Adriano - racconti e altro

I tre cani maravigliosi

Una volta c’era un contadino, povero assai, e quel ch’è peggio, pieno di debiti in modo che non sapeva più dove batter la testa. Aveva sì un poderetto, ma questo era troppo povera cosa, perchè, anche vendendolo, bastasse ad accontentare i creditori. Un anno, venuta l’epoca del raccolto, prese su il suo frumento e lo portò al mercato per venderlo: - Quest’annata riuscì buona, - diceva avviandosi al mercato, - e spero di ricavare dalla vendita del frumento un buon marsupio di danaro. Giuntovi, gli si fa incontro un uomo, che conduceva tre cani, l’uno dei quali si chiamava Corri come il vento, il secondo Sbrana tutti, il terzo Rompi porte e catene. L’uomo dai tre cani si volse al contadino, e gli disse: Vuoi tu vendermi il tuo frumento?

- Io sì; son qua venuto appunto per questo.

- Ebbene, se tu me lo dai, io in cambio ti cedo questi miei tre cani, de’ quali non c’è pari al mondo. Ti basti sapere che a un tuo cenno l’uno d’essi corre come il vento, il secondo sbrana chiunque tu voglia, e il terzo spezza porte e catene.

Il contadino, credendosi beffato, non gli diede nè anche risposta, e si volse altrove. Ma l’altro tanto lo perseguitò con le lodi de’ suoi tre cani, che finalmente lo persuase. Il contratto fu subito stabilito, e il contadino se ne tornò a casa coi tre cani. Appena fu a casa, la madre gli fu attorno desiderosa di sapere la somma di danaro riscossa dalla vendita del frumento, e quando seppe dello strano contratto, come un basilisco assalì il malcapitato con improperi, gridando: Balordo che fosti, va adesso, paga i tuoi debiti con quei tre cani. T’hanno annasato ch’eri uno sciocco, e non hanno sbagliato no, alla fe’ mia. L’ho sempre detto io che tu eri nato per la rovina della tua casa. - E non passava giorno che una tale tempesta non si rinnovasse, tanto che il pover’uomo infastidito, un dì abbandonò casa e madre, e coi tre cani andò girando il mondo.

Gira e gira, una sera vede di lontano un lumicino, si avvia verso quello, giunge a una casa e picchia. Viene ad aprirgli una donna e domanda: Che vuoi? - Risponde il contadino: Che mi lasciate entrar a riposare, e che mi diate un tozzo di pane, tanto ch’io mi sfami.

- Oh! poveretto te, dove sei capitato. Fuggi, fuggi, finchè hai tempo, che in questa casa abita l’orco, e appena torna, se ti trova, ti mangia in un boccone.

Il contadino però che aveva fede nei tre cani, prega e riprega la donna, tanto che lo lascia entrare. Mangia un boccone in fretta in fretta, e poi si nasconde sotto una scala, perchè già si sentivano i passi dell’orco che di fuori urlava: Apri, apri. Appena fu dentro l’orco, annasò da ogni lato della stanza, e poi rivolto alla donna dice: qui c’è dentro qualcuno, o almeno c’è stato.

- Che di’ tu mai? - risponde quella, - non c’è nessuno, te lo giuro io.

L’orco, credendo alle parole della donna, afferrò per le corna un gran bue, e se lo mangiò tale e quale senza nè scuoiarlo, nè squartarlo; poi stracco morto si buttò sopra un letto, e pochi minuti dopo russava rumorosamente.

Il contadino, appiattato sotto la scala, aveva udito tutto, e se gli tremasse il cuore, ognuno può crederlo. Quando sentì che l’orco dormiva, uscì dal nascondiglio e fece un cenno a’ suoi cani. Questi si slanciarono sull’orco e lo fecero in brani. Poi, fatto fardello delle cose più preziose che trovò in quella casa, e regalata prima generosamente la buona donna, partì di là e si rimise in via.

Cammina e cammina, arriva in sulla sera in una città. Le campane suonavano a morto, e sul volto d’ogni cittadino si leggeva la mestizia. Curioso il contadino di saper la cagione di questo fatto, entra in un’osteria e interroga l’oste. Questi rispose: Sappiate, mio buon giovane, che la città è contristata, son già più mesi, da un orrido mostro, il quale ogni mattina vuole per suo pasto una bella e nobil donzella. Oramai un centinaio e più furono preda della sua ingordigia, e domani è venuta la volta della figlia del re. Ecco la cagione per cui voi avete sentito suonar le campane della città.

- E non si potrebbe ucciderlo questo mostro? - domanda il contadino.

- Magari si potesse, - ripiglia l’oste, vi basti sapere che il re ha promesso in isposa la sua figlia, e in dono il suo regno a chi sapesse salvargliela. Ma finora nessuno s’è presentato, perch’è impossibile, ve lo dico io, vincere un mostro così tremendo, contro del quale è impotente anche un esercito.

Il giovane, avute queste informazioni, ordinò per sè una lauta cena e una buona zuppa per i cani. Poi andò a letto, e per alcune ore pensò al modo di presentarsi egli come campione della sventurata fanciulla. Si trattava d’aver per moglie nient’altro che la figlia d’un re e un regno per giunta. Che boccacce farebbe la madre all’udire sì bella ventura toccata al figlio balordo, qualora egli riuscisse nell’impresa! Deliberato ormai di giuocar questa carta, sempre con l’aiuto de’ suoi cani, s’addormentò.

All’indomani s’alza per tempo e va al luogo, dove usciva dal mare il mostro. Era poco che qui si trovava, quando vede venire alla volta una lunga processione d’uomini e di donne, vestite a bruno. Tutti si picchiavano il petto e piangevano dirottamente, ma sopra a tutti moveva a compassione il re, accompagnando la figlia alla morte. Come furono al luogo, ov’era appostato il contadino, tutti presero commiato con lagrime dalla sventurata, e il re da ultimo. La giovane, appena s’accorse del contadino, che se ne stava fermo al suo posto, gli domanda: E tu, perchè non fuggi? Non basta sola una vittima? - Risponde il contadino: Sappiate, bella giovane, che se resto qui, non è senza cagione. Io ho deliberato di salvarvi a tutt’i costi, o di morire con voi.

La fanciulla, all’udir sì generosa profferta, si sentì tutta commossa e, quasi dimentica del pericolo presente, cominciò a sperare. Poco stante s’udì un gran fracasso avvicinarsi dall’alto mare, che sempre più andava crescendo, quando a due passi dalla spiaggia uscì dall’onde l’immenso capo del mostro. Il contadino aveva prese giuste le sue misure. Appena vide giunto il momento, fece cenno a’ suoi tre cani, i quali si slanciarono furiosamente addosso al mostro. La lotta fu accanitissima e i latrati e gli urli attrassero al luogo d’essa molta gente, che credeva vicino il finimondo. Da ultimo la vittoria rimase ai tre cani, e la giovane fu salva. Dire la gioia del re e di tutto il popolo, quando si seppe morto il micidiale mostro, parrebbe un’esagerazione. Il contadino fu portato in trionfo, e il giorno appresso sposò la giovane da lui salvata e diventò re, e, sebbene rozzo, come narra la storia, non fu nè anche de’ peggiori.

Commento

Fiaba che si inserisce abbastanza bene nello schema della leggenda di Perseo così come delineato nel già citato The legend of Perseus di Edwin Sidney Hartland. Mancano la pietrificazione e la nascita miracolosa, ma troviamo gli animali aiutanti, in sostituzione delle armi magiche donate o prestate dagli dèi, e il salvataggio della principessa offerta in pasto al mostro marino. Che ci siano gli animali al posto delle armi, se accettiamo di seguire lo schema interpretativo proposto da Hartland, significherebbe che la storia proviene da un’epoca più antica rispetto alla versione tramandata dal mondo classico o, molto più semplicemente, che la versione narrata da Ovidio e colleghi è stata ritoccata per renderla più letteraria, come spesso succede, mentre la versione “popolare” preferisce il ricorso agli animali.

Altro episodio comune a innumerevoli fiabe è l’incidente nel corso del viaggio, quando l’eroe chiede ospitalità a una donna e quella lo mette in guardia dal resto della sua famiglia, che sarà di ritorno a breve e lo mangerà: spesso i mostri sono i figli, qui invece è un orco che forse dovrebbe essere il marito della donna, o qualcosa di simile. Se in altre storie l’eroe riesce spesso a farsi amici i mostri ricorrendo a una qualche menzogna escogitata dalla donna, qui il problema è risolto alla radice, coi cani che uccidono l’orco.

Di particolare interesse sono i cani stessi. Il loro nome e la loro descrizione suggeriscono che ognuno di essi dovrebbe svolgere una funzione particolare nel corso della storia, come in effetti accade in altre fiabe in cui compaiono i tre cani; in questa, invece, sono subito ridotti a una massa indistinta e si comportano tutti allo stesso modo, cioè come tritacarne pronti a maciullare ogni nemico. Non è da escludere che il narratore abbia fuso due storie diverse, oppure che le abbia ereditate già fuse assieme e raccontate così come le conosceva.

Sia come sia, anche in questa fiaba possiamo notare che il protagonista eroico è un contadino povero assai e il mezzo con cui raggiunge il successo sono tre cani ottenuti in cambio di un carico di frumento: niente principi azzurri con armi sfavillanti, insomma, ma un contesto molto popolare e plebeo. Possiamo dunque considerarla almeno in parte un altro sogno di rivalsa con cui chi ha ben poco cerca di consolarsi e regalarsi un attimo di gloria? Forse, se così vogliamo.