Adriano - racconti e altro

La leggenda della Morte

Capitolo II

Prima della morte.

Pratiche di divinazione per sapere quando si morirà.

Un modo per conoscere approssimativamente fra quanto tempo si dovrà morire consiste nel posare sull’acqua di certe sorgenti sacre una croce fatta con due rametti di salice. Se la croce galleggia, la morte non tarderà molto; se, al contrario, la croce affonda, il termine è ancora molto lontano: lo sarà tanto più quanto più in fretta la croce sarà affondata1.

(comunicato da F. Le Roux. - Rosporden.)

Nella regione di Saint-Jean-Trolimon (paese di Cap-Caval) esisteva un tempo l’abitudine, all’inizio di ogni anno, di tagliare e di imburrare tante tartine di pane quante erano le persone che vivevano in casa2. Il capofamiglia prendeva queste tartine e le lanciava in aria una dopo l’altra, dicendo nel frattempo: «Questa è per Tizio, questa è per Caio...» E così via, fino a che non aveva nominato tutti, senza escludere se stesso. Ognuno, allora, si chinava per raccogliere la propria tartina. Guai a chi trovava la propria rovesciata sul lato del burro: sarebbe stato sicuro di morire entro l’anno.

(Comunicato da Victor Guérin. - Quimper.)

A Plégat-Guerrand, sui bordi della strada vicinale di Guerlesquin, c’è una fontana chiamata Feunteun-an-Ankou (la fontana del Trapasso). Chi vuole essere informato sul proprio destino non ha che da andarci la prima notte di maggio3 allo scoccare della mezzanotte e sporgersi al di sopra dell’acqua. Se dovrà morire a breve, al posto della propria immagine gli apparirà la faccia di uno scheletro.

(Jacquette Craz. - Lanmeur.)

Sulla riva settentrionale della rada di Brest, la tradizione vuole che il mese di maggio sia nefasto.

Un benestante di L’Auberlach aveva fatto costruire a Brest un battello nuovo. Siccome erano nel mese di maggio, lo fece battezzare col nome “Fiore di Maria”, convinto che gli avrebbe portato fortuna. Qualcuno che assisteva alla cerimonia, però, scosse la testa e disse: «Neppure la Vergine può impedire al mese di maggio di essere il mese di maggio, benché sia sacro a lei. Quel battello non avrà alcuna speranza. Compatisco la gente che vi si imbarcherà.»

Giusto l’inverno successivo, quel battello si smarrì al largo e nessuno di quelli che vi erano a bordo fu mai più rivisto.

(comunicato da Amédée Créac’h.)

Attività che causano la morte.

Una donna incinta non deve mai accettare di essere madrina. Lei o il suo frutto moriranno entro l’anno.

Quando un arruolato parte per unirsi all’esercito, se si guarda indietro per salutare un’ultima volta la punta del suo campanile o il sentiero di casa, è segno che non vi tornerà mai più vivo.

Le persone che scoprono tesori4 non ne godranno a lungo. Il loro destino o, come si dice, il loro “pianeta” è di morire5 un anno esatto dopo la loro scoperta.

XVI - Il tesoro del morto.

Marie-Jeanne Thos, moglie di un fattore di Plounéour-Lanvern, ogni volta che andava nel cortile, vedeva accanto alla siepe che dava sulla strada un uomo dei dintorni, morto da oltre cinque anni. Le faceva dei segni con la mano, come per invitarla a seguirlo da qualche parte. Un bel giorno, infastidita dal suo comportamento, la donna si azzardò ad avvicinarsi a lui e gli domandò: «Cosa c’è? Che cosa vuoi da me?»

L’uomo le fece cenno di superare la siepe e di venire.

«Santo cielo,» si disse lei. «Ne avrò proprio il coraggio.»

Ed eccola camminare alle calcagna del morto. La guidò fino alla cima di una landa deserta, dove c’era una grande roccia. L’uomo, inginocchiandosi a terra, cominciò a grattare il suolo con le dita. Quando ebbe finito, si girò verso la donna e le mostrò il buco che aveva scavato. Lei si sporse e vide un pezzo di una moneta d’oro che luccicava come se fosse nuova6. Non aveva mai visto una somma simile. Mentre lei guardava quest’oro con un’ammirazione mista d’invidia, il morto svanì.

«Se mi ha svelato il suo nascondiglio, di sicuro è perché io approfitti di quello che contiene,» pensò Marie-Jeanne Thos.

Raccogliendo a manciate le monete d’oro, se ne riempì il grembiule. Tornata a casa, ammassò tutto nell’armadio. Quella sera disse al marito: «Desideravi un nuovo cavallo: te lo puoi comprare e non solo uno, ma quattro, dieci e ancora di più, perché siamo ricchi!»

«E come è successo?» le chiese lui, tutto contento.

Lei gli raccontò la propria avventura. La fronte del fattore si incupì subito.

«Se ci tieni alla tua vita, vai subito a riportare quel denaro dove lo hai preso.»

«Perché?»

«Perché se non te ne liberi, morirai nel giro di un anno.»

Il mattino successivo la donna corse su quell’altopiano per rimettere le monete d’oro al proprio posto. Qualche giorno dopo, tuttavia, avendo bisogno di prendere della biancheria dall’armadio, sentì un rumore di monete: controllò e vide con sorpresa che il tesoro del morto era tornato lì.

«È proprio quello che temevo,» le disse il marito. «Vai a sentire il vicario parrocchiale: forse lui saprà darti un buon consiglio.»

Ma il vicario la fermò dopo le prime parole della sua storia. «Non posso fare niente per voi,» le disse. «Avete liberato questo morto e adesso vi toccherà prendere il suo posto, fra non molto. Preparatevi dunque a morire da buona cristiana e ordinate che le monete del tesoro siano sepolte assieme a voi, nella vostra bara. Solo così potrete essere salvata.»

In effetti non passò molto tempo prima della sua morte, senza essere stata colta da alcuna malattia. La seppellirono così assieme al tesoro del morto, per evitare che in futuro potesse causare la morte di altri7.

(raccontato da Perrine Laz. - Quimper.)

XVII - La vita che va e viene col mare.

Mio padre lavorava su una gabarra. Tutti i giorni scendeva il fiume Jaudy fino al mare, per andare a cercare alghe o sabbia. Era un lavoro duro, perché rendeva ben poco. Una sera, la gabarra si incagliò nel fango. Mio padre, malgrado la temperatura - eravamo in dicembre – entrò in acqua per liberarla e, tornato a casa, si mise a letto, ammalato di una febbre che non lo avrebbe più lasciato. Di settimana in settimana si faceva sempre più debole.

«Sono finito,» ci disse un mattino. «Non mi restano che quattro giorni di vita.»

Notate che, prima di ammalarsi, era stato un uomo robusto, nel pieno delle forze della sua età. Era disperato di dover morire così giovane, soprattutto sapendo in quale miseria ci avrebbe lasciati.

C’erano comunque momenti in cui recuperavamo una certa fiducia, perché lui stesso sembrava recuperare vita e colore. Mia madre gli diceva: «Ammetti di stare meglio, Tual?»

Lui allora rideva di una risata triste: «Solo perché c’è alta marea a quest’ora, Marivonne,» rispondeva lui, scuotendo la testa. «Vedrai dopo, quando sarà calante.»

Ed era vero. La vita andava e veniva tanto più o tanto meno in lui, a seconda che il mare stesse salendo o scendendo. Ci diceva che non dovevamo essere sorpresi, perché era normale tra i marinai, quando come lui erano sul punto di abbandonare il mondo.

All’alba del quarto giorno, quando gli portai la zuppa calda, mi domandò: «La marea sta salendo, adesso. Giusto, Bétrys?»

«Sì papà,» gli risposi. «Perché?»

«Perché è la fine che si avvicina, figlia mia. Porta indietro questa zuppa: non ho alcun appetito.»

C’erano lacrime nei suoi occhi e anch’io facevo molta fatica a trattenere il pianto. Mia madre si stava avvicinando.

«Stamattina avevo intenzione di andare fino al lavatoio,» disse lei, «ma se hai bisogno di me, non uscirò.»

«No, no,» rispose lui. «Vai a lavare. Basta che tu sia di ritorno per mezzogiorno. Non ho bisogno che del prete e Bétrys me lo andrà a cercare, quando sarà il momento.»

Mia madre, per obbedirgli, se ne andò al lavatoio, portando con sé i miei fratellini e le mie sorelline, perché non restassero a fare baccano in casa. Rimasi così da sola accanto al malato. Di tanto in tanto mi diceva: «Bétrys, va a guardare dove è arrivato il mare».

Siccome il nostro alloggio non era che a una quindicina di passi dalla riva, mi bastava aprire la porta per vedere fino a dove fosse salita l’acqua. Tornavo poi verso il letto e annunciavo: «La boa nera è a galla». Oppure: «La metà dei vasi è coperta».

Quando seppe che l’acqua toccava le prime pietre dell’imbarcadero, mi disse: «Questo è il momento di andare a cercare il vicario».

Avrei voluto attendere il ritorno di mia madre, ma non me lo permise. Non ci misi per molto a fare il mio viaggio, perché corsi tutto d’un fiato fino a Troguéry e, meno di una mezz’ora più tardi, io ritornai col prete. Mio padre si confessò, ricevette i sacramenti e pregò il vicario di raccomandarci alle buone anime della parrocchia, quando lui non ci fosse più stato. Poi aggiunse con un tono quasi allegro: «Potete avvertire Yann Gam di mettere la zappa nel terreno, signor vicario».

Yann Gam era il becchino del paese.

Quando mia madre fu rientrata dal lavatoio assieme ai bambini, mio padre le disse: «Ecco, Marivonne: il vicario è stato qui. Tutti i miei conti sono in regola.»

Rivolgendosi a me, aggiunse: «Il mare deve essere in stanca, Bétrys?»

Lo si sentiva, in effetti, sciabordare dolcemente, toccando la riva. Allora mio padre disse a mia madre: «Puoi avvisare i vicini: è l’ora di cominciare le preghiere per gli agonizzanti».

Fu ammirevole nella sua rassegnazione e pietà, il povero caro uomo, mentre cercava di mescolare la propria voce alle voci delle donne che recitavano le preghiere funebri. Nel frattempo lo si vedeva calare, calare a poco a poco. Tutto avvenne come aveva previsto lui: all’inizio della bassa marea lui smise di vivere8.

(Raccontato dalla vecchia Bétrys. - Troguéry, 1900.)

Dio fa morire quelli che ama il sabato sera, perché è anche di sabato sera che, dopo aver creato il mondo, cominciò a riposare.

Passion da Vener,
Maro d’ar Zadorn,
Interramant d’ar Zul;
D’ar Baradoz hec’h ei zur.

Passione (agonia) il venerdì, Morte il sabato, Seppellimento la domenica; In Paradiso si andrà di sicuro.

(Detto della Bassa Bretagna.)

La fine del mondo.

Finché resterà accesa la lampada che arde nel cuore delle chiese, il mondo è certo di vivere.

Il giorno in cui Dio permetterà che questa fiammella pilota si spenga in una chiesa, una sola!, sarà quello in cui per gli uomini e per le cose della Terra è giunta l’ultima ora. La morte di questa piccola fiamma sarà il segno premonitore della morte universale.

Un prete, a cui domandarono quando sarebbe arrivata la fine del mondo, rispose: «Se passando di notte accanto a una chiesa voi non vedrete i vetri illuminati, annunciate con coraggio che la fine del mondo è prossima».

Quando gli uomini dimenticano di custodire la lampada sacra, Dio stesso vi provvede.

XVIII - L’avventura di Jean Cariou.

Quella sera Jean Cariou, sacrestano di Penvénan, dopo aver suonato l’Angelus, aveva fatto il suo solito giro per la chiesa. Rientrato al proprio alloggio, si ricordò di aver dimenticato di controllare se ci fosse abbastanza olio per la notte nella lampada che doveva bruciare in eterno in fondo al santuario.

Siccome però questa idea non gli venne che al momento di mettersi a letto, quando era già mezzo svestito, si coricò ugualmente, dicendosi che la luce guida sarebbe durata di sicuro fino all’indomani. Così si addormentò profondamente.

Non doveva aver dormito a lungo, quando nel sonno si sentì chiamare da una voce dolce9: «Cariou! Cariou!»

«Di già!» mormorò, pensando che fosse Môna, sua moglie, che lo svegliava per l’Angelus dell’alba, e pensando che il nuovo giorno era cominciato davvero presto. Perché la camera era piena di una luce bianca come quella dei mattini d’estate.

«Cariou,» riprese dolcemente la voce. «Alzati: la lampada della chiesa si sta per spegnere».

Non era sua moglie che gli parlava, ma una grande forma luminosa, avvolta in un mantello color del cielo. La figura era circonfusa di luce dorata. Cariou la riconobbe per averla vista nelle immagini devote, nei tôlennou.

Era la figura di Gesù Cristo in persona.

Il sacrestano si fece un rapido segno della croce e si ritrovò inghiottito da una completa oscurità. La grande sagoma luminosa era svanita. Mezzanotte suonava dall’orologio della torre.

Cariou, tutto ansimante, arrivò giusto in tempo per ricaricare la lampada santa.

(Raccontato da Charles Le Braz, mio fratello – Penvénan, 1890.)

Il sacrestano di cui abbiamo appena letto l’avventura e a cui ho dato il nome di Jean Cariou, in realtà si chiama Jean Morvan. È ancora vivo. Un pomeriggio di settembre nel 1912 si è presentato a casa mia, a Port Blanc. Era venuto a sapere, qualche mese prima, del racconto che avevo scritto e che mio fratello mi aveva dettato e considerava, mi disse, come un dovere di coscienza di raccontarmi alla prima occasione una vicenda autentica, esattamente così come i fatti si erano svolti.

Ecco, tradotto in francese, quanto lui mi ha raccontato in bretone.

Non era passato ancora un anno da quando mi ero sistemato a Penvénan come sacrestano. Era un incarico molto invidiato e, nella stessa parrocchia, molti si erano offerti per occuparlo. Il vicario parrocchiale mi aveva dato la preferenza su tutti gli altri candidati. Fra di loro, più di uno, penserete, mi guardava storto e non si sarebbe fatto molti scrupoli, se si fosse presentata l’occasione, a giocarmi qualche brutto tiro. Io però non me ne preoccupavo.

Tutto andava a meraviglia, davvero, e al di là delle mie occupazioni da sacrestano, che non assorbivano che una parte del mio tempo, avevo tutto il lavoro che potevo svolgere. Bisogna dire, in effetti, che io sono sarto come mia vera professione. Ora, quella sera - una sera di dicembre, mi ricordo bene – ero rimasto alzato fino a un poco più tardi, volendo concludere un lavoro urgente. Su istanza di mia moglie, comunque, finii per andare a letto verso le undici. Dormivo già da un po’ quando, nel sonno, che è sempre leggero, mi sentii chiamare per nome: «Jean!»

La voce doveva provenire dall’interno del tamburo in legno su cui si apriva la porta di ingresso, perché il suono era indistinto e come smorzato. Me ne stavo sollevato su un gomito per ascoltare, non sapendo ancora se stessi sognando o se fossi davvero sveglio.

La voce ripeté una seconda volta: «Jean!»

Di colpo domandai: «Cosa? Che cosa c’è?»

Nessuna risposta. Trascorse qualche secondo nel silenzio, che era profondo. Io non mi muovevo, continuavo ad aspettare. Allora la voce chiamò una terza volta, più forte: «Jean!»

Un po’ spazientito io ribattei: «E poi? Che cosa volete da Jean?»

La voce rispose: «Voglio che si alzi, come è suo dovere».

«Perché?»

«Perché la lampada della chiesa si è spenta.»

Quella lampada ero sicuro di averla alimentata anche quella volta, come ogni altra sera dopo aver suonato l’angelus, ma può capitare che l’olio sia di pessima qualità o che lo stoppino si consumi più in fretta del solito. Senza esitare oltre, mi liberai delle coperte e mi infilai i pantaloni. Il mio movimento svegliò mia moglie: «Che cosa ti prende? Dove vai?»

«Qualcuno è venuto ad avvertirmi che la lampada della chiesa è spenta e io vado ad accenderla.»

«E chi è questo qualcuno?»

«Non lo so.»

«Che ore sono, dunque?»

«Mezzanotte e mezza circa.»

«E tu parli di attraversare il paese a quest’ora, da solo, quando c’è tanta gente che ce l’ha con te e non aspetta che una buona occasione per vendicarsi? Chi ti dice che non ci sia qualcuno in agguato dietro la porta?»

«Sarà come vuole Dio,» le risposi io. Quali disgrazie avrei mai potuto attirare su di noi e forse sul mondo intero, se avessi lasciato la chiesa senza una luce per tutta la notte? Il mio dovere era di andare e io andai.

Mi munii di fiammiferi e un pezzo di candela, poi, senza badare alle proteste di mia moglie, che mi vedeva già fatto a pezzi dall’uno o dall’altro dei miei vecchi concorrenti, spinsi la porta del tamburo. Pensavo che avrei trovato lì la persona che mi aveva fatto il favore di avvisarmi, ma il luogo era vuoto. Cosa ancora più strana, la porta d’ingresso della casa, che mi ricordavo di avere chiuso col catenaccio, era rimasta perfettamente chiusa. L’aprii: c’era relativamente chiaro fuori, sebbene fossimo nel mese più nero, e guardai a destra e sinistra, senza vedere anima viva in strada. Tutto il paese dormiva. Ascoltai nel caso si sentisse un rumore di passi in allontanamento. Niente. Ero il solo essere vivente nella notte. Mi incamminai verso il cimitero, salii gli scalini che vi davano accesso sul lato nord ed entrai nella chiesa, che era effettivamente immersa nella più completa oscurità. La lampada del coro era bella spenta. Provavo freddo in tutte le mie membra, a sentirmi in mezzo alle tenebre. Voi non avete idea di quanto sia terrificante l’interno di una chiesa priva di luce in piena notte! Per quanto mi riguarda, non vorrei ripetere una seconda volta l’esperienza. Era davvero come se la fine del mondo stesse per arrivare.

Cercai attorno, a tastoni, l’acquasantiera, per farmi il segno della croce, e fu solo dopo averlo fatto che trovai il coraggio di accendere il mio pezzo di candela. Mi diressi più rassicurato verso il coro. Quando stavo per superare la balaustrata, mi sembrò che il lampadario, appeso lassù alle sue quattro catene, ruotasse su se stesso e si agitasse con uno strano rumore, come se fosse stato una cosa viva. Rabbrividii.

«Questo non è naturale,» pensai. Avvicinai a me il lampadario e indovinate cosa vidi? Un pipistrello, signore, un enorme pipistrello, che era rimasto intrappolato tra le catene e cercava invano di liberarsi. Niente di strano, ce ne sono fin troppe di queste bestie annidate nelle volte della chiesa. In inverno, quando raggiungo la sacrestia prima dell’alba, per i preparativi della prima messa bassa, quella del secondo vicario, svolazzano a stormi proprio sotto il mio naso. Questo però era di taglia davvero straordinaria. Era stato lui che, dibattendosi, aveva soffiato via la luce santa. Mi sforzai di liberarlo, per non averlo più davanti agli occhi, tanto era orribile, e fui sollevato solo quando fu sparito tra le ombre.

Riaccesa la lampada, me ne tornai poi a letto, ma né mia moglie né io riuscimmo a dormire per il resto della notte. Eravamo entrambi disturbati: nella mia avventura c’era un mistero che noi non arrivavamo a comprendere. Io cercavo di convincermi che lo sconosciuto che mi aveva svegliato in modo così caritatevole era uno dei preti della parrocchia.

«Chiamato per dare l’estrema unzione a un qualche moribondo,» mi dicevo, «avrà notato che la lampada non bruciava più, andando a recuperare la sua “borsa nera” nella sacrestia, e sarà corso ad avvisarmi il più in fretta possibile.»

Decisi che avrei chiarito tutto. La mattina seguente, prima della messa di ogni sacerdote, domandai a turno se fossero venuti durante la notte a recuperare il proprio ministero. La risposta di tutti e tre fu la stessa: nessuno di loro era uscito. Fu naturalmente al vicario parrocchiale che mi rivolsi per ultimo, perché era lui a celebrare la terza messa.

«Signor vicario,» gli dissi. «Ho una confessione da farle.»

E gli raccontai tutta la mai storia. Mi ascoltò con aria grave e poi, quando ebbi finito, mi disse: «Ringraziate Dio, Jean Morvan. È lui che vi ha inviato uno dei suoi angeli, a meno che Gesù Cristo non si sia mosso in prima persona. Potete giudicare da questo l’importanza che egli assegna al fatto che la lanterna del santuario non si spenga mai, finché il mondo sarà mondo. Vegliate su di lei d’ora in avanti con maggiore cura e andate in pace.»

Adesso sapete la verità, signore: vi sarei riconoscente se la ristabiliste anche per gli altri.

Oltre l’Île Grande si trova una piccola isola, chiamata in francese l’isola Canton, in bretone Enès Aganton o Agaton. Ci sono due croci di granito, erette a centocinquanta passi di distanza l’una dall’altra. La credenza è che ogni sette anni si avvicinano di una distanza pari a un chicco di grano: quando si incontreranno, sarà la fine del mondo.

In mezzo alla grande spiaggia di Saint-Michel-en-Grève si innalza una croce monolitica conficcata nella sabbia e che il mare copre a ogni marea. È chiamata Croaz al Lew-drèz (la croce della Lega del Greto). Ogni cento anni sprofonda di una lunghezza pari a un chicco di frumento. Quando sarà completamente sparita nella sabbia, sarà la fine del mondo.

Alla fine del mondo apparirà l’Anticristo. Nascerà dal matrimonio di un prete spretato e di una suora10.

L’agonia.

Quando le condizioni di un malato sembrano disperate, la gente della casa si mette in ginocchio accanto al suo letto e cominciano le preghiere degli agonizzanti.

Di solito non si attende che abbia reso il suo ultimo sospiro o anche solo che abbia perso del tutto conoscenza per accendere al suo capezzale una “candela benedetta” (eur goulou benniget); quando entra in agonia, si traccia con questa candela un segno della croce sopra il suo viso. Si dice che serva a facilitare la separazione dell’anima dal corpo11.

A Léon, quando una persona è gravemente malata e senza speranze di guarigione, dieci ragazze dei dintorni si recano in processione al più vicino oratorio della Vergine per chiedere a Cristo, per intercessione della madre, che questa persona sia immediatamente “liberata”.

Nove di queste ragazze procedono davanti in gruppo, tutte munite di un rosario che sgranano senza sosta lungo la strada. Sono tenute a non scambiare alcuna parola né tra di loro, né coi passanti. La decima, che le segue a una certa distanza, ha la sola funzione di rispondere alle domande della gente che, vedendole sfilare in corteo, si informa su chi sia la persona nei paraggi per cui si sono messe in cammino.

(Comunicato da Prigent. - Plouénan.)

Quando un moribondo ha troppo dolore da sopportare, c’è un metodo infallibile per alleviare la sua agonia: farlo scendere dal letto e fargli posare i piedi nudi sul suolo nudo12.

Neppure ha il tempo di entrare in contatto con la terra che le influenze che ancora trattengono la sua vita in sospeso sono spezzate.

(Comunicato da Le Duigou. - Scaer.)

Nel paese di Gourin si va per i moribondi alla cappella di Saint-Mìn, che fa parte della chiesa del Santo sulla strada di Roudouallec. In questa cappella c’è una statua di san Diboan, il cui nome significa “che guarisce da ogni pena13”. Si comincia facendo visita a questa statua ed esponendole il nostro caso, poi ci si reca alla fontana del santo, che sgorga al fondo del vallone. È questa a trasmettere il responso. Per ottenerlo, però, bisogna prima di tutto svuotarla completamente con una scodella. Conclusa questa operazione, ci si sporge sul buco da cui l’acqua corrente sgorga dal terreno. Se fa rumore sgorgando, significa che il moribondo è prossimo al trapasso; se, al contrario, esce senza rumore, quella persona potrà ancora tornare alla vita14.

(Naïc an Ené, del villaggio di Saint-Jean, in Spézet.)

XIX - Il moribondo che ricevette l’estrema unzione da un prete morto15.

Lomm Grenn era giornaliero alla fattoria di Kerniz. A quei tempi i ricchi non avevano orologi e ancora meno ne avevano i poveri. Lomm Grenn, per sapere se fosse ora di andare al lavoro, aveva l’abitudine di guardare il colore del cielo. Quando lo vedeva sbiancarsi, si alzava, si vestiva e si metteva in viaggio. Una notte, svegliandosi, credette di notare che c’era un chiarore da giorno e subito balzò fuori dal letto.

Era inverno. Lomm partì ancora mezzo addormentato. Siccome viaggiava sulla strada principale, incrociò un prete che portava l’ostia, accompagnato da un bambino del coro che faceva tintinnare una campanella.

Il prete, passando accanto a Lomm, gli disse: «Seguitemi!»

Non rifiutò certo di obbedire a un prete che portava con sé il buon Dio. Lomm lo seguì a testa nuda, recitando preghiere per la persona che avrebbe dovuto ricevere l’estrema unzione.

Il prete e il bambino del coro si infilarono in una garenna.

«Toh!» pensò Lomm. «Sembra che sia a Trégloz che c’è qualcuno malato. Probabilmente il vecchio Guilcher.»

Era in effetti nel palazzo di Trégloz ed era proprio Guilcher il vecchio. Era là, disteso sul suo letto, e già maturo per la sepoltura. Due uomini facevano finta di assisterlo, ma in realtà dormivano profondamente sulle loro sedie. Non aprirono neppure gli occhi, mentre il prete amministrava al moribondo l’estremo sacramento. Lomm, che era inginocchiato a terra, non poté impedirsi di trovarlo scandaloso.

Il prete, concluso il suo lavoro, fece il segno della croce e disse, rivolto a Guilcher il vecchio: «Brav’uomo, era da molto che vi dovevo i vostri sacramenti. Ve li ho dati. Adesso siamo pari.»

Di queste parole Lomm Grenn non ha mai capito il senso.

Nel frattempo il prete uscì. «Andate pure al vostro lavoro,» disse al giornaliero. «Sarete ancora più che in orario.»

Quando Lomm arrivò a Kerniz, in effetti non trovò sveglia che la serva della cucina.

«Siete ben mattiniero!» gli disse lei. «Qui non si è ancora alzato nessuno e io sto solo accendendo il fuoco per la zuppa.»

«Meglio così!» rispose Lomm. «Almeno non mi accuseranno di pigrizia.»

Aspettando che la zuppa fosse pronta, andò a preparare il fieno per i cavalli. Quando rientrò nella casa per mangiare, sentì uno degli uomini già seduti a tavola che diceva: «Sapete la notizia? Guilcher il vecchio è morto stanotte senza aver ricevuto l’estrema unzione.»

«Questo è falso,» intervenne Lomm. «Se Guilcher il vecchio è morto, lo ha fatto da cristiano; io stesso ho assistito il prete che gli amministrava l’estrema unzione. L’ho visto dargli il buon Dio.»

E Lomm raccontò la sua avventura.

«Signore!» riprese il lavoratore che aveva parlato. «Ho incontrato stamattina presto uno di quelli che vegliavano Guilcher. È da lui che ho saputo la cosa. Erano in due e si erano addormentati così bene entrambi che non erano nemmeno sicuri di quando il morto avesse reso l’anima. Quello che ho incontrato è Yves Ménez. Andava in paese a cercare la croce d’argento ed era molto preoccupato per come sarebbe stato ricevuto dal vicario parrocchiale.»

«Ebbene, bisogna che io confessi tutto,» mormorò Lomm Grenn. «Andrò subito al presbiterio.»

Andò al presbiterio. Quando ebbe esposto il suo caso, il vicario gli disse: «Tutto ciò che vi posso rispondere per certo è che il prete che avete seguito non era di questo mondo. Lo stordimento dei due che vegliavano avrebbe potuto causare la dannazione eterna di Guilcher il vecchio, ma Dio ha risorse infinite per salvare le anime.»

Lomm Grenn se ne tornò al lavoro. A partire da quel giorno apparve sempre preoccupato, stranamente serio, quasi triste. Morì in primavera.

(Raccontato da Fantic Omnès. - Bégard, 1888.)

XX - La donna coi due cani.

Questo accadde ai tempi in cui le tele di Bassa Bretagna erano le più famose di tutte. Non c’era allora né a Penvénan né nei dintorni una ragazza che filasse così bene come Fant Ar Merrer, di Crec’h-Avel. Ogni mercoledì andava a Tréguier a vendere il suo filo. Un martedì sera si disse:

«Bisognerà che domani mi alzi di buon’ora».

Andò a dormire con questa preoccupazione.

Si svegliò nel cuore della notte e fu sorpresa di scoprire che faceva già piuttosto chiaro. Si alzò di gran fretta, si vestì, si caricò in spalla il suo pacchetto di matasse e si mise in marcia.

Arrivata ai piedi della salita che conduceva a Groaz-Ar-Brabant16, incontrò un giovane uomo. Si scambiarono un buongiorno e camminarono fianco a fianco fino alla croce. Là, il giovane prese Fant Ar Merrer per un braccio e le disse: «Fermiamoci qui».

La spinse nel fosso, contro la scarpata, e si piazzò davanti a lei, come per proteggerla.

Si erano appena scansati così dalla strada, quando Fant sentì arrivare un rumore spaventoso. Non aveva mai udito un simile frastuono. Ci fossero anche state cento rumorose carrette in fila, lanciate al galoppo, non avrebbero prodotto un fracasso simile.

Il rumore si avvicinava, si avvicinava.

Fant tremava dalla testa ai piedi. Nonostante ciò, cercava di vedere che cosa potesse essere.

Una donna passò in strada, correndo a perdifiato; andava così veloce che si sentivano sbattere le ali della sua cuffia, come se fossero state due ali di uccello. I suoi piedi nudi toccavano appena il suolo; gocce di sangue ne cadevano. I suoi capelli sciolti svolazzavano dietro di lei. Agitava le braccia in gesti disperati, e urlava con un tono lugubre. Era un lamento così angosciante che Fant Ar Merrer si sentì gelare fin sotto le unghie.

Questa donna era inseguita da due cani che sembravano litigarsi tra loro il diritto di divorarla. Di questi cani, uno era nero e l’altro bianco17. Erano loro a fare tutto il baccano. A ogni loro balzo le viscere della terra ne risuonavano.

La donna fuggiva in direzione della croce.

Fant Ar Merrer la vide slanciarsi sui gradini del calvario. In quel momento il cane nero era arrivato ad afferrarla per il bordo della gonna, ma lei, cadendo, afferrò l’albero della croce e vi si tenne aggrappata con tutte le proprie forze.

Il cane nero sparì subito, lanciando un latrato terribile18. Il cane bianco rimase da solo dietro la sventurata e cominciò a leccare le sue ferite.

Il giovane disse allora a Fant Ar Merrer: «Adesso potete continuare il vostro viaggio. Non è che mezzanotte. Non esponetevi più a vedere ciò che avete visto. Non sarò sempre lì a proteggervi. Ci sono orari in cui non è bene trovarsi sulla strada. Quando arriverete a Kervénou, entrate nella casa che è là: troverete un uomo che sta per morire. Passate il resto della notte accanto al suo capezzale a recitare le preghiere degli agonizzanti e non uscite da quella casa che all’alba. Quanto a me, io sono il vostro angelo custode.»

(Raccontato da Marie-Louise Belles. - Port-Blanc.)

NOTE

1 - Qualche volta, e secondo le fonti, la credenza sostiene che il pericolo sia tanto più grande quanto più in fretta la croce affonda. È questo il caso per la fontana di Saint-Léger, a Quimerc’h, dove il rito si pratica nel modo corrente, il giorno del perdono.
“Se la camicia dei bambini affonda nell’acqua di certe fontane, il bambino morirà entro l’anno” (Cambry, Voyages dans le Finistère, t. I, p. 175). Questa usanza esisteva a Loguivy, secondo Jollivet, Les Côtes du Nord, t. IV, p. 46. È stata segnalata a Yvias da H. de Kerbeuzec (Revue des traditions populaires, XXXI, p. 293).
In Galles, per sapere se una persona guarirà, si getta uno dei suoi indumenti nel pozzo di Gwynedd e, secondo il lato su cui affonda, si pronostica la morte o la guarigione (Rhys, Celtic folklore, p. 365).
2 - “Facevano ancora così nello stesso giorno a queste fontane, offrendo tanti pezzi di pane quante erano le persone in famiglia, giudicando chi sarebbe dovuto morire nel corso dell’anno in base al modo in cui vedevano galleggiare sull’acqua i pezzi di pane che avevano gettato in loro nome.” (Vie de Monsier le Nobletz, presso H. Gaidoz, Superstitions de la Basse-Bretagne au XVII siecle, Revue celtique, t. II, p. 485.) Se il lato imburrato si girava verso il basso, significava morte; se due pezzi si appiccicavano, era segno di malattia; se il pane restava sott’acqua, la vita era in pericolo; se galleggiava, era sicuro di vivere (Verusmor, Voyage en Basse-Bretagne, p. 261). Sulla divinazione coi pezzi di pane, si veda A. Le Braz, Les saints bretons d’après la tradition populaire, Annales de Bretagne, t. XIII, pp. 84-85.
Nelle Ebridi, alla viglia di Ognissanti, si scava nel terreno un piccolo buco delle dimensioni di un piattino, poi vi si rimette la terra che era stata tolta e al mattino seguente lo si svuota di nuovo. Se vi si trova un verme morto, significa che la fine della vita è vicina; se il verme è vivo, si continuerà a vivere almeno fino al successivo giorno di Ognissanti (Goodrich-Freer, More folklore from the Hebrides, Folklore, t. XIII, p. 54).
In Cornovaglia, per sapere se si dovrà morire nel corso dell’anno, in un vaso riempito di acqua di sorgente si mettono tante foglie quante sono le persone di cui si vuole conoscere il destino. Il vaso è posato sulla pietra del focolare e lasciato lì tutta la notte. Al mattino si guardano le foglie. Quelle divenute nere sono presagio di morte entro breve (al massimo la dodicesima notte). Se le foglie presentano macchie rosse, presagiscono una morte violenta (W. Bottrell, Traditions and hearthside stories, seconda serie, p. 284).
Sull’isola di Man c’è un’usanza simile. La sera del 12 novembre si mette del sale in un ditale e lo si rovescia sopra un piatto per formare un piccolo cumulo. Si ripete l’operazione tante volte quante sono le persone in casa e si assegna a ciascuna un mucchietto di sale. Si lascia così il piatto per tutta la notte e il mattino seguente si controlla se qualche cumulo sia crollato; le persone a cui è stato assegnato un cumulo che non è rimasto in piedi moriranno entro l’anno. Il 12 novembre del nostro calendario corrisponde al vecchio 1° novembre (Rhys, Celtic folklore, p. 318).
3 - La prima notte di maggio (Beltene) è in Irlanda una delle notti in cui le anime vagano in gran numero nelle campagne (vedi cap. XVI).
4 - In Bretagna come in Irlanda sono spesso gli spettri che indicano il luogo in cui è nascosto un tesoro o un talismano (D. Hyde, Beside the fire, p. 159; G. Dottin, Contes irlandais, p. 64; Curlin, Tales of the fairies, p. 131).
5 - Un uomo aveva visto per terra in un cimitero una moneta da cinque franchi; ogni volta che cercava di raccoglierla, però, questa rientrava nel terreno. Alla fine riuscì a impadronirsene mettendoci sotto il proprio cappello e, scavando nel punto in cui l’aveva trovata, scoprì un tesoro. Non tardò molto a morire. P. Y. Sébillot, Contes et légendes du pays de Gouarec, Revue de Bretagne, de Vendée et d’Anjou, t. XVIII (1897), p. 67.
6 - La tradizione gallese nomina una classe di spettri che indica dove sono nascosti i tesori e a chi bisogna consegnarli (E. Owen, Welsh folklore, p. 202).
7 - Tra le credenze irlandesi, c’è un certo numero di altre azioni che sono proibite, perché possono condurre alla morte. Per esempio, un malato non deve essere visitato né di venerdì, né da una persona di ritorno da una veglia funebre; non bisogna tagliare i capelli o le unghie di un malato, se non dopo la sua completa guarigione (lady Wilde, Ancient legends, p. 214). In certe parti dell’Irlanda, quando una persona muore all’improvviso in un campo o lungo una strada, non si gradisce far entrare quel cadavere in una casa perché, se lo si permette, una persona di quella casa morirà entro l’anno (R. Clark, Folklore collected in co. Wexford, The Folklore record, t. V, p. 82). Nelle Ebridi, se si ricopre di rose una casa, la morte ne seguirà (Goodrich-Freer, More folklore from the Hebrides, Folklore, t. XIII, p. 32). Un bambino che cammina all’indietro accorcia la vita della madre (ibid., p. 31).
8 - Sulle coste del Galles si crede che la marea abbia un influsso sulla vita dell’uomo, che i bambini nascano quando sale e che le persone muoiano quando scende (Folklore, t. IX, 1898, p. 189). Una delle più belle poesie irlandesi del decimo secolo, il lamento della Vecchia di Bèara (Selections from ancient Irish poetry, p. 89) sembra alludere a questa credenza. Anche in Cornovaglia si crede che la vita se ne vada quando cala la marea (M. A. Courtney, The Folklore Journal, t. V, p. 217).
9 - In una leggenda gallese, è un medico che una voce misteriosa chiama e invita a presentarsi al capezzale di un malato (E. Owen, Welsh folklore, pp. 294-297).
10 - Sull’Anticristo in Irlanda, cfr. G. Dottin, Les deux chagrins du royaume du ciel, (Revue celtique, t. XXI, pp. 349-358).
11 - Si fa menzione in L. Dufilhol, Guionvac’h, seconda edizione, p. 178 di ceri benedetti che aiutano il trapasso.
12 - Questa stessa abitudine è stata rinvenuta in Scozia, ma il motivo dato come spiegazione è che il moribondo non potrebbe morire se avesse piume di uccello selvatico nel guanciale o nel materasso (W. Gregor, Notes on the folklore of the North East of Scotland, p. 206). Per la stessa ragione, nella contea di Leitrim in Irlanda si coricano i moribondi su un pagliericcio; dopo la morte, si brucia la paglia sulla cima di un colle e il bagliore informa la gente della zona che la morte è passata di là (L. Duncan, Further notes from country Leitrim, Folklore, t. V, p. 181). In Cornovaglia si dice che non si muore pacificamente su guanciali imbottiti con piume di uccello selvatico (M. A. Courtney, Cornish folklore; The Folklore Journal, t. V, p. 217).
13 - Cfr. A. Le Braz, Les saints bretons d’après la tradition populaire (Annales de Bretagne, t. VIII, pp. 209-210; t. IX, p. 246).
14 - Per sapere se una malattia è mortale, si mette il malato tra due buchi: uno è il buco della vita, l’altro è il buco della morte. A seconda che il suo volto si giri verso l’uno o l’altro buco, il malato guarirà o morirà (W. Gregor, Notes on the folklore of the North East of Scotland, p. 205). Se il malato non starnutisce, la malattia si concluderà con la morte (ibid., p. 204). Infine, basta chiudere gli occhi, raggiungere il limite della casa e soltanto allora guardarsi attorno. Se si vedranno polli o anatre con la testa sotto l’ala, il malato morirà entro tre giorni (J. G. Campbell, Superstitions of the Highlands and islands of Scotland, p. 261).
In Irlanda, per sapere se una malattia possa guarire, si prendono nove pietre lisce dall’acqua corrente, le si getta da sopra la spalla destra e poi le si mette in un fuoco di torba, dove le si lascia per una notte. Se la malattia avrà un esito fatale, le pietre picchiate l’una contro l’altra daranno un suono da campana (lady Wilde, Ancient legends, p. 206).
Nel trattato di medicina gallese attribuito a Riwallon de Myddfai e ai suoi figli, si trovano alcuni pronostici di morte. Si applica sulle sopracciglia, sull’indice o sulle gambe del malato una viola schiacciata; se lui dorme, vivrà, altrimenti morirà. Si prende un uovo deposto il giovedì nella casa del malato, vi si scrive sopra FGOGYLQYS e lo si lascia in un posto sicuro al di fuori della casa. La mattina seguente si rompe l’uovo; se ne esce del sangue, il malato morirà, altrimenti vivrà (The physicians of Myddfai, pp. 11, 26, 52, 75; 257, 436, 456). Dalla punta del dito, si lascia cadere nell’urina del malato un poco di latte di una nutrice; se il latte galleggia in superficie, il malato vivrà (ibid., pp. 132, 336). Si fa bere al malato vino in cui è stata sgretolata una margherita, oppure pimpinella o euforbia, trifoglio sgretolato nell’acqua, oppure succo d’erba misto a vino bianco; a seconda che vomiti o meno, il malato morirà o guarirà (ibid., pp. 133, 336; 228, 411; 256, 436). Si ricopre il tallone del malato con grasso di maiale e il resto lo si dà da mangiare al cane; se il cane lo mangia, il malato guarirà (ibid., pp. 156, 353).
15 - Cfr. Luzel, Le sacrement de l’extrème-onction, (Revue celtique, t. XII, pp. 268-279).
16 - La Croce del Brabante (?), all’incrocio delle strade che vanno da Penvénan a Roche-Derrien e da Tréguier a Trévou.
17 - Cfr. la lotta del corvo e della colomba sul muro del cimitero (Luzel, Légendes chrétiennes, t. I, p. 173. Si vedano anche t. I, p. 185 e p. 202).
18 - Secondo una storia irlandese (D. Hyde, Legends of saints and sinners, p. 188; G. Dottin, Contes irlandais traduit du gaélique, p. 137), la Vecchia di Bèara vide passare un giorno una donna bianca come un cigno e che superava il vento nella sua corsa. Dietro di lei venivano due mastini che avevano due metri di lingua arrotolata attorno al loro collo; una palla di fuoco usciva dalla loro gola. Al seguito dei cani c’era una carrozza nera trainata da due cavalli e ogni ruota lasciava sulla strada una striscia di fuoco. Una voce uscì dalla carrozza e chiese alla Vecchia di Bèara se non avesse visto passare qualcuno. Lei raccontò ciò che aveva visto e chiese cosa significassero la donna e i due cani. «Io sono il Diavolo,» disse la voce, «e quelli sono due mastini che ho mandato a inseguire quell’anima. È una donna che ha offeso un prete ed è morta in stato di peccato mortale; se i mastini non la raggiungeranno prima che sia arrivata al cielo, lei otterrà il suo perdono per intercessione della Vergine e sarà fuori della mia portata. Se però i mastini la raggiungeranno prima che sia arrivata in cielo, allora sarà mia.»
Non bisogna piangere i defunti prima che siano trascorse tre ore o almeno un’ora dalla loro morte, perché il pianto di chi si lamenta potrebbe attirare i cani che attendono le anime per divorarle prima che abbiano raggiunto il trono di Dio (lady Wilde, Ancient legends, pp. 118, 214).