Adriano - racconti e altro

Eclissi

Il notiziario personalizzato gli aveva detto che quel giorno si sarebbe verificata una eclissi e Stefano Fuca era piuttosto curioso di vederla. Era soprattutto curioso di scoprire che eclissi sarebbe stata, se di sole o di luna, dato che il notiziario non lo aveva specificato, ma in fondo non era poi così strano. Le notizie potevano anche essere personalizzate e di solito interessanti, almeno secondo i suoi gusti alquanto peculiari, ma avevano anche il brutto vizio di essere poco precise. Oh beh, una certa quota di sorpresa era sempre positiva nella vita, giusto? Stefano non ne era del tutto sicuro, ma non aveva importanza: una eclissi lo attendeva e lui l’avrebbe vista.

Era anche piuttosto entusiasta, per quanto gli era possibile manifestare entusiasmo sul suo volto. Un passante avrebbe forse pensato che gli fosse appena morto qualcuno, ma Stefano era fatto così e non ci poteva fare niente. O almeno non ci aveva mai fatto niente, il che non è proprio la stessa cosa, ma può dare lo stesso risultato, sul lungo termine. Sia come sia, quel giorno il nostro Stefano Fuca uscì di casa carico di entusiasmo e buoni propositi, soddisfatto perché sarebbe successo qualcosa di più o meno nuovo a interrompere la solita monotonia, col piccolo rimpianto di non avere qualcuno con cui condividere l’esperienza. Tipo un amico, insomma: il genere di persona che Stefano non era mai stato capace di procurarsi. Pazienza. Anche in quello non aveva potuto farci niente. O voluto.

Erano le otto e trenta del mattino, il cielo era biancastro, l’aria puzzava un poco e tutto andava bene, o almeno andava come sempre. Poco traffico per strada, pochi pedoni a piede libero, un vecchio con cane al seguito, un paio di oggetti elettrici e ronzanti, solo un dubbio da affrontare: eclissi di sole o di luna? Stefano Fuca avrebbe preferito una eclissi di sole, perché non ne aveva mai viste dal vivo, se non una volta da giovane, ma era stata una eclissi parziale e aveva fatto un po’ schifo, si era solo abbassata la temperatura e, sì, una delusione, diciamolo pure. Una eclissi totale, invece...

Stefano alzò gli occhi al cielo. Biancastro, si diceva. Era quasi sempre biancastro, ma quel giorno si poteva anche optare per un bell’azzurro splendente, giusto? Per godersi meglio l’eclissi. Certo, forse era di luna e gli sarebbe toccato stare alzato fino a tardi per vederla, ma no, doveva essere di sole, lo aveva deciso lui e, sì, era l’unica che avesse senso, se ci pensate bene. Quindi sarebbe andata così, una bella eclissi totale di sole. Ah, che voglia di vederla!

Il notiziario non aveva specificato neppure l’ora, vero, ma questo aggiungeva un pizzico di, non so, di imprevisto o quello che è, ci siamo capiti. Sapere tutto e subito non va bene: ci vuole almeno una spruzzatina di sorpresa. Stefano non ne era così convinto, ma poteva accettare l’idea, se proprio gli toccava. L’importante era che l’eclissi si muovesse. Il resto poteva aspettare.

Stefano raggiunse un passaggio pedonale, guardò a destra, guardò a sinistra, riguardò a destra, poi a sinistra, quindi tornò a girarsi verso destra, perché il suo cervello aveva finalmente registrato quello che i suoi occhi gli avevano inviato già al primo sguardo. C’era qualcosa di strano in strada. Meglio, non era proprio qualcosa di strano: era normale, a modo suo. Non era normale che fosse lì in strada e, beh, ci siamo capiti. Perché vide una macchia. Una macchia bianca.

Stefano Fuca dimenticò di voler attraversare. Fissava la macchia a destra, che sembrava cancellare a una qualche maniera un pezzo di strada. Il che era brutto, ma lo avrebbe potuto accettare, fosse stato solo quello il problema. Solo che non lo era. Perché, oltre alla strada, la macchia cancellava anche il pezzo di aria sopra la strada, e un poco di marciapiede, e il topo al guinzaglio di un passante.

Ok, forse non era un topo, forse era uno di quei cagnetti ridicoli con nomi ancora più ridicoli, tipo Picci, Rippi, Toppy o roba simile, ma la macchia lo cancellava e questo non era normale. Ok, vero, a volte li avrebbe voluti cancellare pure lui, lui Stefano, ma questo non rendeva più normale ciò che i suoi occhi vedevano. Quindi i suoi occhi non lo stavano vedendo. Era un semplice errore. Così era meglio, già. La normalità si poteva riaffermare, tutto è bene quel che finisce bene, amen.

Solo che non era finito, anzi.

Fermo davanti al passaggio pedonale ma senza attraversare, Stefano Fuca vide la macchia muoversi o forse espandersi. Era difficile dirlo. Stava crescendo? Forse. Si stava spostando? Forse. C’era solo la strada ed era tutta uguale, non un punto di riferimento per l’occhio. Ma adesso copriva una parte diversa, leggermente diversa, e il vecchio col topo al guinzaglio era passato oltre, scomparso in una via traversa fuori del suo campo visivo. Suo di Stefano, che guardava e cercava di capire.

Cosa stava succedendo? Fosse stato uno schermo, avrebbe pensato a un bug. Siccome però non era la scena di un video ma la realtà, Stefano Fuca non sapeva proprio che pensare. C’era qualcosa e gli stava capitando proprio davanti, ma cosa? Una macchia bianca nella strada, ecco cosa, che a poco a poco sembrava inghiottire tutto quanto.

Perché sì, adesso ne era sicuro. Non si stava spostando, ma allargando. La macchia cresceva e piano piano si portava via il mondo, o almeno quel ristretto spicchio di mondo che si trovava davanti a lui in quel preciso momento. Per Stefano era più che sufficiente. Era anche peggio, perché la macchia si stava avvicinando a lui. Quindi sarebbe stata una buona idea cambiare posto, giusto?

Stefano Fuca pensò di farlo, poi vide un’auto entrare nella macchia e non uscirne più e tutto il resto svanì dalla sua mente, proprio come quell’auto sembrava essere svanita dal mondo.

Cosa stava succedendo? Sul serio, cosa stava succedendo?

Si guardò attorno. C’era poca gente in strada e tutta proseguiva con la propria vita, come se niente fosse, come se nulla di strano stesse accadendo lì accanto a loro. E forse era proprio così, anzi, era il solo, la sola, era... Era. Stefano scosse piano la testa. Doveva mettere in ordine le idee. D’accordo, il momento non era il migliore, ma proprio per questo le doveva mettere in ordine. Forse lì non stava succedendo qualcosa di terribile. Non di così terribile, almeno. Terribile sì, ma su piccola scala.

Qualcosa non funzionava in lui, ovvio. Forse nei suoi occhi, forse nella sua mente, forse altrove, ma era la sola spiegazione possibile. La macchia non era reale. La vedeva solo lui. Un coloboma, forse?Una cataratta? Un altro ancora, scegli la tua malattia e ti dirò chi sei? Erano ipotesi terribili, certo, ma erano migliori della sola alternativa che Stefano Fuca potesse pensare, ossia che il mondo stesse svanendo davanti a lui, inghiottito in una specie di macchia bianca. Quindi il problema era in lui, il resto della realtà funzionava ancora benissimo. Brutto, ma accettabile.

Fu così, con un falso distacco, che Stefano rimase immobile a osservare il bianco della macchia che si espandeva ancora di più, inghiottendo il resto della strada, i marciapiedi, gli edifici su entrambi i lati, i pochi passanti, i veicoli, il cielo. Era a modo suo affascinante, se scollegavi il cervello. Era più o meno come guardare un bambino che cancellava un disegno. Un bambino con una gomma molto, molto buona, d’accordo, perché quelle che aveva usato lui ai suoi tempi sembravano capaci di fare solo due cose: bucare il foglio, oppure sbrodolare tutto. Pure, le gomme buone dovevano esistere da qualche parte, no? Un bambino enorme la stava usando per cancellare il suo mondo.

Stefano decise di abbandonare quella linea di pensiero. C’erano cose molto brutte ad attenderlo alla fine del percorso, era ovvio. Meglio pensare alla cataratta, al coloboma, al quello che ti pare, apri la tua enciclopedia medica di fiducia, cartacea o digitale, e scegli una malattia di tuo gradimento. Solo un problema del suo corpo, ovvio. Del suo cervello nel peggiore dei casi, ma anche quello fa parte del corpo, giusto? Quindi il problema era del suo corpo. Quod erat demonstrandum.

Poi anche l’ultimo spicchio di mondo svanì e Stefano si ritrovò perso in un deserto bianco.

La realtà era svanita, eppure qualcosa rimaneva ancora, perché i suoi piedi poggiavano su uno strato solido. Era tutto bianco, ma era solido. Lo sembrava, almeno. Era anche come la peggiore nebbia di tutta la sua vita, e lui di nebbie ne aveva viste parecchie, specie da giovane. Erano diminuite negli ultimi anni, vero, ma dicevano che era l’inquinamento a causarle, prima, per cui era meglio così. Da un certo punto di vista. E comunque non aveva importanza, non adesso. Il bianco, dicevamo.

Era sotto di lui. Era sopra di lui. Era attorno a lui. C’era Stefano Fuca e c’era il bianco, che copriva ogni cosa. O forse era ogni cosa? Poteva ancora credere che fosse un problema dei suoi occhi, se si sforzava parecchio, ma diventava sempre più difficile essere persuasivi. Fosse diventato tutto nero, ora, quello lo poteva spiegare. Cecità. Ma quando diventa tutto bianco? Una spiegazione c’era, per forza, ma Stefano non la conosceva ed era brutto. Era bianco ed era brutto.

Non c’erano odori, non c’erano rumori. C’era solo un mondo bianco, come un foglio nuovo, e lui ci stava in mezzo. Per un qualche motivo, la realtà che conosceva sembrava essere svanita di punto in, ahaha, bianco. Cosa significava?

«C’è qualcuno?» chiese al nulla. Nessuno gli rispose.

O gli avevano risposto e lui non aveva sentito, perché non c’erano rumori? Provò ad alzare un poco il braccio e muoverlo a caso, tanto per capire se il suo corpo funzionasse ancora. Funzionava. Tutto era bianco e la sua pelle non percepiva alcuna sensazione, né caldo né freddo, né il soffio dell’aria, ma si poteva ancora muovere. Era incoraggiante. Poi Stefano decise che no, non lo era, perché ok, si poteva muovere, ma non c’erano più luoghi dove andare. E adesso lui?

Aspettò un poco, nel caso tutto si risolvesse da solo. Non si risolse. Peccato. Raramente i problemi si erano risolti da soli, ma ogni tanto poteva anche succedere, no? Forse sì, ma non quella volta. Per adesso, almeno. Poteva sempre sperare che in futuro le cose sarebbero cambiate. Difficile crederci, ma non si sa mai, giusto? In mancanza di meglio, Stefano Fuca si rinchiuse nel proprio cranio, tanto per passare un poco il tempo e non sentirsi troppo solo.

Non c’erano belle cose a fargli compagnia, lì dentro, ma era lievemente meglio di un mondo dove la sola realtà rimasta fosse il colore bianco. Un mondo che era sparito, che si era come eclissato e.

E.

Stefano Fuca fece una rapida inversione a U nei suoi pensieri. Possibile? Non aveva senso, ma forse ne aveva uno. Un senso insensato, ma pur sempre un senso. Che fosse proprio quella l’eclissi di cui aveva parlato il notiziario personalizzato? Non una eclissi di sole o di luna, ma di realtà, o quel che era? Sembrava assurdo, una specie di, non so, una pagliacciata, eppure...

Stefano chiuse gli occhi. Tempo di raccogliere le idee. Non vedere tutto quel bianco attorno a lui gli avrebbe fatto solo bene, in ogni caso. Quindi riflettiamo. Una eclissi, annunciata dal notiziario. Ma il notiziario personalizzato, non uno normale: ti dava solo notizie su misura per te. Era possibile che lo avesse informato di una eclissi simile, ossia che il mondo sarebbe sparito per lui? Assurdo, ma se cambiavi l’argomento, passando a qualcosa di più normale, non era assurdo per niente. L’annuncio di uno sciopero che avrebbe coinvolto soltanto lui, per esempio. Questo era sensato. Non possiamo quindi pensare alla eclissi come, non so, uno sciopero molto particolare?

Stefano Fuca lo avrebbe voluto tanto poter descrivere come stupido, ma non ci riusciva. Perché uno sguardo al mondo lo avrebbe contraddetto. Un mondo bianco, uniforme, privo di sensazioni. Ossia un mondo che non esisteva più, che era come sparito. Che si era eclissato.

E adesso lui?

Ma pensare non era mai stato il suo forte, quindi non avrebbe mai risolto alcunché pensando a cosa fare e basta. Vero, nella vita non aveva mai risolto alcunché, punto, ma era un altro discorso. Meglio non risolvere cercando di fare qualcosa, invece di non risolvere restando fermi. E Stefano lo sapeva bene, perché lui aveva sempre scelto la seconda opzione. Perché non tentare con la prima, stavolta?

Tentò. O almeno riaprì gli occhi. E tutto era bianco.

No che non lo era. In un angolo, sulla destra, era riapparso un frammento della strada, proprio dove la macchia era apparsa all’inizio. Stava finendo l’eclissi? Tutto tornava indietro? Stefano Fuca non si sentiva pronto a sperarlo davvero, ma era pronto ad aspettare e vedere. Così aspettò. E vide la sua cara realtà ritornare a poco a poco.

La macchia di mondo si allargava, riempiendo il bianco. Tornò l’asfalto della strada, il marciapiede, il suono di un clacson, la puzza di bruciato dell’aria. Tornò la luce e tornò il leggero soffio di vento, lo squittire irritante di un cagnolino tascabile e la spallata di una persona che lo spinse da parte per attraversare la strada. Tornò il mondo e Stefano ne era incluso. La normalità!

Sbattendo le palpebre come un cretino, poteva vedere ogni cosa al proprio posto e un posto per ogni cosa. Era la città, era l’angolo in cui si era trovato quando tutto era cominciato ed era di nuovo lì, di nuovo normale. Non un granché di angolo in una città che non era un granché, d’accordo, ma per un attimo se ne poteva pure dimenticare. Il semplice fatto che esistesse di nuovo, che lui ne fosse parte la rendeva una specie di Eden. A bassissimo budget e progettato da un malato di mente, d’accordo, ma erano dettagli. Era a casa. Era tutto finito.

Solo che non lo era.

Perché qualcosa era cambiato, ma lo avrebbe scoperto solo più avanti e forse fu meglio così. Anche gli Stefano Fuca di questo mondo ogni tanto hanno bisogno di un attimo di sollievo. Il peggio si può anche fermare a fumare una sigaretta, prima di raggiungerli. Sarebbe arrivato, certo, e sarebbe stato peggio, per l’appunto. Perché l’eclissi, quella vera, doveva ancora arrivare. Quanti gli era capitato al momento era, beh, chiamiamola pure una prova generale. Un riscaldamento.

Per cosa? Lo avrebbe scoperto a breve. Intanto, Stefano Fuca camminava sereno e si sentiva bene, per una volta in pace col mondo appena ritrovato. Meglio godersi l’esperienza, finché poteva.

di Adriano Marchetti