così accettarono di combattere per lui. I nemici erano i titani, tecnicamente loro fratelli? Affari loro! In tutti quegli anni non si erano mai fatti sentire, neppure per un saluto, un semplice «Come va laggiù?», o magari anche per passare a liberarli, già che c’erano, se questo non era chiedere troppo. In breve, se l’erano cercata.

Con Obriareo, Cotto e Gige, ma soprattutto con le loro innumerevoli braccia rubate all’agricoltura, le sorti della guerra cambiarono: Zeus bastonò giuridicamente i crani dei parenti, vinse la disputa familiare e si assicurò l’eredità di Crono, ossia il dominio sugli dei e sul mondo. Gli zii Titani, dopo essere stati presi furiosamente a calci nel divino deretano, furono incatenati nel punto più profondo del Tartaro, la stessa sorte che era già toccata a Crono. Zeus non era proprio un pensatore originale, diciamolo pure, e poi non è che ci fossero molti modi per levarsi dai piedi gente immortale, a parte incarcerarli nel posto più sgradevole che si potesse trovare. Il Tartaro ne possedeva i requisiti.

Adesso bisognava pensare a una sistemazione per i tre parenti pieni di teste e di mani. Tenerseli tra le scatole nell’Olimpo? Brutta idea: deturpavano l’estetica del luogo e non è che avessero un buon odore, dopo tutto quel tempo sottoterra. Seppellirli di nuovo da qualche parte era una idea migliore, ma come farlo senza che si incazzassero troppo? Con un colpo di genio, Zeus assegno a Obriareo, Cotto e Gige il ruolo di carcerieri ufficiali del Tartaro, con pieno diritto di abusare dei prigionieri e libertà di farli cadere dalle scale come e quando ne avessero avuto voglia. Un ruolo che accettarono volentieri, dato il gran numero di questioni in sospeso coi fratellastri titani.

Risolta la guerra per l’eredità, Zeus e i suoi due fratelli più forti, ossia Poseidone e Ade, poterono spartirsi in allegria il bottino più cospicuo, ossia il mondo: a Zeus il cielo, a Poseidone il mare e ad Ade il regno dei morti. Il servizio da tè e l’argenteria andarono agli altri fratelli e sorelle, che tanto non contavano nulla e nessuno se li filava. Restava ancora una certa pulizia da fare nel mondo, per liberarlo da tutti quei danni lasciati in eredità dalle amministrazioni divine precedenti, assieme a un cospicuo buco nel bilancio, ma cariche e prebende era state distribuite, per cui il grosso del lavoro poteva dirsi concluso.

E così, governati da Zeus e dalla moglie-sorella Era, tutti gli dei immortali vissero per sempre, felici e contenti. A parte i Titani.

di Adriano Marchetti