Adriano - racconti e altro

La galassia di Madre - 90

Kaya Farrell raggiunse la sede dell’ambasciata terrestre nella città di Guan Yu, capitale di Svarga, in una gradevole mattinata di sole, con brezza leggera e tiepida. In effetti l’avrebbe potuta raggiungere anche in un pomeriggio di pioggia e vento, oppure in una giornata di nebbia (piuttosto rara in quella zona, ma non impossibile), o anche sotto una violenta grandinata, ma perché farlo? Non c’era fretta, poteva permettersi di scegliere il giorno che preferiva e dunque aveva optato per il migliore che la stagione avesse da offrire. E poi col bel tempo c’erano più insetti per le strade. Non scendeva spesso in città, quindi tanto valeva unire l’utile (osservare il comportamento della popolazione non umana) al necessario (discutere con quel tizio all’ambasciata). Così Kaya Farrell raggiunse infine il palazzo dell’ambasciata terrestre, ma con calma e a passo rilassato.

C’era stata tensione tra alcune specie di insetti, anche in città, e questo non le piaceva. Aveva avuto un paio di problemi anche nella sua tenuta in campagna, ma nulla di davvero grave e aveva potuto separare i litiganti prima che uno ammazzasse e divorasse l’altro. Non tutti divoravano lo sconfitto, ma alcune specie sì, anche se non lo facevano solo per nutrirsi. O forse non lo facevano proprio per nutrirsi: Kaya Farrell ancora non ne era del tutto sicura, ma pareva più che altro una sorta di rituale, affine a certe forme di cannibalismo presenti anche in antiche società umane. Ne avrebbe dovuto al più presto discutere col professor Tjan Tjoe Som: era un individuo limitato e pieno di fisse, ma era anche il più vicino esperto nel settore. Magari entro la fine della settimana...

Ma agli insetti avrebbe dovuto pensare poi. Di fronte al palazzo dell’ambasciata, sotto cupole quasi trasparenti nella luce intensa del mattino, era anche troppo consapevole che esistevano forme di vita più infestanti e nocive di qualsiasi insetto e proprio con loro avrebbe dovuto discutere adesso. Così sospirò, entro, passò dalla portineria, attese, raggiunse il piano giusto, attese di nuovo, guardò con fastidio l’orario, perse la pazienza, la ritrovò nascosta sotto una poltroncina, la perse di nuovo, infine la porta davanti a cui stava aspettando si aprì, proprio quando ormai valutava se non sarebbe stato più semplice e indolore sfondarla a calci.

«Le chiedo scusa per averla dovuta fare attendere così tanto,» disse Hideki Einarsson, invitandola a entrare. Kaya Farrell rispose con un grugnito ed entrò.

«Suppongo che lei non sia qui per discutere di insetti,» le disse poi Einarsson, sistemandosi dietro il riparo rassicurante della scrivania. Rassicurante ma non troppo: la sua ospite aveva in fondo il fisico adatto per sollevare la scrivania e fracassargliela sulla testa, se mai lo avesse deciso. Come Rafael Thoreau venticinque anni prima, durante la seconda spedizione su Madre, anche Einarsson non poté evitare di paragonarla mentalmente (a voce sarebbe stato troppo pericoloso) agli idoli scolpiti dagli uomini preistorici come simbolo della Madre Terra o quel che era.

«Supponi male,» rispose Kaya Farrell. «Sono venuta proprio a parlarti di insetti. Di un insetto, che conosci bene anche tu: quello scarafaggio velenoso che ha fatto il nido all’Ufficio.»

«Il dottor Leonardi, per caso?»

«Leonardi, e non per caso. Cos’è questa cretinata che si è inventato adesso?»

«Suppongo che lei si riferisca a...»

Kaya Farrell sbatté una mano sulla scrivania. «L’anatema di Leonardi, come lo chiamate voi!»

Einarsson si sfregò gli occhi. «In realtà io non lo chiamo così.»

«Oh, una dichiarazione di fondamentale importanza. Aspetta che la scrivo, così quando torno a casa l’appendo sopra il camino e potrò poi contemplare questa fantastica perla di saggezza ogni volta che mi rilasso a fine giornata. E cominciare a parlare di cose serie, già che ci siamo?»

Hideki Einarsson desiderò con forza di essere di nuovo sulla Terra. Non perché amasse così tanto il pianeta, ma perché si trovava a quasi quattro anni luce di distanza da lì. Qualunque luogo abitabile a quasi quattro anni luce di distanza dalla Farrell era automaticamente un luogo gradevole adesso. Ma non si trovava sulla Terra: si trovava su Svarga. Era tornato a casa per un breve periodo, quando il ministro Hass lo aveva convocato, e per un periodo un poco più lungo aveva anche pensato che quel rientro sarebbe stato definitivo. Ma le tensioni tra i due pianeti erano aumentate per colpa di quella causa in corso tra l’Ufficio e la fondazione Chen-Cohimbra e così il suo incarico su Svarga era stato prolungato, nonché leggermente modificato. Adesso era lì, di nuovo funzionario all’ambasciata, e si trovava a dover trattare con una cittadina terrestre che non aveva apprezzato molto (eufemismo) il famoso e soprattutto famigerato anatema di Leonardi. Sospirò.

«Pensavo che lei non si sarebbe preoccupata molto di questa decisione, dato che in apparenza lei ha già scelto di risiedere in pianta stabile qui su Svarga,» le disse.

«Infatti non me ne preoccupo. Non me ne può fregare di meno delle scemenze che si inventa quella mummia rimbambita. Quello che voglio sono spiegazioni. Non ci sono solo io su Svarga e altri miei colleghi in futuro potrebbero anche voler tornare sulla Terra. In futuro. Non adesso e con la coda tra le gambe, perché il padrone agita il bastone. “O tornate adesso o non tornate più”, sbraita lo zombie ultracentenario. Perché è lui che lo ha deciso, non certo Gemelos o qualcun altro, hah!»

«Per quanto ne so, la decisione proviene in effetti dal dottor Leonardi, non dal direttore Gemelos. In ogni caso, a notificarla è stato il professor Vihersalo e nella sua formulazione originaria la si doveva intendere come vincolante soltanto per i dipendenti dell’Ufficio per la Colonizzazione che ancora si trovano a lavorare presso la fondazione Chen-Cohimbra, ossia l’altro istituto con cui l’Ufficio ha un problema giudiziario in corso. Gli altri...»

«Formulazione originaria, appunto,» lo interruppe la Farrell. «Che mi dici della sua interpretazione e applicazione successiva?»

Che gliene doveva dire? Non aveva seguito i dettagli, era rientrato su Svarga solo da cinque giorni e si doveva ancora riabituare all’ambiente. Doveva anche rimettersi in pari con tutti gli avvenimenti che si era perso durante il viaggio, quando non poteva certo essere aggiornato in tempo reale sugli ultimi episodi della noiosissima storia di Leonardi che fa a chi piscia più lontano con la galassia. E poi, se proprio la si voleva dire tutta, non gliene poteva fregare di meno. I ricercatori e gli scienziati con cui aveva dovuto trattare nel corso della sua attività gli erano sembrati tutti piaghe in culo, per usare un termine tecnico. Affari loro se avevano problemi con la mamma Terra.

Lo spiegò nei termini più vaghi e diplomatici che gli riuscì di improvvisare al momento. La Farrell lo fissò in silenzio per un poco, come soppesandone le capacità mentali e magari anche l’onestà, poi scosse la testa e rispose. «È successo che adesso sono cominciati ad arrivare messaggi anche a tutti gli altri scienziati e ricercatori terrestri presenti sul pianeta. Non ordini, nulla di così chiaro e diretto, per carità, ma chiamiamole pure “calde raccomandazioni”, se preferisci. Il clima su Svarga sta pian pian diventando sempre più ostile nei confronti di noi terrestri e ci sentiamo in dovere di suggerire a tutti i nostri stimati compatrioti di valutare con molta attenzione la possibilità di abbandonare al più presto il pianeta, prima che possano verificarsi episodi spiacevoli ai vostri danni. Eccetera eccetera, va avanti così per un po’, ma la sostanza è “tornate sulla Terra o ci saranno conseguenze”: ecco cosa è successo. Carino, vero? Che cosa significa questa storia? È quello che vorrei sapere.»

Hideki Einarsson chiuse gli occhi, respirò a fondo, ovviamente espirò anche, e proseguì con tutta la serie di azioni che solitamente si svolgono quando si sta cercando di ritrovare la calma, oppure ci si vuole concentrare su qualcosa, o anche solo non si sa come far passare cinque minuti e si pensa che, magari, simulare un poco di pseudoyoga potrebbe essere una buona idea. Al termine di tutta quella manfrina, decise di mandare a fare in culo (altro tecnicismo) diplomazia e politica e rispose.

«Vede, per quanto ne so, ci sono due questioni che si mischiano: una è la causa tra istituti di ricerca e l’altra è Leonardi. Sono due cose diverse e dovrebbero restare diverse, ma non lo restano. Succede quasi sempre così, quando la contesa è tra due pianeti, e succedeva così anche quando avveniva tra due governi sullo stesso pianeta. Abbiamo solo allargato il raggio, niente di nuovo. Ma il problema è che Svarga ha deciso di giocare al rallentatore e perdere tempo, invece di procedere subito con un processo: non so perché, ma immagino che abbiano le loro ragioni, stupide o pessime che siano. E se si cerca di perdere tempo, si colpisce Leonardi proprio dove è più sensibile. Perché non ha molto tempo. Quanti anni ha ormai? Centodieci? Centoundici? Probabilmente non lo sa più neppure lui. È anche stato ricoverato di nuovo, di recente, e dopo il ricovero si è incattivito ancora di più.»

«Dubito che sia umanamente possibile incattivirsi di più, nel suo caso.»

«Lo dubito anch’io, ma non importa. Importa che anche l’Ufficio adesso è irrequieto. Il consiglio di amministrazione si è schierato più volte contro di lui, il direttore Gemelos ha disobbedito, e adesso Leonardi non può più dire di avere...»

«Gemelos ha disobbedito?»

«Il direttore Gemelos ha disobbedito, sì,» confermò Einarsson. «Dopo il ritrovamento della pietra su Madre, un istituto di ricerca di Agni ha richiesto di poter inviare un proprio gruppo per collaborare a studio e analisi del reperto. Leonardi era contrario, ovvio, ma Leonardi al momento era in ospedale e il direttore Gemelos ha approvato la richiesta. Non so se siano già arrivati su Madre, ma il gruppo di ricercatori agniani ci arriverà, prima o poi, e per Leonardi è stato, beh...»

«Possiamo dire un calcio nelle palle?»

«Possiamo anche dire qualcosa del genere, come vuole.»

Gemelos aveva disobbedito al grande vecchio! Kaya Farrell trovava molto difficile crederci. Era più o meno come credere che un moscerino avesse divorato una tarantola adulta. Che cosa era successo all’omino? Già polverizzato? In apparenza no, perché lo avrebbero saputo tutti anche lì su Svarga se il direttore dell’Ufficio fosse stato sostituito. Quindi Leonardi non lo aveva sostituito. Quindi forse era possibile che avesse davvero problemi a gestire quello che era stato, fin dalla sua istituzione, il giocattolo privato del vecchiaccio. Quindi...

«Ma questo cosa c’entra col richiamo forzato degli studiosi terrestri su Svarga?» chiese.

Einarsson scosse le spalle. «Suppongo che Leonardi voglia forzare la situazione, anche se non mi è chiaro come dovrebbe funzionare. Quel che è certo è che vuole accelerare. Non ha tempo o non può permettersi di sprecare tempo. In ogni caso il risultato è lo stesso ed è quello che può vedere anche lei adesso. Vuole andare all’assalto ovunque e pazienza per le vittime che ci potrebbero essere. Sono danni collaterali e sono accettabili, almeno per lui.»

«E questo è il tuo parere, oppure è il parere del ministro Hass?»

Einarsson si irrigidì. «Non capisco a cosa si riferisca.»

Kaya Farrell sorrise senza allegria. «Lo capisco io. Li ho incontrati entrambi, quei due, quando tutti eravamo su Madre, anche se allora Leonardi era solo una persona in scatola. Andavano d’accordo e poi hanno smesso di andare d’accordo, anni dopo. Non so cosa sia successo, non mi interessa e non ho mai seguito granché i notiziari, ma in un modo o nell’altro mi pare di aver capito che c’è sempre di mezzo Madre. So però come va adesso, con Hass che vuole allargare gli accessi e Leonardi che li vuole ridurre. Accessi dei non terrestri, ovvio.»

Hideki Einarsson proseguiva con la sua imitazione di un merluzzo appena estratto dal congelatore e in attesa di essere cucinato. «E questo che relazione avrebbe col richiamo dei terrestri che si trovano su Svarga per motivi di studio e ricerca? Secondo lei, dico.»

«Oh, non lo so, ma qualcuna l’avrà di sicuro. È cominciato tutto con la scoperta di quel planetologo, no? Strutture organiche nei giganti gassosi del sistema solare di Madre. Non è la prima volta che un istituto frega le ricerche di un altro istituto e le pubblica a nome suo, ma è la prima volta che ne esce così tanto casino. E perché? Perché c’è di mezzo Madre, mi pare ovvio, e Leonardi perde sempre il controllo quando c’è di mezzo Madre. Quindi, come vedi, una relazione l’abbiamo già trovata.»

Einarsson non rispose.

«Che litighino pure, non è certo un mio problema,» riprese Kaya Farrell dopo un poco. «Il problema è che non ci devono andare di mezzo persone che non c’entrano. Tipo i ricercatori terrestri che sono su Svarga, colleghi miei e non solo. Cosa ha intenzione di fare l’ambasciata terrestre? Come intende comportarsi? Forzerà i suoi cittadini a partire? Lascerà libertà di scelta? Continuerà a proteggere e tutelare quelli che decideranno di restare? Perché d’accordo, magari perderanno le sovvenzioni che ricevono dall’Ufficio, ma non perderanno certo la cittadinanza terrestre, no? Quindi saranno ancora sotto la tutela dell’ambasciata. È così o non è così, signor funzionario?»

Einarsson si massaggiava la fronte. Non era la persona giusta per quel lavoro. Non era la persona giusta per lavori che comportassero contatto diretto e continuo col pubblico. Il ministro Hass aveva scelto molto male quando aveva scelto di farlo lavorare come funzionario, invece di un altro ruolo, più nascosto e con meno chiacchiere da fare. Ma era andata così. E maledetta quella donna.

«Ancora non è stata presa una decisione definitiva,» le rispose poi. «L’ambasciata provvederà però a notificarlo quanto prima a tutti i residenti. Mi sento comunque di poter affermare, in via ufficiosa, che il supporto ai cittadini terrestri non verrà mai a mancare, in qualunque modo essi decideranno di comportarsi, saggio o meno che sia.»

«E il comportamento saggio sarebbe tornare sulla Terra?»

«Ancora non è stata presa una decisione.»

«Spero allora che la prenderete in fretta.»

Quando uscì dall’ambasciata, il sole era ancora alto, la giornata ancora bella, il vento un poco più forte ma sempre gradevole e nel complesso il mondo si stava impegnando a fondo per sembrare agli occupanti umani un bel posto. O qualcosa del genere. Peccato solo che gli occupanti umani stessero cercando di sembrare pessima gente al mondo su cui si trovavano, nonché a molti altri nei dintorni. A cosa aveva portato quel viaggio in ambasciata? Kaya Farrell non lo sapeva, ma probabilmente la risposta era : a nulla. Nulla di concreto, perlomeno. Quanto a informazioni, invece, come esperienza si era dimostrata piuttosto produttiva. Più di quanto quello Einarsson avrebbe voluto, forse.

Problemi di successione all’Ufficio, dunque. I nuovi (beh, almeno in termini relativi) spingevano e premevano per liberare spazio al vertice, mentre Leonardi si avvinghiava con tutti i suoi tentacoli ai muri, alle poltrone, ai pavimenti e a qualunque altra cosa trovasse per fermare, tappare, bloccare, se possibile soffocare. Più ancora che la successione, il problema sembrava aprire una successione, che il gran capo lo volesse oppure no (oppure no, ovvio).

Kaya Farrell non rimpianse di avere abbandonato quel manicomio. Erano passati anni da quando lei aveva suggerito a Leonardi una collocazione migliore per i suoi ordini, anni da quando ogni strada per Madre le si era chiusa definitivamente e la sua vita aveva ripiegato verso Svarga, dove adesso si trovava moderatamente bene come posto e decisamente bene come area di studio. Non sarebbe mai tornata indietro, neppure se lo avesse potuto (ma non lo poteva, non fino a quando il gran vecchione rimaneva vivo e al comando), ma la questione non era lei. La questione erano gli altri.

Niente da fare per la fondazione Chen-Cohimbra. Avevano rubato una ricerca a un planetologo della Terra e lo scontro frontale con l’Ufficio era inevitabile: chi non sgomberava in fretta e cambiava al più presto aria sarebbe stato un danno collaterale di nessun rilievo, almeno per chiunque non fosse il danno collaterale. Ma tutti gli altri ricercatori terrestri, che non avevano niente a che vedere con la planetologia, la fondazione e derivati? Perché dovevano andarci di mezzo pure loro? Questo a Kaya Farrell non piaceva. Anzi, non lo capiva proprio. Era semplicemente stupido.

Pure, era il modus operandi di Leonardi: era il dottore e amputava senza scrupoli e anestesie, sotto a chi tocca e tocca chi è sotto, prima che abbia il tempo di rialzarsi. Eppure sembrava eccessivo anche per uno come lui. Più ancora che eccessivo, sembrava appunto stupido. Non era il solito Leonardi, o almeno non lo sembrava. Che stesse davvero per tirare le cuoia? Che fossero realmente gli ultimi e disperati scossoni del despota al tramonto? Una Terra senza Leonardi era difficile da immaginare, e un Ufficio senza di lui era quasi impossibile. Anzi, togli il quasi: era impossibile. Nato con Leonardi e cresciuto con Leonardi, con Leonardi sarebbe forse morto.

A meno che il ministro...

A meno che il ministro. Non serviva concludere il pensiero. Per quanto ne sapeva lei, e davvero non ne sapeva poi molto, le liti politiche della Terra non erano mai state uno dei suoi argomenti preferiti, Hass e Leonardi erano in uno stato di guerra fredda, dopo avere lavorato in pace e armonia per una dozzina di anni o giù di lì. L’inizio della colonizzazione di Madre. Poi era successo qualcosa, Hass aveva preso una strada diversa, insistendo sulla necessità di studiare meglio il nuovo pianeta, aprirlo ai cervelli dei mondi coloniali, eccetera eccetera. Leonardi invece si era chiuso sempre di più, forse solo per reazione o ripicca personale. La cosa non la avrebbe sorpresa.

La sorprendeva di più il comportamento di Svarga. Perché il governo del pianeta era intervenuto in quella che, almeno sulla carta, era soltanto una contesa legale tra due istituti di ricerca, uno dei quali accusava l’altro del furto di una scoperta scientifica? Che poi non finiva lì. Aveva sentito da un altro ricercatore, non proprio collega ma conoscente, che la fondazione aveva inviato al governatore di Madre la richiesta di poter tenere una conferenza anche sul pianeta, come tappa supplementare del grottesco tour che il loro planetologo stava svolgendo. Richiesta che, in apparenza, sarebbe stata per lo meno sponsorizzata, se non proprio ordinata, dallo stesso governo di Svarga. E se quella non era una provocazione...

Strano, già, nonché tendente allo stupido. Ormai sembravano bambini che giocano a farsi i dispetti, solo che i bambini in questione, oltre ad avere ormai superato da decenni la soglia legale per essere definiti bambini, non lo facevano per gioco. Lo facevano perché ci credevano davvero, cioè perché erano stupidi. Roba da pazzi, ma in fondo non così interessante dal suo punto di vista. Lo scimpanzé dal pelo rado che ama farsi chiamare homo sapiens, spesso più a torto che a ragione, non rientrava nel suo campo di studi, né lo facevano le sue paturnie. Era un campo che lasciava più che volentieri ad altri, persone dotate di gusti ben peggiori, secondo il suo modesto parere.

Nel suo campo rientravano invece gli insetti che trovò ad attenderla al rientro a casa. Ne vide due, di specie diverse, immobili ai lati del cancello come una strana guardia sbucata da un horror a basso budget e con effetti speciali di annata. Anzi, facciamo pure di secolata. E quello sì che lo si poteva definire un comportamento strano. Non avevano mai fatto niente di simile. Cosa poteva significare? Kaya Farrell lo chiese, perché gli umani amano molto domandare cose anche e soprattutto a chi non è fisicamente dotato di strumenti per rispondere.

«Cosa ci fate qui? Mi stavate aspettando?»

Gli insetti ovviamente non risposero, ma se ne andarono coi mezzi di cui erano forniti: uno volò via, l’altro strisciò sotto un cespuglio e svanì alla vista. Strano, già. Chissà se un giorno si sarebbero mai riusciti davvero a capire? Uomini e insetti, la nuova specie dominante e quelli che forse, lasciati a se stessi avrebbero prodotto in un futuro lontano milioni di anni una specie dominante autoctona. Si sarebbero mai capiti? Avrebbero mai comunicato? E se sì, che cosa si sarebbero detti? Sperando che non fossero solo scemenze e discussioni sul tempo.

Kaya Farrell vi pensava ancora, entrando in casa e chiudendo la spiacevole mattinata dietro di sé. E in casa trovò una sorpresa differente ad attenderla, molto più comprensibile di quella strana guardia d’onore davanti al cancello. Trovò un messaggio, proveniente da Madre. Un messaggio spedito dal suo vecchio amico Rafael Thoreau, tanto per restare in tema di cose incastrate nel ripostiglio.

Rafael! Erano almeno due anni che non si faceva sentire. Chissà cosa voleva? Magari aveva deciso di contattarla per quella storia dello scienziato svarghiano che voleva tenere la sua conferenza anche su Madre. O magari no: Rafael non si era mai lasciato coinvolgere molto in quelle storie, e proprio per questo era rimasto a vivere e lavorare su Madre. Per questo e perché aveva partecipato anche lui alla seconda spedizione, come gli altri che erano lievitati (o levitati, ma anche fermentati, se era per quello) verso le posizioni più alte della colonia. A parte chi se n’era andato, beninteso, come lei o Khaled, l’archeologo capo di allora.

Ma il messaggio la sorprese. Non solo parlava di politica, argomento di cui Rafael non trattava mai, ma parlava soprattutto delle correnti politiche su Madre, le tensioni nel governo e in generale nella struttura della colonia, il modo in cui rendevano sempre più difficile il lavoro e la posizione che lui aveva assunto a riguardo. Un messaggio in cui si mischiavano lamentele e informazioni, in parte un coro di flagellanti medievali e in parte tentativo di aggiornarla in un modo passabilmente imparziale e oggettivo. Si concludeva con una richiesta generica di aiuto e partecipazione.

Kaya Farrell lo ripercorse tre volte, seduta sulla poltrona buona (nonché robusta) del salotto. Sì, non si era sbagliata: Rafael le chiedeva di partecipare. Di collaborare. Di prendere posizione. Rafael! Lo stesso omino con la faccia da ragioniere e il fisico da grissino usato, che durante la spedizione non avrebbe neppure espresso un parere diretto sulla bevanda che preferiva. Le chiedeva di partecipare e prendere posizione. Diciamolo un’altra volta: partecipare e prendere posizione. E lo chiedeva a lei. Incredibile. Il mondo doveva essersi capovolto per davvero.

Poi controllò meglio il messaggio e vide che no, non si era capovolto davvero, non del tutto: ci sono cose che non cambiano mai e la stupidità di Rafael era una costante universale. Le aveva spedito in pratica un pamphlet politico e neppure si era preoccupato di criptarlo decentemente. Un gesto che gli conferiva le stesse aspettative di vita di una medusa in un altoforno in funzione, se mai avesse deciso sul serio di lanciarsi in una carriera da complottista carbonaro. Kaya Farrell scosse la testa. Se davvero si illudeva di poter continuare la vita tranquilla da apparente agnostico politico, Rafael avrebbe dovuto riconsiderare di parecchio le sue speranze future: comunicazioni interplanetarie e segretezza abitavano universi differenti.

Oh beh, ormai era andata così e magari questo lo avrebbe aiutato a svegliarsi un poco e passare più tempo all’aria aperta. Non che l’aria aperta su Madre fosse poi così gradevole, ma era un altro paio di maniche. Il messaggio le descriveva l’aumento del fronte anti-Leonardi (chissà che contenti quei poveracci, quando scopriranno che le loro attività e i loro nomi hanno viaggiato per trenta anni luce quasi completamente in chiaro), il modo in cui i fedelissimi del vecchione si incattivivano sempre di più, gli indecisi che sempre più spesso sceglievano di schierarsi contro l’attuale governo, e questo e quello, tutte storie che a Kaya non interessavano davvero, ma che contribuivano al mezzo affresco che si era creata in testa dopo l’incontro della mattina all’ambasciata.

Dunque Leonardi sembrava perdere posizioni un poco ovunque. Ovvio che si incattivisse. Dire che non sapeva perdere era come dire che una stella era tiepidina. E perdeva posizioni perché diventava sempre più vecchio, sempre più malandato. Non sarebbe campato ancora a lungo. Perché allora tutti si preoccupavano di opporsi a lui? Non bastava aspettare che la natura facesse il proprio dovere? No che non bastava, per chi contava di spartirsi le posizioni rimaste libere o, meglio ancora, papparsele tutte da solo o da sola. Questo lei lo capiva. Ma perché Rafael ci era finito in mezzo? Questo invece non lo capiva. Era strano come... come qualcosa di molto strano.

E le chiedeva di prendere posizione. A lei, che con Madre, l’Ufficio e Leonardi non aveva più nulla a che fare! Davvero, gli insetti di Svarga erano molto, ma molto più razionali degli umani. Non che ci volesse tanto: anche un paramecio probabilmente lo era. Ma per ogni problema c’è sempre una soluzione, anche se non sempre la soluzione è piacevole o consigliabile. Per il problema particolare che Rafael le aveva presentato, la soluzione era già pronta e si dettava praticamente da sé: avrebbe risposto ringraziando per le informazioni, ma dichiarandosi non interessata a farsi coinvolgere dalle lotte intestine nell’Ufficio e in tutto ciò che lo riguardava. Quella parte della sua vita era chiusa e il sarcofago non sarebbe stato riaperto. Non da lei e non volontariamente, almeno.

Così, mentre Kaya Farrell preparava il messaggio per Rafael Thoreau, l’esemplare di insetto locale che girava spesso per la sua casa ed era grossomodo simile a una mantide a due teste la fissava in un angolo della stanza, in silenzio. La fissava prima con una testa poi con l’altra. Rimase a fissarla fino a che il lavoro non fu concluso, poi sgattaiolò fuori dall’edificio sulle sue zampette agili e sottili e si perse nella scarsa luce del crepuscolo, che in quella fase dell’anno portava al pianeta una notte reale senza bisogno di offuscare vetri e cupole. Altri insetti della stessa specie erano in attesa nell’edificio che le pseudomantidi sembravano preferire, e nel buio di quel luogo si svolse ciò che sembrava una specie di convegno, lungo e silenzioso: fatto di gesti, odori, vibrazioni, ma neppure un suono che le orecchie umane avrebbero saputo cogliere. Si concluse sul fare dell’alba.

Nel frattempo, nell’ambasciata terrestre di Guan Yu Hideki Einarsson non era contento. Sapeva di avere parlato troppo con quella donna e sospettava di avere perso almeno in parte il controllo: gesto grave da parte di chi svolgeva un lavoro come il suo, ma gesto a volte inevitabile, come inevitabile può essere una sonora emissione gassosa dall’orifizio terminale dell’apparato digerente, qualche ora dopo un pasto con abbondanza di carboidrati e legumi. Oh beh, ormai era andata così: lo consolava sapere che quella Farrell era una mezza eremita, che viveva in mezzo agli insetti, per gli insetti e più probabilmente ne avrebbe discusso con qualche insetto piuttosto che con altri esseri umani. Non era stato un grosso danno, insomma, ma per il futuro avrebbe dovuto lavorare di più sull’autocontrollo.

Non lo aiutavano le notizie che continuavano ad affluire. Che un paio di giorni prima la fondazione Chen-Cohimbra si fosse messa in contatto con l’ambasciata per valutare le possibilità di organizzare anche su Madre una conferenza sulla loro (per un dato valore di loro) grande scoperta, corredata se possibile da un simposio coi principali esponenti della comunità scientifica locale, era molto più di una semplice provocazione: era... era qualcosa per cui non riusciva al momento a trovare la parola giusta, ma era sgradevole e avrebbe solo peggiorato la situazione. Il governatore Rossi lo avrebbe di certo rifiutato, questo non era neppure in discussione. Ma Gemelos? Cosa avrebbe fatto il direttore Gemelos? Perché presto o tardi avrebbero dovuto interpellare anche lui.

Il ministro Hass non aveva ancora dato indicazioni in proposito, ma Einarsson poteva immaginare e questo avrebbe rifilato un altro bello spintone a Leonardi verso il suo blocco a oltranza dei contatti tra Madre e il resto della galassia abitata. “Facciamoli entrare” avrebbe detto il ministro. “Mai e poi mai!” avrebbe risposto Leonardi. Il consiglio di amministrazione ne avrebbe poi approfittato in una qualche maniera per indebolire il vecchione passatista, anche se al momento lui non avrebbe saputo immaginare come. O almeno tentare di: era difficile anche immaginare Leonardi in vera difficoltà.

Fosse come fosse, non era un problema: Einarsson non era un politico e non aveva bisogno di saper immaginare come comportarsi in certe occasioni. Lui aveva altri incarichi e agli incarichi si sarebbe attenuto. Se solo gli avessero risparmiato il problema di dover trattare col pubblico, lui sarebbe stato molto più contento, ma per adesso non glielo avevano risparmiato e le cose non promettevano alcun cambiamento a breve termine. Di conseguenza, doveva fare il meno peggio che poteva, se il meglio non gli riusciva. Quel mattino con la Farrell il meglio non gli era proprio riuscito.

Ma qualcosa di interessante gli successe ugualmente. Nel pomeriggio il suo collaboratore Feleke, il responsabile di “gestire” i messaggi in entrata e in uscita all’ambasciata, con virgolette molto forti attorno al verbo gestire, gli consegnò una pesca che, se non era proprio di grande valore, meritava quantomeno di essere inoltrata verso la Terra e il ministro. Proveniva da Madre ed era un messaggio spedito da Thoreau, che nella colonia si occupava dell’ambiente e in generale aveva lavorato alla prima fase della terraformazione. Un pezzo grosso a modo suo, anche se di quelli che preferivano restarsene defilati e nascosti, per chissà quale ragione. Non lo era rimasto in quel messaggio.

Descriveva una situazione non proprio favorevole alla fazione di Leonardi, che era sempre stata il blocco di maggioranza su Madre. Adesso forse non lo era più, o almeno viveva una classica fase di incertezza, confusione, dubbi esistenziali, dilemmi contabili, pro e contro, destra e sinistra, questo e quello. Perfino la sua vice, Sonja D’Antona, pareva pronta a voltare le spalle al governatore Rossi. Storia confusa, già. E dove c’era confusione, c’erano sempre anche molte possibilità, anche se non necessariamente belle o nobili.

Ma di questo si sarebbe occupato il ministro, se lo riteneva necessario. Suo compito era solo di fare pervenire a lui le informazioni, non certo di pensare a come utilizzarle. Hideki Einarsson preferiva al momento pensare ad altre cose, non più semplici ma alla sua portata. Le reazioni all’anatema di Leonardi, per esempio. Molti avevano già risposto «Obbedisco!» ed erano ripartiti per la Terra, ma molti non significava tutti ed era proprio la differenza tra molti e tutti a interessarlo. Finora in otto si erano presentati nel suo ufficio a protestare, inclusa la Farrell, e un numero ben superiore lo aveva contattato con altri mezzi, persone troppo distanti per viaggiare fino alla capitale o, semplicemente, persone che non avevano voglia di viaggiare e magari fare la fila. Tra loro, a dominare era un vago, ma non debole, senso di ostilità verso l’ultima trovata di Leonardi. La consideravano una scemenza, anche se nessuno aveva usato il termine. Che cosa c’entriamo noi se un planetologo si è fregato il lavoro di un altro planetologo? Che si arrangino all’interno di quel dipartimento e lascino in pace la gente che lavora e studia sul serio!

Sì, anche lì prometteva di esserci una bella spaccatura tra l’Ufficio, che in teoria avrebbe dovuto sia tutelare che supportare la ricerca scientifica, e chi invece la ricerca scientifica la svolgeva davvero. I risultati? Einarsson non li conosceva, ma li poteva immaginare. Il ministro non solo li conosceva di sicuro, ma li avrebbe anche saputi sfruttare. Era ovvio, proprio come era ovvio che i tempi fossero maturi per una robusta ristrutturazione dell’Ufficio stesso, soprattutto adesso che Leonardi cedeva e perdeva sempre più colpi anche sul piano fisico. Non sarebbe durato ancora a lungo.

Lo scannatoio che il dopo-Leonardi avrebbe quasi di certo prodotto poteva essere preoccupante, ma Einarsson non se ne preoccupava. Non rientrava nei suoi doveri. Ma accompagnare quel giovane su Svarga e fargli da balia durante la permanenza alla fondazione Chen-Cohimbra era stato un lavoro produttivo e ancora adesso ne raccoglieva i frutti. Non entusiasmanti, niente fuochi d’artificio o altri effetti speciali vistosi, ma lo scossone che serviva era arrivato e adesso il ministro Hass ne avrebbe cavalcato l’onda, come da programma. Sempre che tutto fosse andato bene, ma tutto sarebbe andato bene, questo era certo. Almeno secondo il suo punto di vista.

Sì, era stata una fortuna anche per lui trovarsi al posto giusto al momento giusto, ossia nella sala del piano ricreativo dell’Ufficio (come amavano definire il piano dell’edificio in cui erano concentrati i vari servizi di ristorazione, che per ragioni misteriose erano considerati “di svago” da chiunque mai avesse scelto quell’epiteto), proprio mentre quello Stratos si lamentava con una collega. Quel tipo di fortuna che si costruisce con un bel setaccio, tanta sorveglianza e confronti incrociati tra i profili dei dipendenti, è vero, ma pur sempre fortuna, se la si voleva pensare in quei termini. Einarsson restava piuttosto neutrale in merito. In fondo non contava come li chiamavi; contavano i risultati e i risultati al momento vedevano una causa aperta tra l’Ufficio e la fondazione, una gara a cornate tra Leonardi e il governo di Svarga, una sfiducia crescente verso lo stesso Leonardi e domani chissà, magari una rivoluzione nella struttura amministrativa della Terra.

Sarebbe stato bello conoscere l’obiettivo finale del ministro, ma Einarsson non lo conosceva e dopo tutto doveva ammettere a se stesso che non era così importante conoscerlo. Avrebbe semplificato di sicuro alcune cose, ma forse ne avrebbe complicate altre. Meglio che ognuno facesse solo il proprio dovere e solo a quello pensasse, fidandosi dei colleghi. Lui si fidava del ministro, dunque avrebbe continuato col suo incarico di accrescere il malcontento verso l’Ufficio nei ricercatori terrestri sul pianeta, ma sempre preoccupandosi di proteggerne l’incolumità. Erano pedine, proiettili da sparare uno dopo l’altro contro Leonardi, ma erano anche preziosi e non si dovevano sprecare, danneggiare o altro. Sarebbero serviti nella successiva fase di ricostruzione.

Ma con la Farrell aveva sbagliato tattica, maledizione. Si era lasciato distrarre dai suoi modi, così simili al suo vecchio sergente addestratore dei tempi in cui era ancora nell’esercito, e aveva reso un pessimo servizio al ministro. Forse. In caso di imprevisti. Ma avrebbe rimediato.

Il giorno dopo lo attendevano altri due studiosi terrestri, attualmente al lavoro presso la fondazione e molto preoccupati per il futuro che li attendeva. Cosa avrebbero dovuto fare? Tornare sulla Terra e abbandonare ciò che stavano facendo? Ma erano ricerche della massima importanza, non potevano gettare via tutto così, significava sprecare gli ultimi tre anni della loro vita. Non c’erano soluzioni?

Hideki Einarsson sorrise e spiegò che no, purtroppo il momento sembrava piuttosto delicato e sulla Terra erano state prese (passivo! Forma meravigliosa, che allontana e solleva, quasi indiando il peso delle responsabilità, proiettato in sfere fuori dall’umano controllo) decisioni infelici e adesso tutti ne dovevano pagare in parte le conseguenze. Ma bisognava pazientare, salvare il salvabile, adattarsi. Il personale dell’ambasciata avrebbe fatto il possibile per tutelare i cittadini terrestri su Svarga, ma gli studiosi dipendenti dell’Ufficio portavano purtroppo sulle spalle un peso supplementare, il legame col datore di lavoro, e alle decisioni dell’Ufficio si dovevano sottomettere, sagge o non sagge che a loro apparissero. Avranno tuttavia il diritto di esprimere le proprie rimostranze nei confronti di chi li ha costretti ad abbandonare le loro ricerche, questo è indubbio, e sulla Terra potranno poi rivolgersi a questo e questo contatto, che garantiranno tutto l’appoggio necessario.

I due ricercatori forzati al rimpatrio ringraziarono e uscirono, infelici e scontenti. Hideki Einarsson si rilassò contro lo schienale della sedia quasi comoda, con la consapevolezza di un lavoro ben fatto. Stavolta. Ma la strada era tanta e sarebbe servito anche qualcuno che si decidesse a opporsi in modo più diretto all’anatema di Leonardi, scegliendo magari di restare su Svarga, o addirittura restare alla fondazione, in barba a ordini, proclami e ultimatum. Quello sì che sarebbe stato utile alla causa. Ne avrebbe trovato qualcuno? Con un sospiro, consultò la lista dei nomi di chi ancora restava.

Ah, forse qualcuno c’era.