Adriano - racconti e altro

La fontana incantata

Un re aveva tre figliuole e le amava teneramente. Egli era solito passare una gran parte del giorno tra’ libri. Una volta gliene capitò alle mani uno, nel quale lesse: Tieni d’occhio, o re, le tue figliuole; guai per esse, se si avvicinano alla fontana del tuo giardino, le perderesti per sempre. - Al leggere questa ammonizione, il buon padre si sentì tutto pieno di spavento. Trovavansi alla corte tre fratelli, i quali erano innamorati perdutamente delle tre fanciulle, e non ancora avevano avuto il coraggio di domandarle in ispose al padre. Il re, chiamati i giovani, diede loro l’incarico di non perdere mai di vista le figliuole e di non lasciarle accostare alla fontana del giardino. Ben volentieri essi accettarono l’incarico; ma un giorno, mentre passeggiavano su e giù per il giardino in compagnia delle fanciulle, a un tratto non se le vedono più innanzi. Cercano di qua, cercano di là, non le trovano. Che hanno da fare? Che risponderanno al principe? Il più giovane ch’era anche, da quanto si vede, il più accorto, dice: Non vi sgomentate, fratelli. Facciamo così. Diremo al re che noi siamo pronti, uno alla volta, d’andar in cerca delle fanciulle. Se a capo d’un anno il primo che parte non torna, vuol dire ch’egli è morto o impedito, e partirà il secondo, e poi, non tornando pur questo, il terzo. - Piacque il consiglio e fu accettato.

Il re, come intese della sparizione delle figliuole, fu per morir di dolore, e accondiscese alla generosa proposta dei tre fratelli.

Partì dunque per primo il maggiore di essi, e dopo molto girare per valli e per monti, giunse a un’osteria ch’era in luogo deserto. Picchia; si fa alla finestra una vecchietta, la quale, un po’ stizzosa, domanda: Che vuoi?

- Che voglio? mettermi al coperto io e questo cavallo, ch’è mezzo morto di fame e di stanchezza.

- Senti, per te credo ci sia posto, ma per il cavallo smetti il pensiero, chè qui non c’è stalla.

- Sia pur come vuoi, aprimi tosto.

Gli fu aperto e, appena entrato, domandò alla vecchia se c’era una stanza dove poter riposare. Gliene fu indicata una, dov’erano tre uomini che giovavano alle carte. Il giovane incauto si lasciò adescare dai tre, che lo invitarono a prender parte al gioco, e fu sì infelice che perdette tutto il danaro che aveva portato seco e le vesti e il cavallo e sè stesso per giunta. Fu preso allora, legato e chiuso in una stalla.

Intanto era passato l’anno, e non tornando il maggiore de’ fratelli, disse il mezzano al minore: Or tocca a me partire. - Prese del danaro e un buon cavallo, e se n’andò alla ventura. Passa monti e valli, e la sorte lo conduce alla medesima osteria, dov’era tenuto prigioniero il fratello. Anch’egli si lascia vincere dai tre giocatori, e perde danaro, cavallo e libertà.

Come fu trascorso anche il secondo anno, il più giovane dei fratelli partì pur esso e giunse a quella medesima osteria. Ma qui la fortuna gli fu più amica che non fosse stata agli altri due, perchè vinse i tre giocatori e gli uccise assieme alla brutta vecchiaccia. Libera subito i fratelli, quindi, volto al maggiore, gli dice: Tu te ne starai qui ad apparecchiar il pranzo e intanto noi andremo a caccia; provvedi che tutto sia pronto per quando torneremo.

Quello ch’era rimasto all’osteria si diede subito ad accudire alle sue faccende, perchè il pranzo fosse pronto al ritorno de’ fratelli. Ma poco dopo, mentre la pentola già bolliva, ode uno strepito su per il camino, guarda in alto, e vede discendere un’orrida bestiaccia. Lo spavento lo prende in modo che non pensa nè a difendersi nè a gridar aiuto, e poi, come per incanto, s’addormenta.

Tornati a casa i fratelli, ch’avevano fatta buona caccia, trovano l’altro che pareva ebbro e, quel ch’è peggio, il foco è spento e il pranzo tutto guastato. Domandano cos’è mai accaduto. E il maggiore narra loro della brutta bestiaccia veduta e del sonno che lo aveva preso subito dopo.

- Ci starò io a casa domani, - disse il mezzano, - e voi andrete a caccia, lasciate fare a me.

Ma a lui toccò nè più nè meno che fosse toccato al fratello maggiore. Venne la volta del minore, e costui, che in ogni cosa s’era mostrato il più astuto e il più ardito, non si spaventa punto quando sente discendere giù per il camino la bestiaccia. Tosto si stese a terra fingendo di dormire e, appena la bestia fu giù e cominciò a spegnere il foco e a guastare il tutto, il giovane balza in piedi e con una spada le taglia il capo. Quando tornarono i fratelli dalla caccia, videro con stupore quanto aveva fatto il più giovane di essi.

Però quella casa non faceva più per loro. N’uscirono e in un cortile videro un profondo pozzo. Il minore disse agli altri due: Prendete una fune, lasciatela scorrere giù per il pozzo e io mi calerò per vedere che maraviglie ci son entro. - Così fecero, si cala il giovane, e quando tocca il fondo, s’accorge d’essere in una gran sala con attorno un infinito numero di statue, e in canto di essa un vecchione, che pareva il guardiano del luogo. Il vecchione dormiva. Il giovane, che aveva seco la sua brava spada, s’accosta al dormiente e gli spicca di netto il capo. Ma qual maraviglia! Fuori del capo spiccato cade a terra una chiave. La piglia e con essa apre un armadio, ch’era ivi, e trova uno scritto che dice: O tu che fosti tanto audace da discendere quaggiù, apri l’ultimo cassetto dell’armadio, e troverai un’ampolla; con l’olio ch’essa contiene ungi quante tu vuoi delle statue, che vedi qui attorno, ed esse torneranno vive, uomini e donne, in carne e ossa. - Il giovane, appena letto lo scritto, apre il cassetto, trova l’ampolla e con essa in mano va girando la gran sala. Giunto in un canto, vede mutate in statue le tre sorelle, le quali avevano cercato invano per tanto tempo. Unse con l’olio della ampolla le tre statue, ed ecco balzare in piedi le tre ragazze belle e vispe e stringersi attorno al loro salvatore. Non contento di questo, il giovane continuò, finchè ebbe olio, a unger le altre statue, e si vide attorno una folla di vezzose ragazze e di valorosi giovani. Seguìto da essi, si recò là dove pendeva ancora la fune, e a uno a uno li fece tirar su. Venuta la sua volta, con spavento s’accorse che i fratelli avevan tirata a sè la corda. Gridò, tempestò, ma indarno, chè nessuno gli rispondeva. Non sapendo più dove batter la testa, si diede disperatamente a fischiare pensando che così qualcuno l’avrebbe inteso alla fine. E infatti, non appena ebbe cominciato a fischiare, che gli apparve innanzi una torma di diavoletti. Gli ballavano intorno gridando tutti in coro: Che vuoi, padrone? Che vuoi, padrone?

- Ah! che voglio? mi domandate. Uscir di qui, e nient’altro, - rispose il giovane, null’affatto impaurito.

Non l’ebbe detto, che si trovò fuori del pozzo. Senza perder tempo, cammina dietro l’orme dei fratelli, finchè giunge alla corte del re, dal quale era partito qualche mese innanzi. Quivi trova tutti in feste per la liberazione delle tre sorelle. I due traditori, che avevano dato ad intendere d’esser stati essi a liberarle, si sentono venir meno all’arrivo del fratello. Questi si presenta al re e gli narra punto per punto quanto gli era accaduto. Il re, commosso, lo abbraccia e gli dà in sposa una delle sue figlie, e poi, volto ai due malvagi, vuole che sian trascinati a morte. Però il minore dei fratelli, che se era astuto e coraggioso, altrettanto era buono e generoso, domanda perdono per loro e l’ottiene; e si fanno le nozze splendide quanto mai.

Commento

All’inizio della storia, il padre delle tre ragazze è chiamato “re”, ma nel seguito diventerà ogni tanto “principe”. Forse il narratore non si ricordava bene quale fosse il suo titolo preciso. Non che abbia davvero rilevanza, ma è un particolare buffo.

Abbiamo tre principesse che scompaiono misteriosamente, abbiamo tre fratelli che le vanno a cercare uno dopo l’altro e ovviamente il fratello minore ha successo e salva i due fratelli maggiori. Segue poi un altro motivo classico, con tre aggressioni consecutive all’ora di pranzo, quando solo uno era rimasto a casa mentre i due compagni erano fuori a caccia: come da tradizione, è solo al terzo tentativo che l’assalitore è sconfitto (inutile specificare che è il fratello minore a risolvere il problema). C’è il solito pozzo, in fondo al quale si trovano le tre principesse prigioniere.

L’incidente con le aggressioni consecutive ai danni dei compagni dell’eroe lo troviamo anche nel diciassettesimo canto del Kalevipoeg estone, dove l’aggressore è un misterioso nano col potere di diventare gigante e le aggressioni sono non violente, perché lo sconosciuto si accontenta di sbafare tutto il cibo che trova per poi andarsene. Provvederà l’eroe, quarto e ultimo a rimanere di turno in cucina, a sconfiggere l’intruso, ricorrendo lui sì alla violenza. Il mattino seguente troverà un misterioso pozzo che conduce al regno dei morti, proprio nel punto in cui aveva spiaccicato il nano. Non che questa fiaba mantovana abbia qualche collegamento con un poema epico baltico, sia chiaro: è solo per mostrare la diffusione di questo incidente nelle storie. Possiamo anche dire che, a differenza del solito, qui gli aggrediti raccontano subito cosa sia successo loro, invece di tenerlo segreto e inventare scuse.

C’è almeno un elemento della leggenda di Perseo, tanto cara ad Hartland, nella casa magica piena di statue, nonché nella decapitazione del cattivo di turno, con una chiave che esce dal moncherino del collo, proprio come dal collo di Medusa uscirono Pegaso e Crisaore dopo la decapitazione eseguita da Perseo col suo falcetto, ma niente di più. Volendo, per la ormai nota scena del pozzo possiamo seguire l’interpretazione data da Carlo Ginzburg nel suo Storia notturna. Una decifrazione del sabba, secondo cui dovremmo vedere nel pozzo una rappresentazione dell’aldilà. Ha un suo senso, dato che compare anche una banda di diavoli che aiuterà l’eroe a tornare in superficie per motivi non chiariti nella storia: Ginzburg probabilmente non ne sarebbe stato felice, perché preferiva le storie in cui questo compito è affidato a un’aquila, che dovrà anche mangiare parte di una gamba dell’eroe e renderlo così zoppo, ma sono dettagli. Anche nel citato Kalevipoeg il pozzo misterioso conduce al regno dei morti, peraltro, e in senso letterale, non solo figurato.

Ovviamente non manca il tradimento finale dei due fratelli inutili, che saranno poi perdonati dal fratello minore, perché le fiabe raccolte da Visentini sono in maggioranza orientate verso una forma di misericordia nei confronti dei traditori. Non sempre, certo, ma più spesso della media fiabesca. Forse l’autore della raccolta le ha scelte apposta, escludendo ove possibile le varianti con la morte dei fratelli.