Adriano - racconti e altro

Ape Kamui, la dea del fuoco ainu

Una delle principali divinità degli ainu era la dea del fuoco, conosciuta con un gran numero di nomi ed epiteti diversi. È infatti Ape Kamui, dea del fuoco, ma anche Kamui Huci1 (oppure Fuci), la nonna divina, Ape Huci, la nonna fuoco, Onne Huci, l’anziana nonna, Iresu Huci, la nonna che alleva, nonché quello che a volte troviamo indicato come il suo vero nome dietro tutti questi epiteti, ossia Apemeru-ko-yan-mat Unameru-ko-yan-mat, la “Donna che emerge nelle scintille del fuoco, Donna che emerge nelle scintille della cenere”. Sia come sia, Ape Kamui è la dea del fuoco, che viveva in ogni casa ainu al centro del focolare domestico, proprio come era al centro della vita religiosa (e sociale, sotto certi aspetti) di ogni ainu.

Sempre a proposito del suo nome, John Batchelor scriveva a pagina 175 del suo Ainu life and lore, all’inizio del capitolo XXIII, che gli ainu chiamavano Fuji Kamui ogni vulcano, dove fuji sarebbe una variante di huci/fuci, parola che di per sé significa “nonna” ed è usata anche come termine di rispetto verso ogni donna anziana, a prescindere dai legami di parentela. Sulla base di questo, a suo parere il nome del monte Fuji deriverebbe dalla lingua ainu, perché anche il Fuji è un vulcano e gli ainu usavano appunto il termine fuji (o una sua variante fonetica) per indicare i vulcani, in quanto collegati alla loro dea del fuoco. Così la pensava lui, a ogni modo. Giusto per completezza, la parola generica per indicare un vulcano in lingua ainu è uhuynupuri, ossia “monte che brucia”.

Rimanendo in tema di nomi e curiose parentele tra ainu e giapponese, possiamo aggiungere che la parola meri, oppure meru, in lingua ainu significa “sfavillio, lampo di luce”, e la ritroviamo anche all’interno della parola imeru, ossia “fulmine”, che indubbiamente si presenta alla vista come un lampo di luce2. La sua forma raddoppiata, merimeri o merumeru che sia, significa “scintilla”: ape merimeri, oppure ape merumeru, è una (o più: non c’è distinzione tra singolare e plurale) scintilla di fuoco. Curiosamente, in giapponese abbiamo l’avverbio meramera, che indica il particolare movimento delle lingue della fiamma, quando lambiscono qualcosa; possiamo trovarlo usato anche come onomatopea, sempre in riferimento al fuoco. Che sia collegato alla quasi identica parola ainu? È una semplice coincidenza? Ai linguisti l’ardua sentenza.

Sia come sia, il ruolo di Ape Kamui nella religione ainu era quello di mediatrice. Dalla sua posizione al centro del focolare domestico, che era a propria volta al centro delle case ainu, la dea mediava tra interno ed esterno, tra umano e divino. Come fuoco di cottura, rendeva commestibile il cibo, in particolare i prodotti della pesca e della caccia, trasformando così in domestico ciò che era di natura selvaggio: gli ainu detestavano la carne cruda3, anche quella di pesce, e cuocerla diventata dunque un passaggio fondamentale per trasformarla in cibo. Allo stesso modo, il fuoco domestico era il primo destinatario di ogni offerta e di ogni preghiera: era il fuoco a comunicare con tutti gli altri kamui per conto degli ainu, trasmettendo sia le loro offerte, sia le loro richieste. Sotto questo aspetto, era simile a modo suo al Giano dei romani, il dio che apriva ogni comunicazione col piano del sacro. Quando un ainu pregava, prima di tutto si rivolgeva ad Ape Kamui e poi al destinatario della sua preghiera, di qualunque cosa si trattasse.

A pagina 17 del suo Ainu Creed and Cult, parlando della dea del fuoco, Munro ci dice che il focolare è l’ingresso al paese dei morti. Se così fosse, il focolare domestico assumerebbe una fisionomia da asse del mondo, collegando cielo, terra e inferi, in un modo piuttosto simile a quanto avviene, o almeno avveniva in passato, in Georgia e presso altri popoli caucasici, che avrebbero così in comune con gli ainu anche l’utilizzo del focolare domestico come centro per una ripartizione sociale dello spazio: il punto in cui ci si siede attorno al focolare rispecchia la struttura sociale della famiglia e della comunità4. Per gli ainu, ad esempio, il posto a nord del focolare era riservato ai padroni di casa, quello a est (la testa del focolare) agli ospiti d’onore, quello a sud agli altri ospiti, mentre a ovest (i piedi del focolare) sedevano le persone che contavano di meno.

Un altro compito di Ape Kamui, a quanto pare, era quello di osservare e ricordare tutte le azioni compiute dai membri della famiglia. Al momento della morte di ogni persona, infatti, la dea del fuoco che viveva nel suo focolare domestico avrebbe dato testimonianza del comportamento del defunto, fin nei minimi dettagli, stabilendo in questo modo che tipo di vita avrebbe ricevuto nell’aldilà. Non è del tutto chiaro se Ape Kamui avesse solo il ruolo di testimone, oppure anche quello di giudice, perché piuttosto ambigue sono le versioni registrate dai vari ricercatori. Batchelor, in particolare, tendeva a vedere tutto attraverso il filtro del cristianesimo, dato il suo ruolo di missionario, e aveva l’abitudine di inserire spesso e volentieri un Vero Dio al di sopra di tutto il resto: se è indubbio che nella religione cristiana le cose stiano così, è molto più dubbio che uno schema simile si possa applicare anche agli ainu. Sia come sia, Ape Kamui osservava e ricordava ogni nostra azione e dopo la nostra morte avrebbe fatto uso di queste informazioni, in un qualche modo: meglio rigare dritti davanti a lei, insomma.

Il marito della dea del fuoco è un personaggio che appare in entrambi i kamui yukar qui presentati, anche se in un ruolo non proprio edificante: se nel primo canto il suo ruolo è fondamentalmente quello della principessa da salvare, nel secondo canto è il marito fedifrago sorpreso assieme alla sua amante. Ma chi era in concreto questo marito? Nella casa tradizionale ainu, a ricevere il titolo di “marito di Ape Kamui” era un particolare inau, collocato di solito nell’angolo nordorientale dell’abitazione, cioè dove si trovavano anche i tesori della famiglia. Il nome con cui era indicato è Cise Kor Inau, ossia l’inau che possiede la casa, e incarnava Cise Kor Kamui, ossia il dio che possiede la casa.

Questo è già un primo tratto che lo differenzia dagli altri inau. Questi oggetti, che ricordiamo erano fondamentalmente bastoni intagliati in vario modo, erano utilizzati dagli ainu come offerta alle divinità. Potevano servire a chiedere qualcosa a un kamui, oppure a ringraziarlo per averci concesso qualcosa; potevano servire per placare una divinità irata, oppure per ricompensare un animale che ci aveva donato la sua carne. Qualunque fosse la ragione per cui gli inau erano preparati e offerti, di solito non erano feticci da venerare, ma avevano una funzione simile a quella delle candele che si accendono in chiesa davanti a una immagine sacra. Cise Kor Inau, invece, sembra essere stato usato per dare una forma concreta alla divinità che proteggeva la casa, ossia Cise Kor Kamui, almeno sulla base delle descrizioni che ne abbiamo.

Nel capitolo X di The Ainu and Their Folk-Lore, per esempio, Batchelor scrive che questo inau era collocato appunto nell’angolo nordorientale della casa, dietro ai tesori di famiglia, e riceveva le preghiere del capofamiglia. In occasione di crisi particolari, poteva anche essere spostato davanti al focolare per essere venerato. Possiamo ragionevolmente ipotizzare che Batchelor abbia assistito di persona a scene simili, oltre a essersele fatte raccontare dagli ainu, dato che era stato spesso ospitato da famiglie locali durante la sua permanenza in Hokkaidō. Il particolare modo in cui questo inau doveva essere intagliato sarebbe stato comunicato agli ainu direttamente dal cielo, anche se non è ben chiaro chi sarebbe il “true God” di cui parla Batchelor: la sua tendenza a interpretare tutto in chiave cristiana non ci è di grande aiuto in questi casi.

Sia come sia, Cise Kor Kamui, la divinità incarnata da Cise Kor Inau, era il marito di Ape Kamui, la dea del fuoco, e il suo ruolo era quello di aiutare la moglie a proteggere la famiglia nella cui casa le due divinità dimoravano. Se Ape Kamui aveva un compito molto specifico, essendo legata al focolare domestico che costituiva il cuore della casa e della società ainu, il marito aveva un ruolo definito in modo meno chiaro, anche se sembra essere stato una via di mezzo tra un maggiordomo e un sorvegliante. È opportuno comunque sottolineare che il marito era l’aiutante della moglie: chi sia il kamui più potente tra i due lo vedremo molto chiaramente anche negli yukar seguenti, che non ci lasciano molti dubbi su chi sia a portare i pantaloni in quella famiglia divina. Forse a sottolineare il collegamento tra i due e la dipendenza del marito dalla moglie, il cuore di Cise Kor Inau era costituito da una brace (spenta) presa dal focolare e inserita in un’apposita rientranza scavata nel legno dello inau.

Sempre secondo Batchelor, Ape Kamui aveva anche una figlia, chiamata Sukoyanmat, il cui compito era assistere la madre nella cottura del cibo. Il su del suo nome, dopotutto, significa “pentola”, mentre suke significa “cucinare” (facendo bollire), per cui il suo ruolo di aiuto cuoca ha un senso. Qualche problema in più ci viene dal fatto che, all’interno del suo dizionario di lingua ainu, lo stesso Batchelor assegna un ruolo diverso alla figlia in questione, nonché un significato diverso al suo nome. Se infatti cerchiamo Shukoyan-mat, che è la grafia da lui usata, leggiamo la seguente definizione (a pag. 428): “The place upon the hearth where the pots are put after taking them off the fire. Also the name of a god supposed to look after the place where the pots are placed after being taken off the fire, and said to be the grandchild of the fire”.

Sorvolando sul fatto che si parla di un dio anziché di una dea, nonostante il mat finale significhi “donna”5, in questo caso Batchelor dichiara che è la nipote di Ape Kamui, mentre in Ainu life and lore le attribuisce lo status di figlia. Ha cambiato idea strada facendo? Ha ricevuto informazioni più precise? Si era dimenticato di quanto aveva scritto nel dizionario, quando anni dopo cominciò a lavorare ad Ainu life and lore? Mistero. Notiamo poi che il secondo yukar presentato qui sotto, parlando della dea del fuoco e del marito, si conclude descrivendoli come una coppia senza figli. Qualcosa non torna, ma pazienza: la mitologia è di rado coerente, dopotutto.

La dea del fuoco contro i demoni

Questo kamui yukar ci racconta la storia di una battaglia tra la dea del fuoco e certe divinità malvagie non ben precisate che erano nemiche di suo marito, o almeno che minacciavano la sua esistenza. Come mai il marito di Ape Kamui fosse andato a impelagarsi con queste divinità malvagie che vivevano oltre le nubi, poi, è un’altra cosa che non sappiamo: è successo in un qualche momento prima dell’inizio della storia e questo è quanto. Tutto ciò che ci è raccontato sulla scena è la reazione della moglie, quando lo viene a sapere.

Da sottolineare che, per gli ainu, la definizione di divinità buone e cattive, pirka kamui e wen kamui, era molto personale: le divinità buone era quelle schierate a favore degli ainu, mentre le divinità cattive erano quelle che li danneggiavano. L’idea di bene e male era molto concreta e non c’erano spazi per astrazioni e moralismi vari, in questo campo. Anche le divinità buone ogni tanto potevano avere la luna storta e danneggiare gli ainu, nel qual caso potevano essere rimproverate, ma con rispetto, perché erano comunque personaggi potenti e non era opportuno farli arrabbiare ancora di più. Troviamo esempi di questo tipo nelle preghiere per un cacciatore ainu ucciso da un orso: si rivolge un rimprovero all’orso, per aver esagerato con l’entusiasmo, ma non lo si biasima davvero.

I ritornelli di questo yukar sono due: il primo è apemerumeru koyankoyan mat, mentre il secondo è ateyatenna6. Il primo è utilizzato quasi sempre, mentre il secondo compare solo tre volte e sempre a seguito del primo, pronunciati in un modo che li fa sembrare una frase unica. Un terzo ritornello, apemerumeru kotom korkayki, compare soltanto sei volte. Considerato che ape merumeru significa “scintille di fuoco”, questi ritornelli non lasciano molto dubbi su chi sia il protagonista dello yukar.


Sia di notte,
Sia di giorno,
Cucendo soltanto
Passavo il mio tempo.
Dopo aver cucito con l’ago,
Prima di cucire con l’ago,
Due lampi,
Tre lampi,7
Andavano e venivano.
Soltanto questa cosa
Facevo come lavoro.
Mentre non facevo altro
E così vivevo,
Un certo giorno
Una divinità potente,
O così sembrava,
Il suono di un dio in arrivo
Piano piano
Si avvicinava.
Davanti alla porta
Discese.
Così allora parlò:
«Al di sopra
Dei cumuli di nubi
Una grande divinità,
Tuo marito,
il tuo caro marito,
Con una divinità malvagia
Sessanta battaglie
Ha combattuto.
Se non lo soccorri,
Il dio tuo marito
Sembra che sarà sconfitto.
Così stanno le cose.
Un oggetto fatto a mano,
Una bambola8 di artemisia,
Questo io sono.
Per informarti in fretta,
Dal paese oltre i cumuli di nubi
Io sono venuto
E questo è quanto.
Corri ad aiutarlo!»
Parlando così,
Passò alla sinistra del focolare9
E verso il sacrario10 esterno
Se ne andò.
Gli oggetti con cui lavoravo
Io misi da parte.
Coprii il fuoco con la cenere11
E per tre notti,
Per tre giorni,
Una gamba dei pantaloni
Io mi infilai.
«Una divinità da poco
Sono dunque io?»
Poiché in questo modo
Io stavo pensando,
Piano piano
Io mi preparai
E poi partii.
Al di sopra
Dei cumuli di nubi
Io andai così,
E davvero, in un qualche modo,
Che sorpresa!,
Una grande folla,
Una grande famiglia
Di divinità malvagie
Si trovava là.
Non me lo aspettavo.
Il dio mio marito
Se la passava male
Stando in un posto
Come quello.
Agendo in che modo
Sarebbe stato meglio?
Poiché me lo chiedevo,
A così tante persone
Tutto attorno
Io appiccai il fuoco.
Il signore mio marito,
Per quanto riguarda lui,
Andò da un’altra parte.
Al villaggio
Delle divinità malvagie,
Alle loro case,
A tutto quanto
Appiccai il fuoco.
Nel giro di poco tempo
Fu tutto finito.
Il signore mio marito,
Il mio consorte,
Parlò così:
«O mia sposa,
Se si tratta di te,
Sapevo di poterci contare.
Così ho pensato.
La bambola di artemisia,
Io ho fatto di artemisia
Per portarti un messaggio.
Grazie alla tua venuta
Io sono sopravvissuto.»
Dopodiché,
Del mio caro marito
In compagnia,
Di mio marito
In compagnia, assieme,
Piano piano,
Parlando di varie cose
Ci avviammo.
A casa nostra
Infine arrivammo.
Dopodiché,
Pacificamente
Tornammo a vivere.
Così è stato fin qui.
Adesso, io non amo combattere,
Perché non piace neppure al signore mio marito.
Così parlò la dea che sfavilla sul fuoco, la padrona della casa.

La dea del fuoco

In questo kamui yukar ritroviamo Ape Kamui e il marito, ma in una situazione piuttosto diversa dalla precedente: non si tratta di una missione di salvataggio, ma di una spedizione punitiva contro l’amante del marito fedifrago. Come diverse sono le premesse, diverso è anche il finale: se nel canto precedente i coniugi ritrovano l’armonia famigliare, al termine di questo è chiaro che le cose non vanno bene per niente tra i due. Forse è necessario ritoccare lo inau.

Beghe domestiche a parte, un aspetto più interessante è l’identità della dea dell’acqua. Wakka-us Kamui è il nome con cui è indicata in questa storia e fin qui nulla di male: il suo significato letterale è proprio “divinità dell’acqua”, per cui tutto a posto. Il discorso si complica se prendiamo in considerazione il resto del materiale che riguarda questa figura. In tutti i suoi scritti, per esempio, John Batchelor ci parla sì di Wakka-us Kamui, ma come nome collettivo, sotto cui sono raccolte le divinità collegate a fiumi, laghi e così via. Divinità femminili, tutte, e presentate in una forma che ricorda molto le ninfe del mondo classico. Fosse solo questo, non sarebbe un problema: la Wakka-us Kamui della nostra storia potrebbe essere soltanto un kamui particolare, una delle tante. C’è però un altro elemento da considerare.

Ape Kamui e Wakka-us Kamui, la dea del fuoco e la dea dell’acqua, compaiono infatti assieme in due preghiere ainu che Bronisłav Piłsudski avrebbe raccolto attorno ai primi del Novecento tra gli ainu di Hokkaidō: in entrambi i casi, sono indicate come le divinità che hanno allevato assieme gli ainu. Piłsudski le traduce inoltre come se fossero di due generi diversi, femmina Ape Kamui e maschio Wakka-us Kamui, mentre nel presente kamui yukar sono entrambe donne, per di più in lotta per uno stesso uomo. Anche Batchelor specificava che tutte le Wakka-us Kamui erano donne. Ma vediamo queste preghiere.

La numero 26, indicata come preghiera al dio dell’acqua per costringere la propria moglie a confessare i peccati commessi12, si apre con una invocazione a huci kamui turano iresu kamui wakka-us kamui, cioè a “Wakka-us Kamui, divinità che ci ha allevati assieme a Huci Kamui”. Allo stesso modo, la preghiera numero 27, indicata come preghiera rivolta al dio dell’acqua durante il trattamento di un uomo impazzito, si apre dicendo Tan aynu kosne kamui orowano ramu aisamka kusu, wakka-us kamui, huci kamui ukorari pase kamui ne-kusu, ossia “Poiché quest’uomo non ha più la ragione dopo [l’intervento di] una divinità leggera13, o Wakka-us Kamui, poiché sei una divinità importante assieme a Huci Kamui”, eccetera. In entrambi i casi, vediamo dunque che Wakka-us Kamui, dea dell’acqua, è trattata alla pari con la dea del fuoco; nel primo caso, inoltre, è indicata come la divinità che ha allevato gli ainu assieme alla dea del fuoco.

Se il ricorso al maschile nella traduzione può essere imputato a un fraintendimento di Piłsudski, che potrebbe avere interpretato le due divinità come marito e moglie, o almeno come una coppia di genitori adottivi virtuali per gli ainu, il fatto che Wakka-us Kamui abbia una posizione così elevata ci induce almeno a sospettare che, in passato, questo personaggio fosse una figura più rilevante nel culto degli ainu, rispetto alle divinità dei fiumi, molto numerose, che erano raccolte sotto questo nome verso la fine dell’Ottocento, l’epoca in cui Batchelor cominciò a registrare i racconti degli ainu tra i quali viveva. O forse la spiegazione è un’altra, chissà.

Un canto quasi identico a questo fu registrato da Kubodera Itsuhiko nel 1932 e pubblicato nel suo Ainujojishi: Shin’yō seiden no kenkya, pagg. 42-47. La trama generale è la stessa, con la dea del fuoco che scopre il tradimento del marito e lo va a recuperare a casa della dea dell’acqua, ma una differenza notevole è il modo in cui si risolve il conflitto: se in questo yukar la sfida tra le due divinità è quasi un siparietto comico, nello yukar registrato da Kubodera abbiamo uno scontro vero e proprio tra le due dee, con la dea dell’acqua che scatena tempeste contro la rivale e la dea del fuoco che risponde arrostendola quasi a morte con la fiamma del sole.

Il ritornello di questo canto è ape ape apenna [apenna]: non proprio interessante, dato che ape significa “fuoco”, come abbiamo già detto, ma di certo rende in modo molto chiaro l’idea di chi sia la protagonista. Del ritornello della versione registrata da Kubodera, invece, ho già parlato nella nota 6 e non mi ripeterò qui.


Ape ape apenna!
Notte e giorno cucendo soltanto
Io stavo e vivevo,
Finché un giorno una cincia picchiò alle imposte della finestra
E la sua voce mi giunse così:
«Divina nonna del fuoco, padrona di casa,
Sei davvero così cieca?
Tuo marito
Se n’è andato dalla dea dell’acqua,
Si comportano da marito e moglie.
Non te ne sei accorta?
Sei cieca?» Così disse la cincia.
Poiché questo mi giunse due, tre volte all’orecchio,
Presi il cesto dei miei tesori,
Vi infilai le mani e guardai.
C’erano guanti di carbone14 e zoccoli di carbone.
I guanti di carbone li misi sulle mie mani,
Gli zoccoli di carbone li misi ai miei piedi,
Poi scesi al punto dove si attinge acqua:
Lo feci per andare a casa della dea dell’acqua.
Risalii il fiume ma, poiché indossavo gli zoccoli di carbone,
Andavo correndo e facendo rumore,
Senza stancarmi affatto.
Giunta subito alla dimora della dea dell’acqua,
«Cosa fare per calmarmi?»
Domandai a me stessa, per cui
Divenni un uccello piccolo piccolo e provai a cantare.
La mia voce era una bella voce.
«Vai come un vento di metallo,
Vai come un vento di mukkuri15
Così dissi, e poiché la mia voce era indicibilmente bella
E io stavo sul davanzale della finestra e cantavo,
La coppia mi guardò.
Mi guardavano ridendo.
«Cosa canta quell’uccellino con voce così bella?»
Dicendo così, stavano ridendo
E mi guardavano, per questo mi arrabbiai
E i vestiti della dea dell’acqua, fino alla sottoveste, tutti cantai che avrei strappato.
Sia i vestiti che la sottoveste, tutto quanto le strappai, senza accorgermene16.
La dea dell’acqua mi guardava
E continuava a ridere, così mi arrabbiai
E cantai di nuovo che avrei strappato anche a mio marito sia il perizoma che i vestiti.
Così in un qualche modo davvero strappai a mio marito sia il perizoma che i vestiti.
Allora anche lui apparve completamente nudo.
La dea dell’acqua vide mio marito completamente nudo ed esaminò se stessa
Ed era completamente nuda anche lei.
Sorpresa dalla scena,
Con gran rumore sparì verso l’alto
E se ne andò da qualche altra parte.
Io mi accasciai sotto la finestra
E rimasi come morta.
Per il tempo in cui bollono due o tre pentole
Io rimasi come morta.
Poi mi svegliai e guardai.
Poiché mio marito, ancora completamente nudo, giaceva davanti al focolare,
Mi alzai e andai da lui.
Scossi e scossi, poi
«Anche se pensavo di stare ancora dormendo,
Sembra che mi abbiano svegliato,»
Dicendo così, e sfregandosi gli occhi,
Lui si alzò. Lo feci vestire,
Poi tornammo a casa nostra assieme.
Poi, come al solito, mio marito sulla sedia
Intagliava di continuo tesori17,
Mentre io cucivo, notte e giorno,
Seguivo con lo sguardo l’ago andare avanti e indietro.
Io cucivo, e così stavamo,
Perché eravamo persone senza figli18,
Eravamo persone che si sentono sole assieme e lavorano soltanto.
Così parlò Ape Huci Kamui.

Testi originali presi da Nakagawa, Hiroshi; Bugaeva, Anna; Kobayashi, Miki and Yoshimi, Yoshikawa (2016-2024) A Glossed Audio Corpus of Ainu Folklore. NINJAL.

NOTE

1 - Huci, a volte scritto fuci, significa letteralmente “nonna”, ma può anche indicare una donna anziana in generale. Neil Gordon Munro cercava spesso e volentieri di interpretare questa parola come “antenata”, così come il suo corrispondente maschile, ekasi, ossia “nonno”, nel tentativo di provare la sua tesi, secondo cui sarebbero il segno dell’esistenza presso gli ainu di un culto degli antenati divinizzati. Quasi nessuno sembra essere d’accordo con lui, ma è giusto segnalare anche questa interpretazione.
2 - Il fulmine era anche il portatore del fuoco nella tradizione ainu, perché è proprio sotto forma di fulmine che il primo fuoco sarebbe arrivato sulla terra: era Kinasut Kamui, il dio serpente che aveva deciso di seguire Ape Kamui perché innamorato di lei. Ma questa è un’altra storia. Gli ainu non avevano un vero e proprio mito prometeico sull’origine del fuoco, rubato o meno alle divinità: il fuoco era arrivato col fulmine, tutto qui, oppure era nato da due bastoncini strofinati assieme.
3 - La sola eccezione, almeno tra gli ainu di Hokkaidō, si verificava durante lo iyomante, la cerimonia dell’orso, quando alcune parti dell’animale potevano essere mangiate anche crude, ma quel gesto era appunto un caso molto particolare, apparteneva interamente alla sfera del sacro e non aveva valore alimentare. Gli ainu di Sachalin erano invece meno rigidi nel rifiuto di carne e pesce crudi, a quanto pare.
4 - Per quanto riguarda il Caucaso, rimando per esempio a Georges Charachidzé, Prométhée ou le Caucase, Flammarion, Paris, 1986, pag. 195 e seguenti.
5 - Mat può anche significare “moglie”, in base al contesto. Siccome qui non si fa riferimento ad alcun marito, meglio tradurlo come “donna” in generale, direi.
6 - In un kamui yukar raccolto da Kubodera, che è quasi uguale al secondo testo qui tradotto e ha come protagonista sempre la dea del fuoco, il ritornello è “Apemeru koyan koyan, matateya tenna”. Chiaramente una delle due forme deve essere stata trascritta in modo sbagliato, per quanto riguarda la seconda parte, perché le probabilità che due canti con lo stesso protagonista abbiano casualmente ritornelli in cui la sola differenza sostanziale è il modo in cui è suddivisa una parola sono parecchio basse: più ragionevole pensare a una specie di dizione formulare relativa alla dea del fuoco, la cui scansione non è forse stata capita bene dagli ascoltatori. La lingua ainu ha avuto una forma scritta soltanto di recente, quando era ormai prossima all’estinzione, per cui è del tutto normale che ci siano pareri diversi su come trascrivere testi tramandati a lungo in forma orale. Ape merumeru significa “scintille di fuoco”, mentre koyan può essere tradotto come “salire” o “emergere”, coniugato nel modo opportuno. Potremmo dunque rendere la prima parte del ritornello come “Scintille di fuoco, salite, salite!”. La seconda parte matateya tenna, invece, non ho idea di cosa possa significare. La frase apemerumeru koyankoyan mat, usata qui come ritornello, può essere tradotta come “donna che emerge nelle scintille del fuoco”; ateyatenna, invece, non ho idea di cosa potrebbe significare, di nuovo.
7 - Nei kamui yukar troviamo spesso riferimenti a qualcosa che accade “due volte, tre volte”. Non va presa alla lettera: è solo una figura retorica caratteristico di questo genere di canti ainu. Corrisponde più o meno al generico “due o tre” che usiamo anche in italiano per indicare una piccola quantità, non ben precisata. “Lampo” è ovviamente imeru, che si intona molto bene col merumeru del ritornello.
8 - Letteralmente è “un oggetto incrociato”, utasap, ma lo possiamo visualizzare come fili di erba (artemisia) annodati assieme a formare una croce, che ricorda a grandi linee una figura umanoide. Qualcosa di simile a una di quelle bamboline voodoo fatte di paglia intrecciata, insomma, giusto per dare un’idea di che aspetto avesse.
9 - Guardando dalla sacra finestra orientale, il lato sinistro del focolare è quello dove siedono gli ospiti.
10 - La parola ainu è nusa, che indica un certo numero di inau raggruppati assieme per una qualche celebrazione religiosa o una offerta particolare. A volte questi inau sono racchiusi da una piccola palizzata, su cui possono essere conficcati crani di animali. Un nusa si trovava accanto a ogni abitazione ainu, di solito davanti alla sua finestra orientale, l’entrata sacra della casa: non è un altare, ma è comunque un luogo che ha una sua sacralità e presso il quale si può pregare. In mancanza di termini migliori, l’ho riassunto come “sacrario”.
11 - Gli ainu non spegnevano mai il fuoco domestico, se non in circostanze particolari, quando doveva essere rinnovato per rimuovere una impurità. Lo coprivano con la cenere, di notte, così che il giorno dopo fosse pronto a risvegliarsi.
12 - In realtà è il suo comportamento non conforme (sinnay puri: “abitudini anomale”, “comportamento diverso” e così via), perché di peccati non si può parlare nella società ainu, almeno non in senso cristiano. Piłsudski, però, lo traduce in polacco come grzesznych, (cfr. il russo gréšnik, “peccatore”, da grech, “peccato”), scegliendo forse di parlare di peccati per semplicità.
13 - Gli aggettivi kosne e pase significano rispettivamente “leggero” e “pesante”, ma misurano anche il grado di rilevanza di un kamui, quando usati per descriverlo. Un kamui “pesante” è una divinità importante, una figura di spicco come la dea del fuoco, l’orso o il lupo. Un kamui “leggero” è invece una divinità da poco, spesso legata a malattie e altre cose moleste.
14 - La parola ainu è pas, che indica il carbone o anche l’esca dell’acciarino, ma può essere usata come aggettivo col significato di “nero”, nonché in composti collegati al fuoco e alla sua accensione, come pasna, “ceneri”, oppure pas-op, “scatola dell’acciarino”. Il significato di acciarino è presumibilmente tardivo, dato che gli ainu hanno scoperto questo modo di accendere il fuoco solo dopo averlo importato dai giapponesi: prima ricorrevano ai karani, i bastoncini da sfregare. Carbone o esca che sia, si tratta comunque di qualcosa collegato al fuoco e che lo può potenziare: guanti e zoccoli sono entrambi oggetti che danno poteri particolari alla dea, almeno in questa storia. Curiosamente, in giapponese la parola ainu pas è tradotta in entrambi i casi col giapponese senri, ossia “mille ri”. Il ri era una misura per le distanze e i “mille ri” sono una espressione generica per indicare grandi distanze: un cavallo da mille ri, per esempio, è un cavallo che in un solo giorno riesce a compiere lunghi viaggi, mentre calzature dei mille ri sono l’equivalente nipponico dei nostri stivali delle sette leghe.
15 - Strumento musicale ainu, simile a uno scacciapensieri, ma fatto interamente di legno o bambù. Al posto della lamella di metallo da colpire, ha una cordicella da tirare.
16 - Forse ha utilizzato i guanti speciali che aveva indossato in precedenza, per ottenere questo risultato, altrimenti la loro esistenza resterebbe del tutto inspiegata, dato che non hanno alcun ruolo nella storia, a differenza degli zoccoli che avevano almeno aiutato la dea a viaggiare più velocemente, in modo simile agli stivali delle sette leghe nella tradizione fiabesca europea. Se è così, la magia dei guanti deve interpretarsi come la capacità di toccare oggetti a distanza, proprio come quella degli zoccoli era di coprire grandi distanze.
17 - Preparare inau e intagliare oggetti di legno, spesso anche decorandoli, era la tipica attività domestica degli uomini nelle famiglie ainu. Solo gli uomini potevano occuparsi dei riti e della religione in generale, per cui la realizzazione di inau, utilizzati in innumerevoli rituali, era il loro dovere quotidiano. La scena della dea del fuoco che cuce, mentre il marito lavora il legno, rispecchia quanto avveniva di solito in una normale casa ainu.
18 - Secondo Batchelor, però, la dea del fuoco aveva una figlia, Sukoyanmat, il cui nome la identifica come una donna che mantiene calde le pentole. Considerato che, in un’altra sede, lo stesso Batchelor la definisce come la nipote della dea del fuoco, anziché la figlia, è meglio prendere con le molle questo personaggio.