Adriano - racconti e altro

Dettagli irrilevanti

Giosuè Cita aveva deciso di morire. Non ne poteva più di quella vita, niente gli era mai andato bene e a un certo punto è davvero meglio chiudere tutto e tanti saluti. Suicidio, dunque. Ma uno speciale, si intende. Giosuè non si poteva accontentare di un suicidio normale. Era un artista, lui.

Correzione: Giosuè Cita si considerava un artista. In realtà era solo uno scoreggione come tanti, che non aveva mai saputo concludere qualcosa di buono nella sua vita, ma siccome si immaginava un artista voleva una morte più gloriosa. Qualcosa di degno. Di memorabile. Voleva anche e soprattutto sputare in faccia alla sua famiglia: per ragioni poco nobili e ancora meno artistiche, d’accordo, ma molto personali e sentite. Lo voleva perché odiava i suoi parenti. Il parentame intero, dico.

Li detestava tutti, dal primo all'ultimo, senza distinzione di grado. Non gli appartenevano e lui non apparteneva a loro. Era nato nel posto sbagliato, chiunque lo avrebbe capito. Tranne loro, tutti i suoi maledetti parenti. Quindi sarebbe morto in un modo che avrebbe coperto di vergogna il suo nome e la sua famiglia, così avrebbero imparato. Se lo meritavano.

Imparato cosa? Giosuè non lo sapeva di preciso, ma non aveva importanza. Avrebbero imparato e basta. Glielo avrebbe insegnato lui, con una morte gloriosa. Anzi, vergognosa. Sarebbe stata la sua vendetta. Hah! Così imparate a non apprezzarmi come si deve.

Come alcuni di voi potrebbero avere già capito, Giosuè era anche piuttosto stupido, ma questo è un altro discorso e non ha importanza, perché lui non sapeva di esserlo. Raramente gli stupidi sanno di essere stupidi. Fa parte del loro essere stupidi, dopotutto. Il saggio è chi sa di non sapere. Se non sai di non sapere, sei invece un ignorante. Se non sai di essere stupido, sei probabilmente un Giosuè.

Irrilevante. Il punto è che si sarebbe ucciso, aveva già deciso il come e il dove, restava da definire di preciso il quando, ma in fondo ogni momento è quello giusto: una volta che hai tutti gli strumenti, il resto viene da sé. Puoi aspettare l’ispirazione, puoi agire di impulso. Non è rilevante. Rilevante era il possesso degli strumenti, appunto, e Giosuè Cita li aveva. Aveva appena terminato di scaricare gli ultimi e più ributtanti dettagli, e sghignazzava tutto soddisfatto davanti allo schermo.

Dopo lunghe ricerche, aveva determinato che il sistema migliore era il suicidio per strangolamento. Il materiale era facile da recuperare, facile era anche la tecnica e insomma sembrava alla portata di tutti, anche degli stupidi. Non è poi così difficile stringerti una corda attorno al collo, fino a che hai bloccato i due rami della carotide, giusto? Secondo Giosuè non lo era. Inoltre... Ah! Inoltre c’era da considerare la componente della vendetta. Sarebbe stata splendida, davvero. Memorabile.

Si sarebbe suicidato, ma lo avrebbe fatto sembrare un incidente nel corso di una vergognosa seduta di autoerotismo. Quella storia del soffocarsi per godere di più, avete presente? Giosuè aveva cercato un poco e non credeva a tutto ciò che aveva trovato, ma c’era gente che ci provava davvero e a volte ci scappava un morto. Quale modo più imbarazzante per punire i suoi parenti? Immaginare la faccia dei suoi genitori subito dopo avere scoperto il figlio strangolato mentre si faceva una sega, seduto al computer, era sufficiente a mandare Giosuè in estasi. O nelle vicinanze.

Solo che ancora non bastava. Per rendere più vergognosa e imbarazzante la morte, e più dolce la sua vendetta, aveva deciso di riempire il computer con tutto il materiale porno più discutibile che fosse riuscito a trovare. Video ributtanti, foto illegali, tutto il peggio che la rete peer-to-peer e il cosiddetto Dark Web avevano saputo offrire a un mezzo incompetente come lui. Sentiva che doveva esserci di peggio in circolazione, ma poteva bastare. Si stava annoiando a cercare tutta quella roba.

Siccome si stava annoiando, Giosuè ricominciò a fare le prove di quello che sarebbe stato a breve il suo Grande Gesto, con lettere maiuscole di ordinanza. Lo faceva spesso, quando si annoiava, e già il pensiero di quando avrebbe agito davvero era sufficiente a eccitarlo ben più del materiale porno che aveva accumulato su disco fisso. Ma era giusto così. Era una cosa artistica, capite. Niente di sporco.

Siccome era una cosa artistica, si mise attorno al collo la cinghia che, un giorno, avrebbe stretto sul serio, per bloccare la carotide e strangolarsi. La legò il necessario per farla rimanere al suo posto, un pelo sotto il mento e appena sopra il pomo d’adamo. Si sganciò i pantaloni e li abbassò un poco, per raggiungere quello che doveva raggiungere. L’idea era di simulare un incidente durante una pratica di autoerotismo, ricordate? Avviò il primo video porno che gli capitò sotto il puntatore del mouse, si sistemò più comodo e... immaginò. Fantasticò.

Sì, era proprio così che voleva andare. Era contorto e complicato, inutilmente complicato, e proprio questo lo rendeva artistico, per valori molto soggettivi di arte. Perché il suicidio era arte, secondo la sua fantasia non esattamente malata, ma abbastanza stupida. Era la suprema forma di bricolage, dal giusto punto di vista. E il suo... ah, sarebbe stato memorabile, dicevamo.

In negativo, d’accordo, ma questo era positivo. Perché l’idea era quella: non solo chiudere una volta per tutte con quella vita insoddisfacente, ma anche spernacchiare in eterno la sua famiglia. Che quel nome possa diventare in eterno un marchio di infamia e vergogna! E sì, ci sarebbe riuscito. Sarebbe stato il culmine della sua arte. Nonché l’unico esemplare concluso, ok, ma erano dettagli irrilevanti.

Mentre Giosuè fantasticava e si beava alla luce del suo trionfo futuro, il video proseguiva a volume basso. Finì, cominciò il successivo, finì pure quello, ne cominciò un altro. Erano montati a random, perché in fondo uno valeva l’altro. Era importante solo che ce ne fosse uno sullo schermo, quando i suoi parenti fossero entrati. Aveva anche disattivato il salvaschermo, per essere sicuro che avrebbero visto subito tutto quello che dovevano vedere. Ah, che soddisfazione!

Bussarono alla porta di ingresso.

Giosuè Cita fu riportato di colpo nel mondo reale. Chi poteva essere? Qualcuno che aveva davvero molta fretta, a giudicare dai tonfi. Non i suoi parenti, dunque: avevano le chiavi e aprire la porta non sarebbe stato un problema per loro. Un qualche rompiscatole? Ma chi? Ah, ma era proprio duro quel terribile supplizio che gli avevano rifilato come vita! Neanche poteva fantasticare in pace.

Una botta più forte delle altre e qualcosa di legno si sfasciò. Cosa stavano facendo? Giosuè balzò in piedi, tenendosi i pantaloni con una mano. Possibile che qualcuno avesse sfondato la porta? Ma non aveva senso! Cosa stava succedendo? Si girò per spegnere il computer, quando anche la porta della sua camera fu sfondata. Irruppero.

Erano in quattro. Erano armati. Erano vestiti come se dovessero affrontare una folla di manifestanti anziani e inermi, ma chiaramente pericolosi e da reprimere con la massima violenza in nome della libertà e della democrazia. Erano sbirri. Puntavano su di lui.

«Ma cosa...» ebbe il tempo di dire Giosuè, prima di essere afferrato e scaraventato a terra. Qualcosa si posò sul suo collo, forse un ginocchio o forse altro. Premeva. Premeva forte. Un piede lo calciò in una tempia, un altro nelle costole. O era sempre lo stesso? Irrilevante. Adesso gli sbirri urlavano, ma Giosuè non li capiva. Tutto stava diventando buio. Palline nere sbocciarono nel suo campo visivo, si dilatarono, lo ingoiarono. Poi, il nulla. Per un poco.

Quando riprese i sensi, Giosuè Cita era in una stanza sconosciuta, ammanettato e con un tipo grande e grosso che gli recitava qualcosa. Pareva amichevole come uno sciame di vespe a cui tu hai appena buttato a terra la casetta di similcartone. Ma parlava, e forse stava dicendo qualcosa di importante. Giosuè si sforzò di ignorare i dolori vari e di concentrarsi. Forse avrebbe capito cosa accadeva, a lui o almeno in generale. Perché qualcosa gli era accaduto, ovviamente. Ma cosa?

Era in arresto. Ok, questo lo aveva capito. Detenzione di materiale pedopornografico. Ok, era vero a grandi linee, aveva scaricato pure quello, ma non perché fosse interessato davvero. Distribuzione di materiale pedopornografico. Ma no che lui non lo aveva distribuito! Lo aveva solo... Ah, già, la rete peer-to-peer. Utilizzo di materiale pedopornografico. No, non lo stava proprio utilizzando, anche se lo avevano colto in circostanze fraintendibili. Violazione di copyright. Eh? Violenza su animali. I video non li aveva girati lui! Body shaming. Uh? Porn revenge. Cosa? Adescamento di minori. No, i video non li aveva certo girati lui! Era solo...

Lo sbirro gli mollò un manrovescio sulle labbra. Giosuè si azzittì e rimase a gemere sanguinante, su un sottofondo di accuse che si facevano sempre più orribili, recitate con voce piatta dallo sbirro. Ma come era possibile? Perché era andata a finire così? Cosa aveva fatto di male? D’accordo, aveva sì pianificato di farsi scoprire con tutto quel materiale, ma solo dopo la morte, non da vivo! Aveva...

«E non hai neanche fatto finta di nascondere le tracce,» ringhiò lo sbirro, fissando Giosuè Cita come se fosse il più ributtante degli abominii mai venuti a strisciare sulla superficie terrestre. «Neanche la briga di fingere di nasconderti. Sfacciato come una merda! Pensavi davvero che non ti avrebbe mai preso nessuno? Ci consideravi davvero un branco di deficienti come te?»

Giosuè aprì la bocca. La richiuse. Un improvviso lampo d’illuminazione lo folgorò non proprio sul cammino verso Damasco, ma gli spalancò occhi che erano rimasti chiusi per tutta la sua vita. Non la più nobile delle rivelazioni, ma ci si deve pure accontentare, specie quando si è da qualche parte in compagnia di uno sbirro poco amichevole, come si diceva.

Aveva pianificato quasi tutto. Ecco la fregatura. Il diavolo è nei dettagli, vero? Vero o falso, in quel dettaglio c’era stata almeno una squadra di sbirri feroci per il nostro Giosuè. E il dettaglio era solo il più piccolo dei particolari, una cosa da niente. Nascondere le tracce mentre si procurava il materiale da far scoprire postumo, o almeno fingere di nascondere le tracce. Peccato.

E adesso lui? Poteva soltanto scuotere la testa dolorante. Non era così che sarebbe dovuta andare a finire, ma era così che stava andando a finire. Davvero, e adesso lui? E adesso lui? Cosa gli sarebbe successo? Quale altro orrore gli avrebbe riservato quel mondo infame? Davvero non lo potevano far morire in pace, come voleva? Perché tanto dolore? Aveva solo desiderato uccidersi umiliando tutti i suoi parenti, no? Cosa c’era di tanto terribile in questo? Perché hai fatto il mondo così triste, Dio?

Giosuè Cita continuava a chiederselo, mentre lo trascinavano verso la cella dove avrebbe trascorso un poco di tempo nell’immediato futuro e scoperto che sì, la sua vita poteva sempre peggiorare e gli poteva riservare sempre nuove sorprese. Da un certo punto di vista.

Come un compagno di cella in arresto anche lui per reati sessuali, che si sentiva tanto solo e infelice e desiderava conoscere nuove persone. Anche biblicamente.

Da un certo punto di vista, però, Giosuè Cita sarebbe riuscito a creare un grande imbarazzo per tutti i suoi parenti, realizzando così il suo desiderio. Il problema era che a quel punto lui sarebbe stato ancora in circolazione per ricevere la propria parte, anziché comodamente fuori dai problemi come aveva progettato.

Ma sono dettagli irrilevanti, no?

di Adriano Marchetti