Adriano - racconti e altro

La fanciulla e il vitellino

Un re aveva un figlio e una figlia. La figlia era amata dal padre e invece la madre amava il figlio. Avvenne che il re acciecò. Si domandò consiglio a un valentissimo medico, il quale rispose che c’era un solo rimedio per guarire il re dalla cecità, ed era di bagnargli gli occhi col sangue della figlia. Per quanto il re desiderasse di riacquistar la vista, pure, quando intese che gli sarebbe costato la vita di quella figlia che amava più di sè stesso, non ne volle più sentir parlare. Non così però la pensava la crudele madre, la quale, odiando a morte la sventurata fanciulla, tanto seppe dire che indusse il marito a seguire il consiglio del medico. Fu dunque deciso che s’ucciderebbe la fanciulla e col suo sangue si bagnerebbero gli occhi del re.

Il figlio era stato ad ascoltare dietro l’uscio, ed aveva inteso quanto avevan divisato di far della sorella i suoi genitori. Senza por tempo in mezzo corre a trovarla e le conta ciò che ha udito. Pensa e ripensa, deliberano i due giovani di fuggire e di mettersi in braccio alla fortuna. Così stabilito, fanno un fardellino delle cose più necessarie, e poi, senza esser visti da alcuno, abbandonano la reggia.

Camminavano già da alcune ore, quando, stanchi della via, si fermano a riposare sotto un albero. Qui cavano dal fardellino del pane e si mettono a mangiare saporitamente. Mangiato ch’ebbero, si rimisero in via. Faceva un gran caldo e il ragazzo cominciò a sentir un’ardentissima sete. Vide di lontano una fonte e, presa per mano la sorella, corse difilato a quella. Appena vi giunse, si distese sull’erba ed accostò la bocca all’acqua; ma l’aveva appena accostata, che udì uscirne una voce, che diceva: Non ber di quest’acqua, o fanciullo, altrimenti tu diventerai un asino. - La sorella, udita la minaccia della fonte, fu presta a tirar per la giubba il fratello e a dirgli: Non bere, te ne prego.

- Ma io muoio di sete, - dice il ragazzo, - e possa pur diventare un asino, voglio tuttavia bere alla prima fonte, in cui m’abbatto.

Camminano ancora, ed ecco un’altra fonte. Il fanciullo vi corre desideroso di calmar la sete che lo divorava. Ma anche qui, appena ebbe avvicinato le labbra all’acqua, una voce, uscita dalla fonte, lo minacciò con queste parole: Non ber di quest’acqua, fanciullo, altrimenti diventerai un maiale. - La sorella pronta lo toglie di là, e il fanciullo andava borbottando: Dovrò io dunque morir di sete? Possa diventar un asino, possa diventar un maiale, non me n’importa. Alla prossima fonte che trovo nessuno mi torrà dal cavarmi la sete.

Non andò molto, che videro di lontano un’altra fonte. Il fanciullo, spiccatosi dalla sorella, che dietro gli gridava: guardati dal bere, fratello mio, - di corsa fu alla fonte. Appena ebbe accostata la bocca all’acqua, una voce minacciosa si fece udire: Non ber di quest’acqua, fanciullo mio, altrimenti diventerai un vitellino. - Ma il ragazzo, non ascoltando nè la minaccia della fonte, nè le preghiere della sorella che lo tirava per la giubba, bevve a sazietà di quell’acqua. Però subito che fu alzato, si vide cangiato in un vitellino. La sorella, disperata come una pazza, correva qua e là gridando: Cos’hai fatto, fratel mio caro? Perchè non m’hai ascoltato? Che farò io sola in questo mondo? - Contuttociò non le sofferse il cuore di abbandonar il fratello in quello stato e legatagli una cordicella a una gamba, cominciò a tirarselo dietro. Cammina, cammina, era venuta notte, quando di lontano vide un lumicino. La fanciulla s’avvia verso quello e, dopo aver camminato e camminato, si vede innanzi a una magnifica reggia tutta illuminata a festa. Stanca del cammino, siede sovra un sedile di marmo che era sul dinanzi del palazzo, e tiratosi presso il suo caro vitellino, aspettava il sonno che la ristorasse. Potevano essere passate due ore che la fanciulla sedeva in quel luogo, quando dal palazzo uscì un servo tutto gallonato, che s’avvicinò alla ragazza e le domandò: chi era e che voleva in quel luogo. Ma non ebbe per risposta che sospiri e singhiozzi. Maravigliato di questo, rientra nel palazzo e racconta la cosa al re. Questi, curioso anzichè no, discende, viene al luogo dov’era la fanciulla e seco la conduce in una sua stanza. Qui le domanda: Dimmi chi sei e di dove vieni. Ed ella cominciò, piangendo e rossa per la vergogna, a contar chi l’era, e perchè fosse fuggita di casa; solo tacque quanto riguardava il fratello. Il re, udito ch’ebbe le storia, mosso a compassione della fanciulla, le disse: Se a te piace, potrai restare nel mio palazzo e t’assegnerò una stanza. - Accettò ella l’offerta, solo pregò il re che le concedesse di tener sempre seco quel suo caro vitellino.  E il re, quantunque fosse curioso di saper la storia del vitellino, pure le accondiscese anche in questo.

Passarono due anni e la fanciulla crebbe in tanta bellezza, che il re se ne invaghì perdutamente e la fece sua sposa. Le nozze furono sontuose. Ma poco dopo il re dovette allontanarsi dalla reggia, perch’era stato invitato a un torneo che si teneva in un regno vicino. Prima di partire chiamò a sè una sua vecchia fante, e le raccomandò che avesse cura della sposa. Poi abbracciata e baciata più volte la moglie, partì accompagnato da una schiera di valoroso baroni e scudieri. La moglie, addolorata per la partenza del marito, si affacciò alla finestra del palazzo e finchè potè gli tenne dietro con gli occhi. Ma intanto la perfida vecchia, a cui il re partendo aveva affidato la sua sposa, andava meditando un’opera infame. Fattasi vicino alla fanciulla che era alla finestra, l’afferrò d’improvviso e la spinse in fuori. L’infelice non ebbe neppure il tempo di gridare, che le onde del mare ormai la inghiottivano e uno smisurato pescecane se la mangiava viva viva. Aveva ciò fatto la vecchia col suo fine, perchè, avendo a casa una figlia alquanto brutta, desiderava darla al re per sposa. Chiama adunque a sè la figlia, le conta quant’ha fatto per suo amore, e che ora sta in lei di fare il resto. Ma qui c’era però un guaio, chè il re avrebbe facilmente riconosciuto l’inganno, perchè troppa differenza c’era tra le due giovani in quanto a bellezza. Però la vecchia strega credette di aver trovato anche a questo il suo rimedio, dicendo alla figlia che si mettesse a letto e si fingesse malata.

Pochi giorni dopo tornò il re dal torneo, e domandò subito di veder la sposa. Gli fu detto ch’ella era ammalata; senza indugio volle vederla. Appena la vide, gli parve che non fosse già quella la sua sposa, pure non volle mostrare aperto il suo sospetto, perchè, si sa, i mali alterano molto le fisonomie anche delle belle persone. Alcuni giorni appresso la finta malata chiamò a sè il re e così gli parla: Io so che tu mi vuoi bene, e che senti dolore per la mia malattia. Sappi dunque che non ci vedo che questo modo perchè io possa guarire, ed è che tu uccida quel vitellino, ch’è ora nella mia stanza, e poi mi si prepari per cibo il suo tenero cuore; questo solo può salvarmi. - Il re fu oltremodo sorpreso all’udire questa domanda e disse alla creduta sposa: È questo dunque l’amore che tu dicevi di portare a quel vitellino? Quand’io ti tolsi in casa, che eri poveretta e da tutti abbandonata, se ben ricordi, ti concessi di tenerlo presso di te. Il grande affetto che tu mostrasti per esso, oltre alle tue belle doti, fece sì ch’io m’innamorai di te e ti feci mia sposa. Che vuol dire dunque che quello, che poco fa amavi e accarezzavi, ora disprezzi e odii? Però sia fatta la tua volontà, purchè poi tu non te n’abbia a pentire.

Così detto, comandò a un suo servo che se n’andasse nella stanza del vitellino e lo sgozzasse, e ne cavasse il cuore per farne poi un manicaretto alla sposa ammalata. Andò il servo, come gli era comandato, ma quale non fu la sua maraviglia, quando, appena aperta la porta della stanza, udì il vitellino gridare in tuono lamentevole: Sorella mia, sorella mia, già s’affila il coltello, già bolle il paiolo, e io sarò morto tra pochi istanti: aiutami se puoi. - E un’altra voce rispondeva: Fratello mio, fratello mio, io non ti posso aiutare, perchè sono nel ventre del pescecane. - Il servo, udite le due voci, rimase così atterrito che non ebbe il coraggio di farsi innanzi, e fuggì a contare il tutto al re. Questi volle pur esso sentire come stesse la cosa e, andato alla stanza del vitellino, udì le due voci che avevano spaventato il servo. Attonito e, non sapendo come spiegar la cosa, ma pur immaginando che sotto ci dovesse essere qualche maraviglia, non volle uccidere il vitellino, e alla moglie fece apparecchiare un manicaretto che le si disse esser composto del cuore della povera bestia uccisa. Nello stesso giorno il re mise fuori un bando, col quale prometteva una gran somma di danaro a chi gli avesse portato il pescecane, che si trovava nel mare lì vicino. Un pescatore, in sul far della sera, portò alla corte lo smisurato pescecane; fatto subito sventrare, n’uscì la vera sposa del re. Questi allora, cominciando a conoscere com’era andata la faccenda, senza mover parola con persona, prese per mano la sposa, e la condusse alla stanza del vitellino. Ed ecco, appena entrati ambidue, che il vitellino in un tratto si muta in un bellissimo giovane e, abbracciando la sorella e singhiozzando per l’allegrezza, la ringrazia d’averlo salvato. Il re, ch’era passato in pochi giorni di maraviglia in maraviglia, una più sorprendente dell’altra, fu curioso d’aver finalmente una spiegazione. E la giovane cominciò a contargli il tutto dal primo momento in cui era fuggita di casa col fratello fino al punto in cui era stata gettata in mare dalla maligna vecchia. Il resto lo sapeva egli meglio di qualunque altro. Udita questa storia, il re pensò tosto a vendicarsi di chi aveva tentato ingannarlo così crudelmente. Pregò la sposa che intanto se ne stesse nella sua stanza fino al momento ch’egli stesso verrebbe a prenderla. Per il giorno dopo comandò si apprestasse un sontuoso banchetto per festeggiare la guarigione della sua sposa, e quando tutti godevano della festa, alzatosi il re si ritirò per un istante. E poco dopo comparvero i due, fratello e sorella. Il re raccontò a tutti la storia di questi sventurati, e, come venne a dire delle scelleratezze di quelle due donne, che poco prima sedevano al banchetto liete e trionfanti, ed ora per lo spavento tremavano a verga a verga, tutti s’alzarono in piedi e avrebbero fatto a brani le due scellerate, se il re non lo avesse vietato. Però la vendetta non si fece aspettare molto, chè il giorno stesso spenzolavano all’aria impiccate ambedue per la gola. Il giovane, non tanto dopo, venne a sapere che il padre era morto e che i sudditi ne aspettavano l’erede a braccia aperte. Andò dunque egli al suo regno, e la sorella rimase felice e amata con lo sposo.

Commento

Abbiamo una madre (non matrigna, per una volta) che fa preferenze, abbiamo la sposa legittima vittima di un tentato omicidio e rimpiazzata dalla figlia dell’assassina, abbiamo un umano trasformato in animale per aver bevuto alla fonte sbagliata, abbiamo la vendetta finale con l’impiccagione delle due colpevoli. Rispetto ad altri casi di madri snaturate, però, qui fratello e sorella vanno d’accordo e fuggono assieme quando il re era pronto a uccidere la figlia per usare il suo sangue come cura contro la cecità: rimedio piuttosto barbarico, senza dubbio, proprio come barbarico (ma molto tradizionale) è il desiderio della falsa sposa di mangiare il cuore del vitello in cui il fratello era stato trasformato. D’altro canto, è proprio questa seconda barbarie a insospettire il re e a condurlo al lieto fine, perché troppo lontana dal personaggio.

Le tre sorgenti che minacciano chi cerca di bere potrebbero essere considerate un ricordo di certe tradizioni ricorrenti presso vari popoli, secondo cui bisognerebbe propiziare gli spiriti delle acque prima di poter bere senza problemi. D’altro canto, sorgenti misteriose con poteri magici compaiono di continuo in storie di ogni genere, inclusi i pomeri cavallereschi del rinascimento (le fonti nella foresta delle Ardenne così care a Boiardo e Ariosto, giusto per dire), per cui potremmo anche limitarci a considerarle qui un semplice richiamo a esempi già noti e non pensarci troppo.

Nel complesso è una storia piuttosto convenzionale, che appartiene al ben nutrito filone delle spose sostituite durante l’assenza del marito: a volte la sostituzione con tentato omicidio avviene prima del matrimonio, a volte poco dopo, ma sono dettagli di una storia così tradizionale da essere stata attribuita anche alla madre di Carlomagno, Bertrada, meglio nota come Berta dai piedi grandi, che sarebbe stata vittima di uno scambio simile: proprio la dimensione dei piedi, poi, avrebbe consentito il riconoscimento finale. Non che sia l’esempio più antico (è del XIII secolo) o l’origine di questo motivo fiabesco, sia chiaro, ma è forse il più famoso, anche solo per essere stato spacciato per storia autentica, e poi si inserisce bene nel filone “cavalleresco” a cui potrebbero appartenere anche le fonti magiche.

Nel testo, “udito ch’ebbe le storia” sembra essere un chiaro refuso, ma era così nell’originale e io lo riporto come l’ho trovato nell’edizione del 1879.