Adriano - racconti e altro

L’uomo che perse sua moglie

Un uomo aveva perso la moglie e la stava cercando ovunque, tra colline e valli, foreste e spiagge. Alla fine arrivò in una grande pianura, in cui si innalzava una quercia. Avvicinandosi, scoprì che non era tanto una quercia, quanto una casa, in cui abitava un vecchio dall’aria gentile. Disse il vecchio: «Io sono il dio della quercia. So della tua perdita e ho visto la tua ricerca fedele. Riposa qui per un poco e ristorati mangiando e fumando. In seguito, se speri ancora di trovare tua moglie, dovrai obbedire ai miei ordini, che sono i seguenti: prendi questo cavallo dorato, montagli in groppa, vola su di lui fino in cielo e, quando ci sarai arrivato, cavalca un poco lungo le strade, cantando sempre.»

Così l’uomo montò sul cavallo, che era di oro puro. Anche la sella e i finimenti erano di oro. Non appena fu montato in sella, il cavallo volò su verso il cielo. Lì l’uomo trovò un mondo come il nostro, ma più bello. C’era una immensa città, lì, e su e giù lungo le strade di quella città, giorno dopo giorno, lui cavalcava, cantando per tutto il tempo. Ognuno nel cielo lo fissava e tutta la gente si portava le mani al naso, dicendo: «Come puzza quella creatura dal mondo di sotto!» Alla fine la puzza divenne così insopportabile per loro che il dio capo del cielo arrivò e gli disse che gli avrebbero fatto trovare sua moglie, se solo se ne fosse andato. A quel punto l’uomo volò indietro sulla terra sul suo cavallo d’oro. Atterrato ai piedi della quercia, disse al dio quercia: «Eccomi qui. Ho fatto come mi hai detto tu. Ma non ho trovato mia moglie.» «Aspetta un momento,» disse il dio quercia. «Tu non sai che tumulto è stato causato dalla tua visita nel cielo, né io ti ho ancora detto che era stato un demone a rubare tua moglie. Questo demone, guardando in su dall’inferno là sotto, fu così tanto stupito dal vedere e dal sentire la tua cavalcata su e giù per le strade del cielo, cantando, che il suo sguardo è ancora fisso in quella direzione. Io ne approfitterò per aggirarlo in silenzio, mentre la sua attenzione è catturata, e farò uscire tua moglie dalla scatola in cui la tiene rinchiusa.»

Il dio quercia fece come aveva promesso. Portò indietro la donna e consegnò sia lei che il cavallo d’oro all’uomo, dicendo: «Non usare questo cavallo per fare altri viaggi in cielo. Rimani sulla terra e allevalo.» La coppia obbedì ai suoi ordini e divenne molto ricca. Il cavallo d’oro partorì due cavalli, e quei due si riprodussero allo stesso modo, fino a che poi i cavalli riempirono tutta la terra degli ainu.

(Trascritta a memoria. Raccontata da Ishanashte il 21 luglio 1886.)

Commento

Cosa rappresenterebbe di preciso il mondo nel cielo? Un regno divino? Il paradiso? Altro ancora? La cosmologia ainu non è priva di contraddizioni, almeno nella forma in cui è arrivata fino a noi: in parte queste contraddizioni potrebbero essere state causate dagli stranieri che hanno raccolto le storie, filtrandole attraverso la propria visione del mondo. Sia come sia, gli ainu immaginano di solito il paese dei morti come un mondo sotterraneo, più o meno. In cielo tendono a vivere i kamui, o almeno sulle vette dei monti e altri luoghi elevati. Considerato che, nel loro mondo, i kamui sono antropomorfi e conducono una vita uguale a quella degli umani, diciamo pure che il paese nel cielo è qui un mondo divino. Per il momento.

Il dio della quercia che abita dentro la quercia è perfettamente normale. Se per gli ainu il corpo degli animali era un vestito che i kamui indossavano per scendere sulla terra (hayokpe è il termine usato di solito per indicarlo, ossia “armatura”), gli alberi tramite cui potevano scegliere di manifestarsi funzionavano invece come casa, al cui interno il kamui abitava con aspetto umano. Lo vediamo molto bene in questa storia, dove il dio della quercia svolge anche il ruolo dell’aiutante magico. La quercia era peraltro uno degli alberi più importanti per gli ainu, come ci è raccontato in un’altra storia, la numero LII di questa raccolta.

Il cavallo volante è curioso e sarebbe piaciuto molto a Vladimir Propp, che nel suo Le radici storiche dei racconti di fate aveva molto da dire a riguardo. Se seguiamo la sua interpretazione, in una forma più antica di questa storia compariva un uccello come veicolo con cui raggiungere il mondo celeste; in seguito, il suo posto sarebbe stato preso dal cavallo nuovo arrivato, ma con le ali che rimangono ancora come ricordo del più antico veicolo, quello che per primo fungeva da tramite tra il mondo umano e l’altro mondo. Potrebbe non essere una interpretazione troppo assurda, se applicata a questa storia: come vediamo nel finale, infatti, funziona anche come mito delle origini, che spiega da dove sia arrivato il primo cavallo e perché adesso non possa più volare. Il fatto che il cavallo sia d’oro, poi, si adatta al suo ruolo di tramite tra i due mondi, sempre seguendo la lettura di Propp: l’oro proviene dal regno dei morti e il mondo dei kamui non è troppo lontano da quello dei morti, nel folklore ainu. In certe storie coincidono proprio.

Altro particolare interessante: il cattivo odore. Gli abitanti del mondo celeste sono infastiditi dalla puzza dell’umano. Da un lato, questo ci può ricordare lo «Ucci ucci, sento odor di cristianucci» pronunciato dall’orco quando rientra a casa, una scena che Propp interpreta di nuovo come una contrapposizione tra i vivi (l’eroe) e i morti (l’orco): la puzza avvertita dall’orco è l’odore dei vivi, che puzzano per i morti, proprio come i morti puzzano per i vivi. D’altro canto, gli ainu ci dicono più volte che i kamui trovano fastidioso l’odore degli umani: il che ha senso, se pensiamo che molti kamui si manifestano nel nostro mondo come animali selvatici. Se consideriamo però che altre storie e tradizioni ainu ci dicono che i morti vanno a vivere nel kamui mosir, il mondo sotterraneo abitato dai kamui, dove la vita è come la nostra ma molto più bella, senza dolore e difficoltà, allora il confine tra morti e divinità si fa piuttosto labile. Ai kamui non piace il nostro odore perché sono animali selvatici? Oppure perché sono morti? O una qualche via di mezzo?

Si potrebbe speculare a volontà, perché il folklore ainu, così come si è conservato, è vago a sufficienza per offrirsi a svariate interpretazioni. Abbiamo un viaggio in un altro mondo. Abbiamo un cavallo alato d’oro come mezzo di trasporto, per raggiungere l’altro mondo. Abbiamo gli abitanti dell’altro mondo che sono infastiditi dall’odore degli umani. Molti indizi suggeriscono che alla base ci sia un viaggio nel regno dei morti, forse ispirato a una séance sciamanica, ma non possiamo esserne sicuri. Questo è quanto. Ognuno poi lo legga pure come preferisce.