Adriano - racconti e altro

Il cummenda torna a casa

Nella mente del commendator Pierercole Bertucci non c’era spazio per il concetto di vacanza né per variazioni sul tema, come ferie e riposo. La vacanza era vuoto e lui aborriva il vuoto, assieme a rap e fegato alla veneziana. La vita era lavoro, impegno, e sempre bisognava impegnarsi e lavorare: non ti fanno commendatore per aver passato il tempo a prendere il sole e sguazzare in piscina, almeno in un paese civile e progredito.

Concepiva però l’idea di tempo personale e vi dedicava almeno un paio di ore alla settimana, se le circostanze lo consentivano. Quel periodo era speso principalmente ad ammirare il lavoro di altri, è vero, ma siccome quel tipo di lavoro rientrava spesso nella categoria di “arte”, lo si può considerare comunque uno stacco dalla sua routine quotidiana.

Una sera, il commendator Bertucci rientrava dal concerto di un celebre violinista dal nome breve e allitterato. Si sentiva soddisfatto. Da bambino anche lui avrebbe voluto studiare il violino, ma non ne aveva mai avuto l’opportunità, così il sogno gli era morto dentro e si era fossilizzato. Triste, ma è normale e capita spesso. Oggi la sua vita aveva preso una strada molto diversa e ne era soddisfatto; di tanto in tanto, però, sentiva ancora il bisogno di tendere una mano al bambino che era stato e così andava ad ascoltare chi violinista lo era diventato davvero, e molto bravo. Era un compromesso e lo aveva aiutato a mantenersi sano, nonché moderatamente felice.

Canticchiava sottovoce alcuni passaggi che gli erano rimasti impressi, mentre saliva le scale verso il suo non proprio umile appartamento in città. Si sentiva bene. Smise di canticchiare e di sentirsi bene quando trovò la porta di ingresso socchiusa. Brutto segno. Molto, molto brutto. Poi notò un marchio in basso sullo stipite e si rilassò, ma solo un poco. Non era bello, ma poteva essere peggio.

Entrò cauto e accese la luce. Niente. Tutto come doveva essere, tutto dove doveva essere. Tutto in apparenza normale. Ma la casa era diversa e persino un commendatore lo percepiva.

Fece per afferrare un ombrello, poi ci ripensò. Non andava bene. C’erano regole e lui le conosceva. C’era anche una ragione e dicevano che fosse ottima: lui non l’aveva capita quando gliel’avevano spiegata, ma l’accettava in fede e per il bene della propria mente. Quindi...

Controllò in cucina. Niente. In bagno. Niente. Esaminò le altre stanze a una a una. Stesso risultato. Restava la sua camera da letto. Il commendator Bertucci sospirò. Avrebbe preferito... ma niente, non aveva senso pensare ai condizionali, quando la realtà era di fronte a te all’indicativo.

Tornò in salotto e si armò a dovere. Tempo di entrare e agire. Aprì la porta della sua camera da letto, accese la luce, guardò. Tutto tranquillo, ma un leggero fruscio tradì l’ospite indesiderato. Come era previsto che accadesse, in fondo. Il commendator Bertucci si avvicinò al letto, si genuflesse con una certa fatica, sollevò il bordo delle lenzuola, chinò la testa, guardò.

Il bambino scarafaggio era accucciato nella poca polvere lasciata dalla donna delle pulizie. Vestito di nero, ma un nero stinto e consumato, con antenne tristi fissate al cranio e occhi ancora più tristi in mezzo alla faccia sporca, fissava il suo scopritore con l’espressione di tutti gli animaletti pelosi che si sono lasciati sorprendere al centro della strada dai fari di un camion in arrivo. Avrà avuto cinque, sei anni al massimo, e non li portava bene. Ma proprio per niente. Cinque tendenti ai settanta.

Il commendatore sospirò e alzò la ciabatta. «Fuori dalle balle,» disse senza cattiveria.

Il bambino scarafaggio obbedì. Prima strisciò, poi gattonò in fretta, sbandando da un lato all’altro della stanza, quasi a casaccio. Il commendator Bertucci lo colpì un paio di volte con la ciabatta, ma piano, tanto per spingerlo nella direzione giusta e per rispettare le tradizioni.

Si sentiva piuttosto in colpa e non era il modo giusto di concludere la serata.

Un’ultima ciabattata e il bambino era fuori. Il commendatore chiuse la porta, inserì l’allarme, tornò a spegnere le luci inutili, che erano uno spreco, poi sedette sul divano. Aveva un poco di fiatone, ma si sentiva soprattutto defraudato, una emozione che provavano in pochi, perché in pochi la sapevano descrivere con la parola corretta, almeno in base alle sue esperienze.

Era stata una bella serata, aveva ascoltato un bel concerto, ma quel maledetto incontro finale aveva rovinato tutto. Come poteva fischiettare tranquillo, dopo aver dovuto buttare fuori casa un bambino, per di più a ciabattate? D’accordo che era tutto necessario, secondo alcuni, ma doveva pure esserci un modo migliore per farlo, no? Pura logica urbana: se a molti non piace, non è il modo corretto.

Il commendator Pierercole Bertucci capiva che gli insetti si stavano estinguendo e sarebbe stata una catastrofe per tutti. Capiva che, in momenti simili, ogni essere umano aveva il dovere di impegnarsi e aiutare in base alle proprie capacità. Capiva anche che, dopotutto, era un lavoro stipendiato, non il più piacevole o il più nobile, d’accordo, ma un lavoro è sempre un lavoro. Chi sa fare poco si deve adeguare e fare quello che può, senza lamentarsi. Pura legge del mercato.

Ma usare bambini per sostituire gli insetti, suvvia, questo era troppo. Era peggio che barbarico: era ridicolo. Non potevano usare, per esempio, droni? Prendere a ciabattate un pezzo di plastica non lo avrebbe mai fatto sentire in colpa, anzi: possedeva una sua valenza catartica. I bambini, invece...

Se avesse saputo con chi protestare, lo avrebbe fatto. Magari non volentieri, a criticare e protestare si sentiva sempre uno di quei fricchettoni perditempo, che non hanno voglia di lavorare e sprecano le loro energie e le loro giornate a fare casino e disturbare chi lavora sul serio. Non è un bel modo di sentirti, quando sei commendatore. Però lo avrebbe fatto. Per dignità umana, per decenza, per, per le altre cose che si usano sempre in quelle circostanze. Avrebbe protestato.

Ma con chi? Col mondo? Con la società in generale? Con...

Un fruscio. Un altro? Due in una volta? Eh no, un po’ va bene, ma il troppo è troppo. Non si poteva mica andare avanti così, era ora di darsi una calmata. Est modus in rebus, dopotutto. Non soltanto lo defraudavano dei piccoli piaceri della vita, ma lo pigliavano pure per il culo.

Adesso basta.

Il commendatore si alzò, afferrò il robusto bastone da passeggio che ogni tanto usava per fare bella figura in pubblico, stanò il nuovo bambino scarafaggio e gliene diede tante ma così tante che fu sera e fu mattina. Gli ci volle quasi un’ora per recuperare il fiato, ma ne era valsa la pena. Che diamine! Anche un santo perde la pazienza, quando si esagera.

Stanco ma soddisfatto, il commendator Bertucci si andò a lavare, fischiettando le prime battute del Trillo del diavolo. Era stato proprio un bel concerto, davvero. Una bella serata.

di Adriano Marchetti