Adriano - racconti e altro

La contesa tra Amaterasu e Susanoo

La dea del sole Amaterasu, il dio della luna Tsukiyomi1 e il dio delle tempeste Susanoo, considerati le tre divinità principali del pantheon giapponese, sono presentati già nel Nihonshoki come i tre figli più importanti di Izanami e Izanagi, la coppia di demiurghi che generò le isole giapponesi al principio dei tempi, come ci racconta il mito cosmogonico giapponese. O almeno, sarebbe logico aspettarsi che queste tre siano le divinità principali: sole, luna e tempeste hanno un ruolo di primo piano in svariate mitologie, sparse per il mondo. Dovrebbe essere così anche in Giappone, no?

Nei fatti, però, Tsukiyomi compare sulla scena soltanto in una versione di un mito2, mentre per tutto il resto del tempo non lo vediamo agire, o perché i miti che lo riguardavano non sono sopravvissuti fino a noi, oppure perché non sono mai esistiti. A dominare la scena mitologica, invece, saranno Amaterasu e Susanoo, il cui litigio occupa la fase di transizione che ci porta dagli eventi del mondo divino a quelli che si svolgono sul territorio giapponese e che, un poco alla volta, si fonderanno con la storia reale del paese. Per valori non sempre alti di realtà, ma questo è un altro discorso ed è un fattore comune alle storie antiche di quasi tutte le civiltà.

Secondo quella che possiamo considerare la versione ufficiale del mito, in quanto è quella a cui si fa riferimento abitualmente sia in Giappone sia fuori, le tre divinità sarebbero nate dalle abluzioni di Izanagi al ritorno dalla terra di Yomi, ossia dal regno dei morti. Come ci racconta il mito cosmogonico, infatti, sua moglie Izanami era morta partorendo il dio del fuoco e Izanagi, che non era disposto ad accettare pacificamente questo fatto, scese nell’aldilà per riportarla indietro. Come quasi sempre accade in questo genere di storie, il suo tentativo fallì e i due demiurghi si separarono definitivamente: Izanami rimase nel sottosuolo, come divinità ctonia, mentre Izanagi risalì al mondo di superficie. Così terminò la creazione del mondo.

Il primo atto di Izanagi al ritorno da quella sgradevole esperienza fu di purificarsi, perché Yomi è una terra impura3 e il solo contatto con quella regione aveva sporcato Izanagi. Dalle sue abluzioni nacquero varie divinità, ma le tre più importanti le generò lavandosi la faccia: Amaterasu nacque dal suo occhio sinistro, Tsukiyomi dall’occhio destro e Susanoo dal naso. Possiamo notare da subito il simbolismo di questa ripartizione: Amaterasu e Tsukiyomi, il sole e la luna, sono gli occhi di Izanagi, divinità celeste, mentre Susanoo, dio delle tempeste, è il suo soffio.4

Accanto a questa versione ufficiale della loro nascita, il Nihonshoki ci riporta altre due varianti minori, secondo cui i tre figli principali sarebbero nati da un normale rapporto tra Izanami e Izanagi quando entrambi erano ancora impegnati a creare il Giappone, invece che dalle abluzioni del solo Izanagi. Più precisamente, in una versione alternativa, dopo avere creato le isole giapponesi, i monti, i fiumi e tutti gli altri elementi naturali, Izanami e Izanagi decisero di creare anche qualcuno che avrebbe governato quel paese. Per prima nacque Amaterasu, ma i genitori la trovarono così splendida e perfetta che decisero di mandarla in cielo, per affidarle il dominio di quel territorio5.

Dopo Amaterasu nacque Tsukiyomi, un altro figlio splendido ma un poco meno della primogenita: i genitori decisero che anche lui sarebbe salito in cielo e avrebbe condiviso il regno della sorella, come suo compagno. Il terzo figlio venne male e fu abbandonato. Il quarto figlio fu Susanoo, un dio dal carattere violento, sanguigno e che si dedicava spesso ad azioni crudeli. Siccome continuava anche a piangere e gridare, causando morte e distruzione sulla terra, i genitori decisero di cacciarlo e lo mandarono ad abitare nel paese di Yomi.6

In una seconda versione, sempre dal Nihonshoki, la nascita delle tre divinità è attribuita al solo Izanagi, ma non è specificato in quale momento preciso le avrebbe create. Secondo questa variante, Izanagi avrebbe creato Amaterasu da uno specchio di rame bianco che impugnava con la mano sinistra, mentre Tsukiyomi sarebbe nato da un altro specchio di rame bianco che impugnava con la mano destra. Susanoo sarebbe invece nato mentre Izanagi aveva la testa girata da una parte e guardava di sbieco. Il resto è come la variante precedente: i primi due figli sono mandati in cielo a illuminare il mondo, mentre il cattivo Susanoo è mandato in castigo nel regno dei morti.

Troviamo una versione semplificata della stessa storia anche nel Kogo Shūi, secondo cui le tre divinità sarebbero nate da Izanami e Izanagi quando i due demiurghi avevano terminato la creazione del Giappone. Non ci sono forniti altri dettagli sul modo in cui i genitori li avrebbero creati, né su come sia stato diviso il dominio tra di loro, forse perché il compilatore di questo testo era più interessato a spiegare le genealogie delle famiglie aristocratiche e quanto fossero importanti i loro antenati divini. Questione di priorità, insomma.

La storia principale, a cui si fa riferimento di solito, è quella presentata in una parte successiva del Nihonshoki, nonché l’unica versione raccontata dal Kojiki, ed è la storia di cui parlavo all’inizio. Di ritorno dal paese di Yomi, Izanagi sente il bisogno di purificarsi. Il rituale che usa per liberarsi dalle impurità raccolte nella terra dei morti fornisce il modello di base per tutti i rituali di purificazione nello Shintō, come è naturale aspettarsi, e genererà un grande numero di divinità. Le più importanti, però, nascono dalla faccia del demiurgo e sono appunto Amaterasu, Tsukiyomi e Susanoo.

Intenzionato a ritirarsi, adesso che la creazione del Giappone è ultimata, Izanagi decide di dividere il regno tra i tre figli: ai primi due assegna il cielo, mentre a Susanoo affida il mare. Amaterasu e Tsukiyomi accettano senza problemi, ma Susanoo si ribella al volere del padre. Dopo avere pianto e infuriato sul territorio giapponese per un certo tempo, dichiara di non voler assumere il controllo del mare, preferendo invece andare nel paese della madre7. Izanagi lo accontenta e lo caccia dal regno degli dèi, ossia da Takamagahara8. Dopo avere castigato il figlio ribelle, anche Izanagi si ritira dalla scena e non comparirà più nei miti.

Prima di andarsene, Susanoo decide di voler incontrare per l’ultima volta la sorella Amaterasu e si reca al suo palazzo. Amaterasu, che ha grande fiducia nel fratello, lo attende armata di tutto punto e pronta alla guerra, con tanto di arco in pugno e freccia già incoccata. Susanoo dichiara però di avere buone intenzioni e di essere lì soltanto per salutarla, prima di abbandonare il paese. Per dimostrare che sta dicendo la verità, propone alla sorella di sottoporsi a una ordalia: entrambi giureranno e produrranno figli, e in base ai figli che genereranno si potranno valutare le loro reali intenzioni. Amaterasu accetta9.

Sistemati sulle sponde opposte del fiume Ame no Yasukawa10, i due possono cominciare la prova. Amaterasu si fa consegnare la spada di Susanoo, la spezza in tre parti, mastica i pezzi e li sputa, generando tre figlie. Susanoo si fa consegnare alcuni gioielli11 dalla sorella, li mastica e li sputa, generando cinque figli. Secondo la versione del Kojiki, Amaterasu è disposta a concedere la vittoria a Susanoo, ma esige di tenersi i figli maschi, perché sono stati generati usando le gemme che appartenevano a lei. Il fratello può tenersi le femmine. Secondo la versione del Nihonshoki, Susanoo è riconosciuto vincitore perché i maschi li ha generati lui12 e non ci sono altre discussioni. Sia come sia, dopo che si è conclusa questa prova, a Takamagahara si scatenerà il caos.

Forse perché felice della vittoria o forse perché gli girava così, essendo stato presentato più volte come un dio violento e selvaggio, Susanoo perde il controllo e comincia a infuriare ovunque, da perfetto rappresentante della potenza elementale dei tifoni e degli uragani. Secondo il Kojiki, Susanoo danneggia le risaie distruggendo le barriere di separazione e riempiendo i canali di irrigazione, per poi defecare in una sala del palazzo della sorella, proprio quella dove si sarebbero dovute gustare le primizie del raccolto. Per concludere il lavoro, Susanoo sfonda anche il tetto della sala di tessitura, dove Amaterasu faceva tessere a una sua ancella13 gli abiti celesti per tutti gli dèi, e getta all’interno la pelle di un cavallo pezzato che aveva scuoiato al contrario. La scena spaventa la tessitrice, che si trafigge al basso ventre con la spola e muore.

Il Nihonshoki aggiunge che Susanoo libera i puledri pezzati del cielo e li manda a calpestare le risaie, mentre la scena nella sala di tessitura è leggermente diversa: a tessere è qui Amaterasu in persona, non una sua servitrice, e con la spola si ferisce soltanto, invece di morire14. Il Kogo Shūi non ci parla della sfida tra Amaterasu e Susanoo, ma si dilunga maggiormente sui danni causati dal dio delle tempeste nel mondo divino. Questo testo ci spiega infatti che Susanoo commette tutti e sette quelli che sono considerati i “peccati celesti”: rompere le dighe delle risaie, ostruire i canali di irrigazione, togliere gli sbarramenti dell’acqua, seminare di nuovo un terreno già seminato, conficcare nei campi dei bastoni appuntiti, scuoiare al contrario un animale vivo, defecare15.

Sia come sia, la pelle di cavallo gettata nella sala di tessitura è la goccia che fa traboccare il vaso per Amaterasu. Arrabbiata e indignata per tutto ciò che il fratello Susanoo le aveva fatto patire, la dea abbandona il cielo e si rinchiude in una caverna: svanito così il sole, il mondo sprofonda nelle tenebre. Comincia qui uno degli episodi più famosi nella mitologia giapponese: l’eclissi della dea del sole e lo sforzo congiunto di tutte le altre divinità per convincerla a mostrarsi di nuovo.

Radunate sul greto dello stesso fiume dove già si era svolta la sfida tra Amaterasu e Susanoo, le divinità che abitano Takamagahara discutono di come risolvere il problema e riportare nel mondo la luce del sole. Incaricato di trovare una soluzione è il dio Omoikane, figlio di Takamimusubi16, secondo quanto ci racconta il Kojiki, e in breve tempo elabora un piano per attirare Amaterasu fuori dalla grotta in cui si è rinchiusa. La sua idea è di ingannare la dea, facendole credere che un nuovo sole sia sorto a illuminare la terra in sua assenza. Se penserà che sia arrivata una rivale, in un modo o nell’altro Amaterasu uscirà dalla grotta e a quel punto gli altri dèi la potranno far tornare al suo posto, a splendere in cielo e illuminare il mondo.

Per raggiungere questo obiettivo, Omoikane ordina che si radunino davanti alla grotta tutti i galli celesti, fa appendere nastri decorati con magatama17 a un albero sradicato e conficcato davanti alla caverna, fa forgiare uno specchio di metallo18, fa preparare altri oggetti come doni e allestisce una specie di festa davanti al nascondiglio di Amaterasu. Ordina poi al dio Ame no Tachikara19 di appostarsi di fianco alla pietra che chiude la grotta, mentre la dea Ame no Uzume si prepara a danzare davanti alla caverna. Dopo aver indossato decorazioni di vario tipo, Uzume rovescia una bacinella di legno, vi batte sopra il piede provocando un forte rimbombo, mostra il petto, si abbassa la cintura fino a esporre i genitali e danza in preda a quello che potremmo definire un furore estatico, provocando la risata di tutte le altre divinità.

Incuriosita dal rumore e dalla gioia apparente, Amaterasu socchiude la porta della grotta e si dichiara sorpresa per l’allegria degli altri, quando invece dovrebbero tutti essere tristi in un mondo senza la luce del sole. Uzume le risponde che sono felici perché è arrivato un nuovo sole e lo stanno festeggiando. In quel momento, gli dèi Ame no Oyane20 e Futotama, che reggono il grande specchio di metallo fatto forgiare da Omoikane, si fanno avanti e lo sollevano di fronte alla porta. La luce di Amaterasu si riflette nello specchio, facendolo sembrare davvero un nuovo sole. La dea si sporge per guardare meglio, ma a quel punto Ame no Tachikara la afferra e la trascina a forza fuori dalla grotta, mentre Futotama si affretta a bloccarne l’ingresso per impedirle di tornare indietro. La luce del sole splende di nuovo nel mondo e tutte le divinità di Takamagahara gioiscono.

Risolto questo problema, è il momento di sistemare Susanoo, il colpevole. Gli dèi si riuniscono in un tribunale, lo condannano a una severa multa, strappandogli anche le unghie e la barba, poi lo cacciano definitivamente dal cielo. Così si conclude la lotta tra Susanoo e Amaterasu.

Il Kogo Shūi ci racconta una versione più dettagliata di questo episodio, che vale la pena di riferire in questa sede. Dopo la scomparsa di Amaterasu, il buio cala su Takamagahara e le divinità ne sono turbate, anche perché devono svolgere tutte le loro attività alla luce di candela. Takamimusubi indice così un concilio divino sul greto del fiume celeste delle otto correnti21 e chiede cosa si possa fare per risolvere il problema. Omoikane propone così il suo piano, che coinvolgerà numerosi altri dèi e che consiste, di fatto, nell’organizzare il primo, grande matsuri della storia giapponese, ossia una festa in onore di una divinità. Fornirà anche il precedente mitico per i successivi matsuri che il popolo giapponese dovrà celebrare per le sue divinità, almeno in epoca arcaica.

Futotama avrebbe preparato offerte di tessuti di buona qualità, mentre Ishikoritome avrebbe costruito uno specchio di rame con la stessa forma del disco solare. Nagashiraha avrebbe dovuto piantare canapa22 con cui preparare offerte di tessuti tinti di blu, mentre Iwashi e Tsukuimi avrebbero dovuto preparare offerte di tessuti tinti di bianco, ricavati dal gelso23. Hazuchiyo avrebbe dovuto tessere stoffe di vari colori e Tanabatahime24 avrebbe dovuto tessere vesti divine. Kushi-Akarutama avrebbe dovuto legare assieme cinquecento gioielli su un unico filo, mentre Taokiho-Oi e Hikosashiri avrebbero dovuto costruire un palazzo di legnami pregiati, oltre a cappelli, lance e scudi. Infine, Ame no Mahitotsu25 avrebbe dovuto forgiare spade, asce e campanelli di ferro.

Finiti questi preparativi, avrebbero dovuto portare dal celeste monte Kagu un albero sakaki con cinquecento rami, appendere i gioielli ai suoi rami superiori, lo specchio ai suoi rami centrali e le offerte di tessuti ai suoi rami inferiori. Futotama avrebbe poi dovuto tenere in mano l’albero e lodare Amaterasu, mentre Koyane avrebbe recitato un inno per invocarla. Uzume avrebbe dovuto indossare una ghirlanda di edera, fissare le maniche alle spalle usando un tipo di lichene, tenere in una mano un fusto di bambù, nell’altra una lancia decorata con campanelli e danzare dopo avere sistemato una bacinella di legno capovolta davanti alla caverna26.

Quando tutto è pronto e gli dèi cominciano a fare festa, Amaterasu scosta un poco la roccia che blocca la caverna in cui si è nascosta, per vedere cosa abbiano da festeggiare gli altri, adesso che il sole è svanito dal cielo. Tachikara afferra allora la pietra e la spalanca completamente, costringendo Amaterasu a uscire allo scoperto e spingendola verso l’edificio che hanno eretto per lei, mentre Koyane e Futotama circondano il nuovo palazzo con una shirikumenawa27 e invitano Amaterasu a prendere possesso del nuovo edificio e a non nascondersi mai più. Seguirà poi la punizione di Susanoo e la sua cacciata dal cielo.

Le interpretazioni del mito, sia nel suo insieme che per le singole parti, sono variegate. Guardato da una prospettiva storica, il dissidio tra le due divinità è spesso considerato una versione figurata della vera lotta tra Izumo e Yamato, svolta nel periodo in cui il secondo clan puntava a imporsi come potenza egemone in Giappone, unificando l’intero territorio che fino a quel momento era rimasto diviso in numerosi staterelli governati da vari clan. Amaterasu era la dea principale di Yamato, considerata l’antenata della dinastia che poi diventerà imperiale; Susanoo, di contro, era una divinità legata al territorio di Izumo, ossia alla popolazione che aveva opposto maggiore resistenza alla campagna espansionistica di Yamato. Se vogliamo accettare questa lettura, la rivalità tra le due divinità sarebbe lo specchio della rivalità tra le due popolazioni. Il che è possibile e in linea coi fini propagandistici dei testi redatti per ordine imperiale, ma è anche molto riduttivo, perché evidenzia un unico aspetto del racconto, a scapito di tutti gli altri.

Se osserviamo invece la natura delle due divinità, abbiamo una contesa tra fenomeni meteorologici: da una parte Amaterasu, dea del sole, e dall’altra Susanoo, dio delle tempeste. In un paese dal clima monsonico come il Giappone, ogni anno abbiamo un periodo in cui il sole e le nuvole sembrano davvero lottare per il controllo del cielo, in un’alternanza di belle giornate e violenti nubifragi. Se aggiungiamo la frequenza con cui i tifoni si abbattono sulle isole giapponesi e la devastazione che causano, specie in un periodo come quello in cui i miti sono stati raccolti, possiamo vedere la lotta tra le due divinità come una descrizione del normale andamento del clima locale. Di nuovo, una lettura meteorologica di questo tipo è possibile, se vogliamo, ma anch’essa è molto riduttiva.

Per comprendere meglio il mito, è forse più conveniente osservare prima di tutto le cinque parti in cui possiamo dividere la storia: la ripartizione dei domini fatta da Izanagi, la sfida tra Amaterasu e Susanoo, la “follia” di Susanoo, l’eclissi di Amaterasu, il ripristino dell’ordine. Potremo così prendere in esame le singole parti, una alla volta, per vedere cosa abbiano da dirci oltre alla pura e semplice storia che concorrono a raccontare.

Il modo in cui Izanagi decide di suddividere il mondo tra i suoi tre figli è piuttosto chiaro e non mi pare abbia bisogno di eccessive spiegazioni. Amaterasu e Tsukiyomi sono il sole e la luna, nati dagli occhi del demiurgo: che siano loro due a ricevere il dominio del cielo è inevitabile e in linea con un gran numero di altre mitologie. Un successivo mito ci spiegherà poi perché fratello e sorella non appaiano assieme in cielo, ma alternino la propria presenza segnando così l’avvicendarsi di giorno e notte; che il cielo sia sotto il loro controllo, congiunto o alternato, è comunque inevitabile.

Susanoo, dio delle tempeste, è l’unico serio candidato a sostituirli, come avviene infatti in altre mitologie: quando non è il sole a governare dall’alto dei cieli, di solito è proprio il dio delle tempeste a farlo: abbiamo gli esempi di Zeus, Giove, Perkunas e molti altri. Izanagi, però, sceglie di assegnare al suo terzo figlio un ruolo diverso: sarà il signore del mare. Potrebbe sembrare un ruolo strano per un dio meteorologico come Susanoo, ma in un territorio come quello giapponese ha più senso di quanto appaia a prima vista. Arcipelago monsonico e spesso colpito da tifoni, le tempeste più violente raggiungono il Giappone provenendo proprio dal mare: è davvero così strana l’idea di una stessa divinità che esercita il suo dominio su entrambi questi elementi, pioggia e mare?

Più curioso, semmai, è il rifiuto di Susanoo. Invece di accettare l’incarico che il padre gli ha assegnato e assumere il controllo del mare, il dio vorrebbe raggiungere la madre nel paese di Yomi, l’aldilà. Che Izanami non sia tecnicamente la madre di Susanoo è secondario, da un certo punto di vista. Anche se a generare le tre divinità maggiori è stato il solo Izanagi, resta il fatto che la coppia di demiurghi formava quella che possiamo considerare una divinità doppia. Apparsi assieme, assieme hanno generato il Giappone, per sparire poi quasi assieme, dopo avere completato la creazione introducendo nascita e morte nel nuovo mondo: non hanno neppure uno straccio di personalità individuale, ma esistono solo come coppia, anche nel culto shintoista. Nulla di strano se Susanoo li considera entrambi come propri genitori, anche se soltanto in alcune varianti del mito Izanami e Izanagi hanno collaborato per generarlo.

Meno strana è la transizione dal mare al regno dei morti. Presso molti popoli che vivono su isole, infatti, la separazione tra vivi e morti non è verticale, ma orizzontale: invece di un regno dei morti sotterraneo, troviamo un aldilà che è sullo stesso livello del mondo dei viv, ma spostato in un paese remoto, oltre l’orizzonte. Nelle isole del Pacifico, ad esempio, è molto comune che l’aldilà si trovi in una fantomatica isola a occidente, dove tramonta il sole, ma anche i celti dell’Irlanda collocavano spesso il proprio aldilà su isole occidentali, oppure in una terra al di sotto delle onde. Gli stessi greci, accanto all’Ade ctonio, avevano anche i Campi Elisi e le Isole dei Beati, immaginate nel mare occidentale, mentre in Giappone esiste Tokoyo no Kuni, un’isola beata da qualche parte a ovest, ma anche il palazzo del re drago, sul fondo del mare. Mare e morti appaiono come due entità piuttosto vicine, almeno per alcune culture, come quella giapponese. Evidentemente Susanoo preferiva il mare come “altro mondo”, piuttosto che il mare come distesa d’acqua.

Se poi vogliamo seguire la lettura politica del mito, la scelta di Susanoo serve a sottolineare la natura di ribelle, reietto e fuoricasta di questo dio. Il paese di Yomi è stato associato a Izumo, in quanto terra al limite, lontana, dove si trovano e vengono spediti gli elementi più sgraditi. Nella stessa regione di Izumo esistono ben due località che sono indicate come l’accesso all’aldilà, già nel nome: Yomi no Saka e Yomi no Ana, rispettivamente la discesa di Yomi e il buco di Yomi. Al largo delle sue coste abbiamo anche un’isola che si chiamava Yomi. Che Susanoo voglia andare a Yomi, ossia a Izumo, serve a identificarlo come piantagrane e ribelle, che è poi l’aspetto che assumerà nel resto dell’episodio. Serve anche a dare un movente mitico alla rivalità tra Yamato, il clan degli dèi celesti (gli amatsugami), e Izumo, il paese degli dèi terresti (i kunitsugami), da pacificare e sottomettere.

Sia come sia, la suddivisione del dominio si concluderà in un modo simile a come si era conclusa la vicenda di Izanami e Izanagi, i due demiurghi: Amaterasu (e Tsukiyomi, quasi un deus absconditus) governeranno il cielo, mentre Susanoo governerà l’aldilà. È lì che lo ritroveremo in una fase successiva della mitologia, come ci racconta il Kojiki, ma questo avverrà dopo. Prima di abbandonare Takamagahara e scendere sulla terra, infatti, Susanoo lascerà il proprio segno nel mondo divino con la sua contesa con la sorella Amaterasu.

Una sfida tra sole e tempesta si presta molto facilmente a essere ridotta a una pura allegoria meteo, ma non è una interpretazione molto interessante. Anche solo il suo svolgimento ci dice già tanto su come dovesse essere la società in cui questo mito è nato, a prescindere dalla natura dei personaggi coinvolti. Il confronto tra Susanoo e Amaterasu è prima di tutto un’ordalia, che lo stesso Susanoo propone: per dimostrare la bontà delle sue intenzioni, sfida la sorella a una gara, il cui esito deciderà da quale parte stia la ragione. Sfida o gioco, in effetti, visto il formato scelto.

La proposta di Susanoo è perfettamente normale e comprensibile in ogni caso: sono moltissime le antiche società in cui le dispute erano risolte tramite una sfida tra i due contendenti, oppure tra campioni scelti dai due contendenti. La naturalezza con cui la proposta è formulata e accettata ci suggerisce che anche nell’antico Giappone era normale e non c’era bisogno di spiegazioni per giustificare questo sviluppo. Che la sfida consista nel generare figli utilizzando oggetti è in linea con la natura stessa delle divinità e della visione del mondo propria dello Shintō, dove la vita è in ogni cosa e ogni cosa è potenzialmente viva, tanto più quando ci sono di mezzo due divinità di alto livello.

Ci dice anche che i maschi erano più apprezzati delle femmine. Nella versione del Nihonshoki, infatti, Susanoo dimostrerà le proprie buone intenzioni generando maschi, mentre generare femmine sarebbe un segno di cattive intenzioni. Nella versione del Kojiki non è specificata questa clausola, ma Amaterasu si affretta subito ad appropriarsi dei maschi generati dal fratello, rifilandogli invece le femmine: la divinità suprema potrà anche essere donna, ma ciò non toglie che pure lei dia agli uomini maggior valore. È interessante notare che uno dei cinque figli di Susanoo svolgerà poi un ruolo (fallimentare) nell’assoggettare Izumo, ma questo è un altro discorso e un altro mito.

Dopo la sfida vinta, Susanoo si scatena, per ragioni non precisate. La sua improvvisa devastazione di Takamagahara, oltre a ricordarci la sua natura di tifone, si presenta a modo suo come un mito delle origini, in quanto ci offre una spiegazione del perché certe azioni erano considerate offese di enorme gravità nella società giapponese arcaica. I peccati divini, o le offese divine, sono gravi perché Susanoo li aveva commessi contro Amaterasu, la divinità suprema: ripeterli nel mondo umano significa offendere la dea, capostipite della famiglia imperiale, e insultare l’ordinamento divino che lei ha dato al Giappone, proprio come fece Susanoo nei tempi del mito. Possiamo anche notare che la maggior parte di questi crimini ha a che fare col danneggiamento delle risaie: coltivare il riso è sempre stata una questione molto seria per i giapponesi.

Di particolare interesse, in questa parte della storia, è proprio la sua conclusione: Susanoo interrompe il lavoro di tessitura di Amaterasu, danneggiando la dea stessa o una sua aiutante, a seconda delle versioni, e causando la temporanea scomparsa del sole. Osserviamola più da vicino.

Questo mito ci informa che Amaterasu aveva nel proprio palazzo una stanza destinata alla tessitura. Fin qui niente di strano, in linea generale: tessere è sempre stata un’attività prettamente femminile in quasi tutte le società, fino a tempi molto recenti. Più curioso, semmai, è che sia Amaterasu stessa, cioè la divinità suprema, a dover tessere le vesti divine per tutti gli altri colleghi che vivono a Takamagahara, quando magari sarebbe più normale aspettarsi che il lavoro sia affidato a una divinità minore, come sua aiutante. In una versione del mito, raccontata nel Kojiki, abbiamo infatti un’ancella che se ne occupa e che morirà a causa di Susanoo. Nella versione principale del Nihonshoki, però, è Amaterasu in persona a cucire ed essere ferita, mentre il Kogo Shūi ci racconta che era Amaterasu a lavorare, ma non specifica di un suo eventuale ferimento.

Sia come sia, abbiamo una scena in cui Amaterasu, oppure una sua ancella, deve tessere gli abiti per tutte le altre divinità, nonostante lei sia la signora degli dèi. Matsumura suggerisce che questo tratto è da collegarsi a un antico uso giapponese, secondo cui le sacerdotesse del sole avevano l’incarico di tessere gli abiti cerimoniali da indossare durante certi riti in onore del sole stesso. È una possibilità, certo. Un’altra spiegazione ci è suggerita indirettamente da Kerényi e mi sembra molto più interessante, anche se non necessariamente appropriata al contesto. Vediamo intanto di cosa si tratta, per poi valutare se valga la pena di prenderla o meno in considerazione.

Nel suo libro Figlie del sole, Kerényi ci ricorda lo stretto legame che in diverse mitologie appare tra le figure femminili di origine solare e l’arte della tessitura. Circe, figlia di Helios, il sole, ci si presenta impegnata a tessere e cantare in una scena dell’Odissea, come una donna normale. La grande tela a cui lavora, però, ci suggerisce anche immagini tipiche delle mitologie e del folklore del nord Europa: se in Svezia sentiamo parlare di Donna Sole, che fila sulla sua conocchia dorata fino all’alba, il canto 41 del Kalevala ci racconta che “della luna la donzella/ e del Sol la bella figlia,/ se ne stavan al telaio/ ed alzavan le spolette/ stoffa d’oro a ricamare/ e d’argento ad adornare,/ sopra l’orlo d’una nube,/ sulla cima del grand’arco”. In numerose altre parti del Kalevala troviamo riferimenti alle figlie della luna e alle figlie del sole: le prime tessono, le seconde filano. Una canzone estone, poi, ci suggerisce anche cosa tessono il sole e la luna: la vita stessa, il mondo di luce, l’abito luminoso che il cosmo indossa, dove l’oro del sole si mescola all’argento della luna. Anche nei miti lituani, infine, la fanciulla solare Saulite fila e tesse, per poi distendere nel cielo i suoi tessuti fatti di fili d’oro, rame e argento: i colori che assume il cielo nel corso del giorno sarebbero gli abiti che lei indossa.

Anche il tessere di Amaterasu aveva un significato di questo tipo? Ciò che il sole tesseva ogni giorno nella sua casa era la luce stessa, che rischiara e colora il mondo? Considerato che è proprio l’incidente al telaio a spingere la dea a nascondersi nella caverna e precipitare il mondo nelle tenebre, interrompendo il suo lavoro quotidiano, questa ipotesi non appare del tutto impossibile, per quanto distanti possano essere le mitologie giapponesi e nordeuropee28. Che sia Amaterasu a ferirsi o che sia la sua ancella a morire, a seconda delle versioni del mito, è proprio in questo momento che il comportamento di Susanoo si fa imperdonabile e la dea svanisce. Toccherà adesso agli altri abitanti di Takamagahara trovare un modo per farla tornare e restituire la luce al mondo.

La scena delle divinità che lavorano davanti alla grotta per convincere Amaterasu a uscire di nuovo è una delle più famose nella mitologia giapponese ed è ricca di elementi di vario tipo, spesso legati a come poi si svilupperanno i riti sacri in Giappone, o forse a come si erano già sviluppati: la scena può descrivere riti già in uso, fornendone così il modello mitico primordiale, ma è un altro discorso. Qui la nostra analisi si limiterà a esaminare solo alcuni dettagli della scena, quelli che mi appaiono più significativi e carichi di possibilità interpretative.

Prima di tutto, la costruzione del nuovo palazzo. Uno dei preparativi che Omoikane ordina agli altri dèi è appunto di erigere un nuovo palazzo in cui Amaterasu potrà abitare. Niente di strano, da un certo punto di vista: il vecchio palazzo era stato profanato da Susanoo, che lo aveva lordato con le sue feci e vi aveva gettato la pelle di un cavallo scuoiato al contrario, ossia dalla coda verso la testa. In almeno una versione della storia, nel palazzo è avvenuta anche una morte, quella dell’ancella di Amaterasu, che il Nihonshoki chiama Wakahirume. Una morte in una casa, in epoca antica, spesso costringeva a distruggere l’edificio e costruirne uno nuovo; quando a morire era l’imperatore, per un lungo periodo è rimasta la regola di costruire un nuovo palazzo, dove il suo successore avrebbe potuto vivere.

Amaterasu è una dea, oltre che la capostipite della famiglia imperiale, e i santuari sono le residenze abituali degli dèi. Ricostruire periodicamente i santuari è una tradizione tipica dello Shintō: il grande santuario di Ise, dedicato proprio ad Amaterasu, era ricostruito ogni vent’anni, per avere sempre un luogo di residenza puro e adatto alla divinità suprema. Era anche una necessità pratica, perché i santuari erano costruiti interamente in legno e il legno non è un materiale molto longevo, specie in un clima umido, ma questo è un altro discorso. La richiesta di Omoikane potrebbe essere solo il modello mitico utilizzato dai giapponesi per giustificare ciò che facevano nel mondo reale: per mantenere sempre soddisfatte le divinità, bisogna rinnovare regolarmente le loro residenze, altrimenti potrebbero offendersi e voltarci le spalle. Questo a prescindere da eventuali impurità che si sarebbero accumulate nell’edificio, come quelle causate da una morte.

Molte delle decorazioni e delle offerte preparate davanti alla grotta sono le stesse usate in epoca storica in occasione dei matsuri, ossia delle festività shintoiste, sia come doni fatti agli dèi, sia come semplici decorazioni appese nei santuari o nelle strade. Troviamo in questo mito il loro primo uso, che sarà poi conservato per secoli. L’intera scena che si svolge davanti alla grotta, per certi versi, si può considerare come il primo matsuri, celebrato dagli altri dèi in onore della loro sovrana; se la si vuole paragonare a qualcosa di più solenne e meno festoso, la si può invece considerare come la prima cerimonia shintoista. E per certi versi è proprio così.

La figura di Uzume, per il suo abbigliamento molto peculiare e per il modo in cui si comporta, ci spinge a vedere la scena come una séance sciamanica: la sua danza, in particolare, richiama quella che diventerà la danza kagura, un tipo di danza purificatrice eseguita da una sacerdotessa in stato di trance parziale o totale, a volte accompagnata da oracoli pronunciati dalla danzatrice stessa29. Che le altre divinità reagiscano con una risata fragorosa è poi un particolare piuttosto curioso, che richiama la conclusione di una celebre fiaba giapponese, ossia La risata degli oni. In quella storia, tre donne inseguite dagli oni30 si salvano sollevandosi la veste e mostrando i genitali agli inseguitori: gli oni scoppiano a ridere, si fermano e le donne hanno così il tempo necessario per mettersi in salvo.

In entrambe le storie troviamo un gesto osceno, o almeno un gesto considerato osceno se eseguito in quel particolare momento davanti a un gruppo di spettatori. Che il pubblico sia composto da divinità o da demoni, il risultato è lo stesso: una fragorosa risata, forse come reazione naturale di fronte alla violazione di un tabù. È proprio la violazione del tabù, con la conseguente risata di chi assiste alla scena, a risolvere in entrambe le storie il problema: se nella fiaba le donne riescono a fuggire, nel mito la porta della caverna si apre e Amaterasu si affaccia di nuovo sul mondo, incuriosita dalle risate improvvise.

Accanto a questa interpretazione, ne possono esistere molte altre. Il gesto di sollevarsi la veste per mostrare i genitali, ossia lo anasyrma, ha una tradizione molto antica e le più antiche immagini che lo rappresentano risalgono almeno al neolitico. Erodoto nel V secolo a.C. ci racconta che le donne egiziane lo praticavano nel corso di alcune cerimonie religiose, mentre Diodoro Siculo nel I secolo a.C. ci riferisce di aver visto personalmente una donna egiziana alzarsi la veste davanti a una statua del bue Apis in un tempio di Menfi. Negli inni orfici troviamo la figura di Baubo, che per far ridere Demetra si solleva la veste, mentre nell’inno omerico a Demetra è Iambe a far ridere la dea, ricorrendo però a battute sconce. Molto prima di loro, figure di donne-rana con la vulva in mostra apparivano nel VII millennio a.C. in Anatolia, mentre tra il XII e il XVI secolo d.C. possiamo vedere la Sheela Na Gig incisa su edifici di pietra nelle isole britanniche, in Francia e anche in altri paesi dell’Europa centrale: compare sia su castelli che su chiese ed è una specie di donna con tratti somatici da rana, che si indica i genitali o che siede a gambe larghe e si spalanca la vulva.

Come possiamo capire anche da questo rapido excursus, il gesto eseguito da Ame no Uzume ha una storia molto antica e di tanto in tanto emerge in varie parti del mondo. Trovare una spiegazione sola e universale mi sembra parecchio improbabile, soprattutto perché per le sue forme più antiche non abbiamo materiale sufficiente per farci una idea verosimile sulle sue origini e sul suo significato. A volte mostrare i genitali provoca l’ilarità del pubblico, come avviene in due occasioni in Giappone, ma altre volte sembra un rituale sacro, un gesto di devozione. Tutto ciò che ci è possibile dire con una certa sicurezza è che il gesto femminile di sollevarsi la veste e mostrare i genitali possedeva un qualche tipo di potere, almeno secondo le popolazioni presso cui lo troviamo. Quale fosse di preciso questo potere è aperto al dibattito e può variare a seconda dei casi.

Di passaggio, possiamo segnalare anche che in una fase successiva, quando si racconta dell’arrivo degli dèi celesti a occupare il Giappone sottraendolo agli dei terrestri, Uzume risolverà allo stesso modo un’altra situazione di stallo. Il dio Sarutahiko blocca la strada a Ninigi, il nipote di Amaterasu, impedendo a lui e al suo corteo di scendere dallo Ame no Ukihashi31 e raggiungere il Giappone, su cui dovrà regnare per volontà della illustre nonna: Ame no Uzume si fa avanti, mostra il seno e i genitali a Sarutahiko e lo sottomette al punto da farlo diventare il proprio marito. Niente risate, qui, ma solo una dimostrazione di potere da parte della dea.

Nel complesso, il nascondersi di Amaterasu nella grotta è generalmente interpretato come la versione mitizzata di una eclissi solare. Forse lo è, forse non lo è. Accanto a questa interpretazione ne esistono anche altre, una delle quali è particolarmente curiosa e segue un percorso molto diverso. Non anomalo, almeno in campo mitico, ma certo peculiare. È l’ipotesi di una morte e resurrezione del sole, una lettura che possiamo trovare anche nelle note alla prima edizione italiana del Kojiki tradotta e curata da Mario Marega e pubblicata nel 1938 col titolo Ko-Gi-Ki, Vecchie-Cose-Scritte.

Secondo questa interpretazione, il mito attuale sarebbe la versione più “pacifica” di una storia più antica, in cui il sole moriva, era sepolto e poi tornava in vita. La morte del sole avverrebbe quando Susanoo scaglia la pelle di cavallo nella sala di tessitura: se le versioni attuali del mito si limitano a far ferire Amaterasu, oppure a far morire una sua ancella (un “piccolo sole”, come suggerisce il suo nome), nella versione più antica sarebbe morta la dea in persona. Alla morte segue la sepoltura, che sarebbe in questo caso la tumulazione in un sepolcro, chiuso da una grossa pietra. Ma la morte del sole non è definitiva, perché ogni tramonto è seguito da una nuova alba e ogni eclissi e seguita dal ritorno della luce: il rito celebrato dalle altre divinità davanti al sepolcro servirebbe proprio a resuscitare Amaterasu, che potrà così tornare a illuminare il mondo.

Interpretazione interessante, a modo suo. Tsugita Uruu, basandosi anche su alcune poesie del Man’yōshū32, identificherebbe la grotta di Amaterasu con un sepolcro, in particolare il genere di tomba che era utilizzato anticamente per tumulare i capi delle tribù: questo potrebbe essere usato a sostegno dell’ipotesi-morte, volendo. Il nuovo palazzo per Amaterasu rientrerebbe nello stesso caso: non il rinnovamento periodico di un santuario, ma la costruzione di una nuova reggia alla morte del vecchio imperatore. I galli raccolti davanti alla caverna non canterebbero solo per annunciare l’alba, ossia il ritorno del sole, ma forse per provocarla: il loro canto non come reazione al nuovo giorno, ma come gesto che causa il sorgere del sole e, in questo caso, contribuisce alla rinascita di Amaterasu.

Possiamo continuare. Che ogni anno, nel periodo che per il nostro calendario corrisponde alla metà di dicembre, fosse eseguito al cospetto dell’imperatore, cioè il discendente di Amaterasu, il rituale del chinkonsai, cioè una danza che rievocava quella compiuta da Ame no Uzume davanti alla grotta, può rafforzare l’idea di un rito collegato alla rinascita del sole: nel periodo di massima debolezza del sole, e dunque anche dell’imperatore che lo rappresenta, il rituale serviva a rigenerare la sua energia e farlo “risorgere”. E così via. Se scegliamo di leggere la scena come una morte e resurrezione solare, una fase di rinnovamento del mondo, invece di vederla come una eclissi o come la sublimazione di un conflitto politico tra due regioni, ossia Yamato e Izumo, o anche come l’allegoria di un evento meteorologico, è possibile usare molti elementi presenti nel mito per giustificare la nostra scelta.

Ma è una ipotesi plausibile? Sì. Non è poi così insolito trovare una figura solare che muore per poi risorgere: la stessa notte è descritta in più mitologie come un viaggio che il sole compie nel regno dei morti. Una ipotetica morte di Amaterasu potrebbe inserirsi in un filone di questo tipo, per esempio. Il problema di fondo è che manca la “pistola fumante”, per così dire. Le sole versioni del mito a nostra disposizione sono quelle contenute in testi fortemente politicizzati, il cui obiettivo non era conservare le tradizioni del Giappone, ma fornire una storia unitaria che giustificasse la posizione della corte imperiale. Quasi tutti i miti che non servivano a questo scopo sono stati tralasciati e sono andati perduti. Come potesse essere la storia di Amaterasu prima del Kojiki non lo sapremo mai. Moriva e rinasceva? Chissà. Possiamo dunque tenerla come ipotesi interpretativa, a patto che non cerchiamo di imporla come l’unica interpretazione possibile, quella vera, più genuina e così via.

Col ritorno di Amaterasu e della luce, resta solo una cosa cosa da fare, prima che l’ordine sia ristabilito nel mondo divino: punire il colpevole. Susanoo riceverà così l’esilio, che è una delle due pene previste per i crimini più gravi commessi da un aristocratico, almeno in epoca antica33. Come pena supplementare, gli altri dèi gli taglieranno anche la barba e gli strapperanno le unghie delle mani e dei piedi. Secondo una interpretazione differente, invece, la rimozione di quelle parti non sarebbe una punizione, ma un modo di purificarlo dalle contaminazioni che aveva raccolto. Sia come sia, questo è l’ultimo atto di Susanoo in cielo: scacciato dalle altre divinità, scenderà sulla terra e continuerà lì la sua vita, che alla fine lo porterà a diventare il sovrano dell’aldilà, come in effetti aveva dichiarato di voler diventare fin dall’inizio. Il passaggio non è spiegato molto bene nelle storie a nostra disposizione, ma questo è un altro discorso.

Da un certo punto di vista, dunque, anche per lui ci sarà un lieto fine: Susanoo otterrà quello che voleva. O almeno quello che i compilatori delle cronache gli hanno attribuito come desiderio, che fosse o meno presente nei miti più antichi. Siccome quegli eventuali miti non esistono più, non potremo mai saperlo.

NOTE

1 - Chiamato anche Tsukuyomi o Tsukiyumi. Usate pure il nome che preferite, tanto è sempre la stessa persona.
2 - Ho parlato dell’unico mito che coinvolge Tsukiyomi nell’articolo “L’origine dell’agricoltura nei miti giapponesi”.
3 - Questa è la caratteristica principale dell’aldilà originale giapponese: non un luogo dove i morti sono puniti o premiati per le loro azioni in vita, ma solo un luogo di grande impurità e sporcizia. Non è malvagio, ma è schifoso.
4 - Riecheggia forse anche il mito cinese di Pangu, il macrantropo primordiale: il suo occhio sinistro divenne infatti il sole, il destro la luna, il suo respiro divenne vento e nubi, la sua voce il tuono.
5 - Siccome in quel momento i due demiurghi si trovavano in Giappone, fecero salire la figlia in cielo usando una scala che congiungeva cielo e terra: un oggetto che compare solo in questa scena e di cui non sentiremo più parlare. In ogni altro viaggio tra i due livelli si userà invece lo Ame no Ukihashi, il ponte fluttuante del cielo, tipicamente interpretato come l’arcobaleno.
6 - In questo caso si parla di Ne no Kuni, il paese delle radici, ma è solo un altro nome per indicare il regno dei morti, proprio come Yomi no Kuni, che invece significa “il paese delle sorgenti gialle” e fa riferimento a una tradizione di origine cinese, dove l’aldilà era appunto indicato come un luogo dove sgorgavano sorgenti di colore giallo. È dunque lecito ipotizzare che questo nome si sia affermato in Giappone soltanto dopo l’inizio dei contatti e degli scambi culturali con la Cina.
7 - Che sarebbe Izanami, in teoria, anche se in realtà Susanoo è stato generato da Izanagi soltanto, perché Izanami a quel tempo era già morta. È una incongruenza che troviamo sia nel Kojiki, sia nel Nihonshoki, ma la dobbiamo accettare così, per mancanza di alternative. Le varianti del mito in cui invece Susanoo ha una madre, per ovvie ragioni, non contengono riferimento al suo voler andare nel paese della madre, perché in quei casi Izanami è ancora viva al momento della cacciata di Susanoo. Il paese di Izanami è ovviamente l’oltretomba.
8 - Takamagahara, detta anche Takamanohara, è l’alta pianura del cielo, una sorta di Olimpo delle divinità giapponesi. Rappresenta il mondo alto, mentre il Giappone è il mondo intermedio e l’aldilà è il mondo basso, secondo uno schema di tripartizione piuttosto classico e diffuso. Al posto di questa suddivisione verticale, a volte ne troviamo una orizzontale, dove sono contrapposti il mondo dei vivi e il mondo dei morti, indicato come un luogo oltre il mare, oppure sotto il mare, ma al momoento ci basta tenere presente la suddivisione verticale.
9 - Nella versione del Kojiki non sono specificati i termini della prova, ma il Nihonshoki li rende chiari: se Susanoo genererà dei maschi, allora significherà che il suo cuore è puro, mentre la nascita di femmine dimostrerà che il suo cuore è malvagio.
10 - Il fiume tranquillo del cielo. A seconda delle interpretazioni, potrebbe rappresentare la Via Lattea, specie se il suo nome è letto come Ame no Yasekawa, oppure potrebbe essere solo un fiume molto largo.
11 - Sono i magatama, pietre a forma di virgola che compaiono spesso nei miti giapponesi e nell’arte antica del paese, anche in epoca preistorica.
12 - Il Nihonshoki ci presenta anche alcune varianti della scena, che differiscono principalmente per la proprietà degli oggetti usati: a volte la spada appartiene ad Amaterasu e le gemme a Susanoo, a volte si scambino gli oggetti, a volte ognuno usa i propri e così via. La struttura generale rimane però la stessa.
13 - Il Kojiki la lascia anonima, mentre il Nihonshoki la chiama Wakahirume e in una variante le attribuisce lo status di sorella minore di Amaterasu: niente di strano, se consideriamo che waka significa “giovane”, mentre hiru significa “mezzogiorno”, oppure “giorno” in generale, mentre la stessa Amaterasu è chiamata a volte Ōhirume.
14 - Un’altra variante riferita dal Nihonshoki, tuttavia, ci informa che una certa Wakahirume (giovane sole, forse una sua ancella o forse una sorella minore di Amaterasu, come si diceva nella nota precedente) si sarebbe spaventata all’irruzione di Susanoo e sarebbe caduta, trafiggendosi con la spola del telaio e morendo, in modo simile a quanto accade alla servitrice anonima nel racconto riferito dal Kojiki.
15 - Il Kogo Shūi ci informa anche che questi peccati celesti richiedono un grande rituale di purificazione, che ai tempi in cui il testo fu redatto era effettuato dai sacerdoti della famiglia Nakatomi, che in un periodo successivo diventerà la potente famiglia Fujiwara Considerato che la redazione del Kogo Shūi è attribuita a un esponente della famiglia Imibe/Inbe, altro clan detrntore di incarichi religiosi a corte, è normale la sua insistenza su chi debba svolgere quali riti in ogni occasione.
16 - Takamimusubi è una delle prime tre divinità che comparvero all’inizio dei tempi, prima che il Giappone fosse creato. Omoikane è un dio menzionato per la prima volta in questa scena e il suo nome ci suggerisce che sia connesso alla saggezza o almeno alla capacità di pensare (omou significa appunto “pensare”, in giapponese): il dio che sa pensare per molti, secondo l’interpretazione del nome data da Motoori Norinaga.
17 - Pietre a forma di virgola. Una di esse, Yasakani no Magatama, è parte dei tre tesori imperiali del Giappone, assieme allo Yata no Kagami (specchio) e alla Kusanagi no Tsurugi (spada).
18 - Di questo si occuperà il fabbro Amatsumare, aiutato dalla dea Ishikoridome. Che siano stati scelti un maschio e una femmina ha indotto a pensare che la creazione dello specchio, diventato poi lo Yata no Kagami, uno dei tre tesori imperiali, non sia stata proprio un lavoro metallurgico, ma la generazione di un essere vivente, potente a sufficienza da contenere l’immagine di Amaterasu. Più in generale, gli specchi usati nell’antico Giappone erano dischi fatti di rame o metalli simili, levigati a dovere per poter riflettere le immagini.
19 - Il suo nome ci informa che è dotato di grande forza (chikara, in giapponese).
20 - Questo dio è considerato l’antenato della famiglia Fujiwara, che avrà un grande potere nel periodo Heian.
21 - Sempre il solito fiume che abbiamo già visto, anche se il suo nome può variare un poco da un testo all’altro.
22 - Nella regione di Izumo esisteva anche un apposito dio della canapa: Aohata Sakusahiko, figlio di Susanoo. È però improbabile che lo troverete citato in una cronaca scritta per glorificare le divinità di Yamato.
23 - Dal gelso si ricavava a quei tempi la carta, per cui si sta parlando probabilmente di decorazioni di carta.
24 - Da identificare con Orihime, la tessitrice protagonista della celebre leggenda di Tanabata? Non lo sappiamo, ma è un personaggio che compare soltanto in questo episodio.
25 - Fabbro divino, secondo Hirata Atsutane potrebbe coincidere con lo Amatsumara nominato nel Kojiki, testo che invece non parla mai di Mahitotsu. A giudicare dal nome, entrambi avevano un occhio solo, caratteristica che è spesso collegata ai fabbri e dovuta forse a come si svolgeva in epoca antica la lavorazione dei metalli: soffiando sul fuoco, era facile che le scintille danneggiassero un occhio, a lungo andare. Pensiamo alla maschera giapponese di hyottoko, che rappresenta il volto deformato di un fochista impegnato a soffiare con un occhio chiuso, oppure anche ai ciclopi assistenti di Efesto nella mitologia greca.
26 - Il Kojiki specifica che la danza si svolge sopra la bacinella capovolta. Negli altri testi non è detto chiaramente.
27 - Normalmente detta shimenawa, è una corda di paglia intrecciata, costruita in modo che le radici sporgano e siano visibili a un’estremità della corda. Quando circonda un luogo o un oggetto, di solito lo segnala come tabù, quindi vietato ai profani: la si trova spesso attorno a oggetti o edifici che sono considerati manifestazioni o residenza di un essere divino, o comunque collegati alla sfera del sacro. Il suo significato è nec plus ultra, insomma.
28 - Ovviamente non sto suggerendo che siano esistiti contatti e scambi culturali tra il Giappone più antico e i paesi sul mare Baltico: è vero che a separarli c’è soltanto uno stato, ma quello stato è la Russia e li separa proprio per il lungo. Benché non impossibile, tecnicamente, è molto improbabile che siano esistiti contatti diretti tra loro, anche se svariate popolazioni nomadiche della steppa hanno svolto un ruolo da intermediari tra Europa ed Estremo Oriente. Mi sto solo domandando se è possibile che anche tra i giapponesi, in epoca arcaica, si sia sviluppata una immagine di questo tipo: la luce del giorno come un abito con cui il sole riveste il mondo. Questo darebbe un senso molto più preciso e diretto ad Amaterasu che tesse “vesti divine” e al buio che segue l’interruzione del suo lavoro.
29 - Hirata Atsutane ci riferisce anche di una formula che Uzume avrebbe recitato: hito-futa-mi-yo-itsu-mu-nana-ya-kokono-tari. Secondo il Kujiki sarebbe stata insegnata da Amaterasu a Ninigi, mentre il Kogo Shūi ci spiega che la formula appartiene in origine a Uzume. Di fatto è solo una conta da 1 a 10, ma Hirata Atsutane si impegna molto a spiegarci che in origine aveva un significato più profondo, davvero, anche se poi i suoi tentativi di ricostruire quale potesse essere questo significato non si risolvono granché bene.
30 - Tipici mostri del folklore giapponese, a metà strada tra i demoni e gli orchi. Quasi sempre malvagi, anche se ogni tanto si possono incontrare singole eccezioni in alcune storie. In questa fiaba sono decisamente malvagi.
31 - Il ponte che collega cielo e terra, interpretato di solito come l’arcobaleno.
32 - Una raccolta di poesie redatta nello stesso secolo del Kojiki e del Nihonshoki.
33 - In alternativa all’esilio c’era la condanna a morte. Per crimini minori si passava a pene pecuniarie di vario tipo.