Adriano - racconti e altro

Come da previsione

Quando Davide Pito uscì di casa per andare a fare la spesa, ad attenderlo c’era la solita giornata di metà luglio. Caldo, umido, aria immobile e pesante, cielo biancastro, vago odore di bruciato e tanta voglia di essere altrove, possibilmente in una ghiacciaia. Era tarda mattinata, ma poteva pure essere qualunque altro orario. Non era facile distinguerli, in quella stagione: faceva caldo dall’alba all’alba successiva. Cambiava solo il colore del cielo. In parte.

Quel giorno cambiò molto di più.

Il telegiornale lo aveva annunciato, ma Davide non ci aveva creduto. Non credi mai ai telegiornali: serve solo a incoraggiarli. Se cominci a crederci, l’edizione successiva le sparerà ancora più grosse. Lo sanno tutti. Così Davide non aveva creduto all’allerta meteo e alla minaccia di eventi estremi nel corso del giorno, per questo e quel motivo e qualcosa in inglese, perché erano le solite balle. Ma che razza di eventi estremi possono esserci in estate? Supercaldo, ovvio! Praticamente la norma.

Sicuro di non avere nulla da temere a parte il presente, il nostro eroe era uscito in camicia a maniche corte, bermuda, sandali, ma senza calzini bianchi. Ci sono limiti a tutto, sapete. E poi faceva caldo, ma caldo sul serio. C’è un tempo per vestirsi bene e un tempo per sopravvivere. Conan il barbaro lo dimostrava spesso nelle sue avventure, e anche lui amava i sandali. Ecco.

Poi accadde qualcosa e tutto cambiò in un attimo.

Cominciò col vento. Si alzò di colpo mentre Davide attendeva il proprio turno sulle strisce pedonali accanto all’ospedale vecchio, ed era un vento freddo, tendente al gelido. Come poteva esserlo? Non lo sapeva, ma lo sentiva e tanto gli bastava per rabbrividire. Rabbrividivano anche le altre persone a passeggio, che si fermavano per un istante, staccavano gli occhi dallo smartphone e li alzavano al cielo. Vento? Freddo? In quella stagione? Impossibile! E siccome era impossibile, tiravano dritto.

Tirò dritto anche Davide Pito, ma senza smartphone incollato al naso. Si strinse un poco, si incurvò a parare il colpo e attraversò col benestare del semaforo smart. Una perturbazione di passaggio, non un problema suo e niente di serio. Il tempo era matto e lo sapevano tutti. Lo diceva anche il tg.

Ma il vento era forte, era gelido, e sibilava giù dal nord come un Freccia Rossa assetato di sangue e distruzione. Spingeva nubi, anzi nuvoloni, ed erano grigi come il cuore di un banchiere. Venivano a frotte, greggi di nuvoloni sospinti dal buon pastore, che al momento non sembrava proprio buono, ti faceva venire i geloni alle dita dei piedi e ti copriva le braccia di pelle d’oca. Ti congelava anche il sudore addosso, e quello era bene, d’accordo, ma con moderazione. Non così. Non in quel modo.

Era proprio di cattivo gusto.

Davide Pito incassò il colpo meglio che poteva e allungò il passo. Doveva fare la spesa, se voleva il pranzo, e il pranzo era più importante di un poco di vento. Ok, molto vento. E molte nuvole, ok, ma il pranzo aveva ancora la priorità, chiaro? Chiaro. E mancava poco al supermercato. Giusto trecento o quattrocento metri, tutti dritti e tutti assolati.

Solo che non erano più assolati. Erano coperti. Perché i nuvoloni erano arrivati e avevano divorato il cielo, da bianco a grigio scuro. Forse sarebbe venuto a piovere. Forse sarebbe venuto a diluviare, una di quelle bombe d’acqua tanto amate dai meteorologi, e lui se la sarebbe presa in pieno. Storia della sua vita, insomma. Più o meno.

Davide Pito se la prese, ma non fu in pieno e non fu una bomba d’acqua. Fu peggio.

Cominciò a nevicare quando il supermercato era in vista, parcheggio pieno a metà e cartelloni che ti annunciavano i saldi del giorno. O di qualche giorno fa, vallo a sapere. Ma i saldi non contavano, al momento. Contava la neve. Che non aveva senso, ma cadeva lo stesso.

Era metà luglio, era caldo (ah, ma non adesso, adesso faceva freddo) e dal cielo cadevano fiocchi di neve grossi come un pugno. Un pugno di una mano piccola, d’accordo, come quella di Davide, ma i dettagli sono secondari. Cadevano fiocchi di neve ed erano grossi. Per essere luglio, erano enormi.

Davide scattò e trovò rifugio nel supermercato, mentre dalla porta automatica sulla sinistra uscivano due vecchiette con borse della spesa e sguardo confuso. Fissarono il cielo, fissarono la neve, presero a discutere tra loro, ma Davide era oltre, era dentro, e chissenefrega delle vecchiette. Adesso doveva

pensare alla spesa, ai prodotti col prezzo migliore, a questo e quello. Lo fece.

Nel supermercato l’aria condizionata era accesa come sempre in estate. Era glaciale, ma quel giorno sembrava quasi caldo. Perché fuori nevicava, ovvio, e quando nevica devono esserci zero gradi, lo sanno tutti. Magari non era vero, come spesso succede con le cose che sanno tutti, ma a Davide non interessava, non adesso: nel supermercato con l’aria condizionata a palla faceva più caldo che fuori. Questo gli bastava, ma grazie del pensiero.

C’era più gente del solito e molti erano fermi davanti alle vetrate, a fissare la neve incredibile che in un attimo aveva cambiato la faccia del paese. Alcuni commentavano, altri tacevano, due aspiranti ex giovani fotografavano e forse filmavano. Davide Pito passò oltre. Aveva già visto tutto e a breve ci sarebbe tornato in mezzo: non era interessato a studiare il fenomeno dalla vetrata del supermercato. La spesa, solo questo contava: fare la spesa, rifornire il frigo e poi via, a sfidare le intemperie come un personaggio di London, per tornare a casa. In piena estate. In pianura padana. La neve. Hah!

Così fece, di fretta ma non poi così tanto.

Quando uscì, il mondo era bianco. C’era almeno una spanna di neve fresca nel parcheggio, e ancora di più sul marciapiede. Quella in strada non era proprio fresca, era ridotta piuttosto male, ma c’era e le auto sbandavano, arrancavano a passo di novantenne con le emorroidi a grappoli, e già ne vedevi due che erano accartocciate contro lampioni o altre auto in sosta. Davide scosse la testa, anche per liberarla dalla neve che si stava accumulando, e si avviò lentamente verso casa.

Fu un incubo. Il vento gli sferzava braccia e gambe, gli affettava la faccia, sembrava strattonarlo da una parte all’altra. I suoi sandali affondavano nella neve e le sue dita erano passate in un momento o poco più dal dolore al nulla, pezzettini di materiale inerte appesi a piedi inerti. Ogni passo era quasi una battaglia, contro il gelo e contro un suolo che sembrava volerlo trascinare giù, giù, distenderlo a terra e seppellirlo nella neve, che cadeva e cadeva, soffiandogli addosso da ogni direzione. Era una marcia da piangere, una ritirata russa che non finiva mai, ma in luglio e in pianura padana. E Davide Pito camminava, arrancava e camminava, scivolava e camminava, con la spesa in mani insensibili.

Uno stridio di freni e uno schianto, mentre una nuova auto sbandava e terminava la corsa contro una superficie a caso solida a sufficienza da bloccarla. Altri passanti in abiti estivi strisciavano verso una copertura, verso un rifugio, verso casa, occhi sconvolti e pelle violacea. Qualcuno di tanto in tanto si fermava per un selfie, filmava la città bianca, la gente infreddolita e disperata. Qualcuno ripartiva, altri crollavano a terra e giacevano nella neve, continuando a filmarsi mentre perdevano coscienza e si abbandonavano all’assideramento. E la tempesta proseguiva, la bufera di neve in pieno luglio.

Davide Pito si fermò a riprendere fiato davanti a un bar chiuso per fallimento. Non ce la faceva più. A ogni passo i suoi piedi sembravano volersi frantumare, non si sentiva più le mani, le braccia, e le gambe erano, boh, erano pezzi di legno che qualcuno gli aveva attaccato al bacino. Gelava. Ed era luglio. Gelava ed era luglio. Perché? Perché tanto dolore? Mancavano cento metri di rettilineo, poi una curva a sinistra, altri cento metri circa, gira a destra e il terzo condominio era il suo. Due passi, più o meno. Era quasi in salvo. Perché non li riusciva più a percorrere? Perché?

Davide alzò lo sguardo al cielo impietoso, in una muta preghiera.

Il cielo non rispose, non proprio, ma il vento si fermò di colpo, come se qualcuno avesse spento un interruttore. I fiocchi di neve grandi come una mano divennero piccoli batuffoli di cotone, poi nulla. Ci fu un attimo di quiete, una immobilità totale che inchiodò ogni passante ancora vivo e cosciente e lo spinse a guardarsi attorno. Cosa succedeva stavolta? Poi il vento si alzò di nuovo.

Soffiava da sud, adesso, ed era l’alito di una fornace, un altoforno puntato contro la tua faccia. Era il tocco del deserto, una mano che incenerisce, che consuma, che divora tutto. E aveva fretta, ma tanta fretta, e guai a chi si fosse trovato sulla sua strada.

Afferrò le nubi grige e le respinse verso nord, con tutta l’efficienza di uno spazzino che detesta ogni tipo di sporco. Toccò la neve accumulata al suolo e fu come un lanciafiamme, il bianco più o meno sporco che diventava prima acqua, poi una muraglia di nebbia e vapore. Colpì Davide, gli riportò la vita nel corpo e gli risvegliò la carne quasi assiderata, trasformando il placido nulla in una babele di dolori urlanti e infuocati. Si era preso una piccola pausa caffè, ma luglio tornava con gli interessi.

Respirando, annaspando, tremando, Davide Pito riprese il cammino. Non capiva, ma non aveva più importanza. Arrivare a casa, questo solo contava. Il resto facesse pure come voleva. E alla fine tornò al suo piccolo buco cittadino, la tana in cui si annidava da solo in attesa di tempi migliori, che forse un giorno sarebbero arrivati ma ancora non ne scorgeva traccia. Vivo!

Quella sera, davanti al telegiornale, ascoltò il bilancio della giornata tanto assurda. E i morti, i feriti, i danni, questo e quello, quell’altro ancora. Il solito bilancio di disastri che si srotolava davanti a una platea che sembrava non poterne più fare a meno. E poi la spiegazione, che dava un senso a tutto e ti permetteva di archiviare ogni cosa come una esperienza, un mattone in più nella tua vita.

Il riscaldamento globale. Tutta colpa del maledetto riscaldamento globale. L’anticiclone Gehenna si era incrociato con un nucleo di aria fredda proveniente dal polo nord e aveva dato origine alla sacca anomala responsabile della bufera improvvisa. Una piccola anomalia glocale, promossa dal terribile riscaldamento globale, col tarapia tapioca come se fosse antani. C’era una sola cosa da fare, adesso: nuove misure di riduzione dei consumi per impedire che si possa ripetere e spingere con ancora più forza la necessaria transizione green. Ancora qualche sacrificio e avrebbero salvato il pianeta. Urrà!

Davide Pito annuì. Riscaldamento globale, ovvio. Come aveva fatto a non pensarci? Era davvero un disastro, ma per fortuna il governo si stava impegnando a risolverlo. E nel complesso non gli era poi andata così male. Principi di assideramento multipli, ma probabilmente sarebbe riuscito a salvare la maggior parte dei pezzi colpiti. Glielo aveva assicurato il medico durante la televisita e Davide non aveva motivo per non credergli. Gli aveva anche offerto il nuovo vaccino contro l’assideramento e sembrava una buona idea. Meglio stare sicuri, no? E tutto sarebbe andato bene, come da previsione.

E mentre aspettava che tutto si sistemasse per il meglio, mangiò un altro boccone di carne sintetica, che sapeva di ascella ma gli avrebbe fatto bene. Lo dicevano gli esperti in tv e loro non si potevano sbagliare, no? Erano esperti, dopotutto. Ne sapevano più di lui.

E se il mondo non era proprio il migliore possibile, lo potevi almeno credere. Fino al prossimo spot.

di Adriano Marchetti