Adriano - racconti e altro

La galassia di Madre - 25

Non fu una discussione piacevole, quella tra Matteo e Sharma. Raramente lo sono, le discussioni che si aprono con una variante sul tema del “dobbiamo parlare”, ma quella fu ancora più sgradevole di quando Matteo avesse immaginato, sulla base delle premesse di Chakra. Ok, era chiaro che tutta la questione di Kemala era stata scoperta, dato che quella fessa si era fatta intercettare un messaggio (con tanti saluti al “sono pronta, non sono sono mica scema, per chi mi hai preso?”), e adesso gli sarebbe toccata una predica come neppure nelle peggiori messe, ma c’era un dettaglio che aveva trascurato, dimenticato, o quel che era.

La questione di Kemala non era stata scoperta, perché non era mai stata coperta. Niente è mai davvero coperto, su Lakshmi, o almeno non a lungo.

«Sapevo cosa tu stessi facendo,» disse Sharma, con la sua migliore espressione da mamma, «ma ne sono rimasto fuori. Come dovresti sapere anche tu, è questa la politica del nostro pianeta: la libertà individuale viene prima di tutto. Per quanto stupida possa essere un’azione, tu hai tutto il diritto di compierla, se è questo che desideri, e se sei...»

«Pronto ad assumermene tutte le responsabilità e ad accettarne tutte le conseguenze, prevedibili e non prevedibili,» concluse Matteo, più annoiato che altro. «Lo so, conosco la pappardella. Sentiamo quali sono queste conseguenze, dunque.»

«Non sembri prendere molto sul serio questa situazione.»

«La sto prendendo sul serio.»

«No, non la stai prendendo sul serio,» sospirò Sharma. «Non sei neppure andato vicino a prenderla sul serio, credimi. Non sei abituato. Non fa parte della tua educazione, pensare alle conseguenze di una tua azione. Tu agisci, perché in quel momento ti sembra giusto o ti piace così, e poi vada come vada. Non è il modo in cui ci comportiamo, qui su Lakshmi, e non è il modo in cui una persona si dovrebbe comportare, su Lakshmi o altrove.»

«Scusami tanto se sono nato e cresciuto su un altro pianeta, a qualche decina di anni luce da qui, con una cultura e un’etica completamente diverse. Tornerò a vivere su un albero, se questo ti farà contento e ti aiuterà a sentirti migliore di me.»

«Non è questo il punto. Ho seguito la storia fin dall’inizio, ma dopo questo messaggio non posso più stare zitto, perché il problema non riguarda più soltanto l’etica lakshmita, ma sta diventando un problema serio anche per le leggi terrestri, che dovresti avvertire come più vincolanti, se possiedi un poco di buonsenso. Se consideri la situazione...»

«Ferma tutto!» Matteo aveva impiegato un certo tempo a elaborare alcuni aspetti della discussione, pensare e reagire con rapidità non rientrando tra le sue doti speciali, ma alla fine ci era arrivato e la cosa a cui era arrivato lo disturbava parecchio. «Cosa significa che sapevi cosa io stessi facendo e te ne sei stato zitto, scusa? Potresti riformularmi questo concetto?»

«Significa esattamente quello che ho detto. Conoscevo cosa tu stessi complottando assieme a quella ragazza, Kemala Kexin, perché vi ho seguiti fin dall’inizio e ho osservato i vostri movimenti, ma...»

«Non stavo complottando un bel niente. Era lei che complottava: io le ho solo dato un suggerimento o due, di tanto in tanto, ma niente di serio. E poi cosa significa che ci hai seguito...» ma non aveva bisogno di completare la domanda, perché un altro pensiero si era sistemato al proprio posto, con un clic che poteva quasi sentire. Glielo aveva spiegato Chakra, no? La storia della sorveglianza totale e lo strano, assurdo sistema di autospionaggio incrociato, per cui ogni lakshmita poteva sorvegliare ogni altro lakshmita e riportarlo se commetteva qualcosa di illegale. Non illegale: irresponsabile, si corresse. «Mi hai spiato per tutto questo tempo? Perché?»

«Non ti ho spiato. Ho controllato le tue azioni, come è mia responsabilità fare, in quanto tua balia. Il mio compito è educarti alla corretta vita su Lakshmi e in questo compito rientra anche controllare i tuoi eventuali comportamenti impropri, per correggerli. Non è un lavoro che svolgo con piacere, lo puoi capire anche tu, perché il tempo sprecato a controllare le tue attività lo dedicherei volentieri allo studio, ma è un lavoro che ho accettato di svolgere, responsabilmente, e lo svolgerò fino a che tu sarai sotto la mia responsabilità.»

La storia di Chakra era vera. Aveva anche sospettato che fosse proprio Sharma a sorvegliare i suoi movimenti, ma sembrava una idea troppo paranoica, per essere reale. Eppure lo era. E Chakra lo aveva persino avvertito, a modo suo. Ma io non gli ho creduto fino in fondo, pensò Matteo. Peggio per lui. Adesso ne avrebbe pagato le conseguenze, haha.

«Hai guardato tutto quello che facevo, mentre non ero con te?»

«Era mia responsabilità.»

«E sei anche stato tu a farmi pedinare da quel baffo, tricheco o come cavolo lo chiamate?»

«Questo non ha rilevanza, al momento, perché il problema è che...»

«Ha rilevanza sì, che ha rilevanza! Ho avuto quel... quel coso dietro il culo per mesi, sempre lì a seguirmi e guardarmi dovunque andassi. Pensi forse che sia stato piacevole? E mi sei anche venuto a dire che non era niente e che ero paranoico io, quando te ne sono venuto a parlare! E adesso mi dici che non ha rilevanza? Ma ti senti quando parli?»

«Non aveva rilevanza in quel momento e non ha rilevanza adesso. Riportare atteggiamenti sospetti o pericolosi è un preciso dovere di ogni cittadino lakshmita ma, come ti ripeto, adesso questo fatto non ha alcuna rilevanza, perché...»

«Perché lo decido io cosa sia rilevante o meno, se permetti, almeno quando si tratta di me! Non solo mi hai spiato per tutto questo tempo, ma mi hai anche fatto pedinare, mi hai raccontato balle quando ti ho chiesto spiegazioni e adesso mi vieni a dire che non importa, che sono dettagli, perché c’è ben altro, c’è sempre ben altro, ben altro è il capro espiatorio universale, vero?

«In effetti è così, c’è ben altro di cui preoccuparsi, perché la situazione interplanetaria è cambiata in modo considerevole, rispetto all’autunno. Se prima era soltanto una questione di etica lakshmita, e si poteva risolvere interamente qui, adesso potrebbe diventare qualcosa di ben più serio, per te e non solo. Di conseguenza, dettagli che non pertengono a questo panorama sono del tutto irrilevanti.»

«Simpatico il tuo modo di autoassolverti, eh? Sì, ho fatto questo e quello, ma adesso non importa, perché c’è ben altro a cui pensare. Molto comodo, soprattutto.»

Sharma sospirò. «Faresti molto meglio a cominciare a pensare con la tua testa, invece di arrabbiarti e piagnucolare come un bambino. Non riesci proprio a vedere quali conseguenze potrebbero portare le tue azioni, nel quadro delle attuali tensioni tra Terra e Lakshmi?»

«Piagnucolo come un bambino, eh? Ma pensa! Ho appena scoperto che il mio compagno di stanza mi ha spiato per più di un anno, qualunque cosa stessi facendo, e mi ha pure denunciato, in segreto, eh, sempre in segreto, facendomi pedinare da un Baffo, e adesso non mi posso neppure arrabbiare. Non ne ho il diritto! Cosa dovrei fare, ringraziarti? Grazie tante, caro Sharma, mi sei stato proprio di grande aiuto. Fallo di nuovo alla prossima occasione, eh? E pensare che mi fidavo, di te.»

«Continui a non vedere quale sia il vero problema.»

«Dimmelo tu, allora, visto che sei così furbo!»

«Oggi i governi di Terra e Lakshmi stanno solo litigando per la storia della quarantena. I contatti tra noi e Madre, colonia terrestre, sono bloccati. Tu hai aiutato una lakshmita a raggiungere la Terra, e fin qui non ci sono reati, ma le hai anche indicato come infiltrarsi su Madre, fingendosi terrestre, e qui di problemi ce ne sono parecchi. La stai aiutando a violare un blocco, voluto dal tuo governo. Se mai le tensioni tra Terra e Lakshmi dovessero peggiorare, tu ti ritroveresti ad aver aiutato un nemico a entrare sul suolo terrestre, sotto falsa identità. Perché è questa la situazione che si configurerebbe: i lakshmiti diventerebbero nemici, almeno nella interpretazione più stretta delle leggi, mentre Madre sarebbe suolo terrestre, in quanto colonia dipendente. Aiutando un lakshmita ad accedere a Madre, saresti un collaborazionista, che aiuta un nemico a entrare in un territorio terrestre. Naturalmente, è solo la peggiore delle ipotesi e siamo ancora parecchio lontani da una tensione così grave tra i nostri due pianeti, ma, come dovresti capire anche tu, è mia precisa responsabilità avvertirti per tempo, per darti almeno una occasione di riflettere sulle tue azioni e decidere, in modo informato, quale sia la risposta migliore al problema che hai di fronte.»

Matteo ascoltò in silenzio, sempre più allarmato e sempre meno felice. Poi, come spesso accade in circostanze analoghe, interpretò la risposta del compagno di stanza nel peggiore dei modi possibili e parlò di conseguenza. «Quindi mi stai venendo a dire che lo fai per il mio bene? Mi hai spiato per il mio bene e adesso mi fai la predica per il mio bene, sorvolando su tutto quello che tu hai fatto di sbagliato, perché era per il mio bene e quindi si assolve così?»

«Penso che tu non mi abbia ascoltato molto bene. Hai capito almeno il pericolo che potresti correre, se lo stato di cose dovesse peggiorare e le tensioni tra i nostri pianeti si dovessero aggravare?»

«Non me ne frega niente! Tu mi hai spiato per più di un anno, mi hai denunciato, e adesso mi vieni a dire che lo hai fatto per il mio bene! È la scusa più stupida che ti potessi inventare, lo sai?»

«Non è una scusa e penso proprio che faresti meglio a calmarti e rifletterci a mente fredda. Adesso non sei razionale e sono le tue emozioni a controllarti, lo posso capire, ma dovresti davvero trovare il tempo di lasciare che la tua irritazione passi, prima di dire altro. Ti accorgerai da solo di come il mio comportamento sia del tutto normale e razionale, anche se adesso può sembrarti sbagliato. È un problema di differenze culturali, tutto qui. Riflettici e lo capirai.»

Forse alla fine lo avrebbe capito davvero, se avesse deciso di rifletterci con calma, ma al momento la calma riflessione era quanto di più lontano ci fosse dalla mente di Matteo. O quasi. In effetti, anche le abitudini sessuali dei trilobiti erano parecchio lontane dalla mente di Matteo, forse anche più di quanto lo fosse la riflessione razionale, ma i trilobiti erano estinti, dunque li poteva ignorare. Il suo compagno di stanza e (ex?) amico Sharma, invece, era vivo e vegeto e i suoi inviti alla calma e alla riflessione erano secchiate di olio bollente sul suo cervello. Matteo reagì di conseguenza.

Discussero ancora un poco, seguendo lo stesso copione, poi la discussione degenerò in litigio vero e proprio, Matteo ebbe la possibilità di sperimentare vari insulti imparati da Chakra e le reazioni di Sharma gli dissero che l’esperimento era riuscito e li aveva imparati bene. Aveva anche imparato bene la loro applicabilità nel contesto. Alla fine, quando la rabbia gli stava facendo perdere anche la capacità di esprimersi in un lakshmita compiuto, concluse nella migliore tradizione dei litigi, ossia sbattendo la porta e andandosene, che fa sempre una bella scena, anche se raramente sensata.

Fuori, la pioggia continuava, meno battente di prima, ma pur sempre spiacevole. A Matteo occorse poco più di un minuto, per recuperare la razionalità sufficiente a decidere che, in quel clima, uscire sbattendo la porta poteva anche essere una bella scena, ma sarebbe stato molto meglio ricordare di prendere con sé un ombrello. Tornare indietro, però, era fuori questione, almeno per adesso, per cui si sarebbe preso la pioggia e pazienza. Era coreografica, se non altro, e lo aiutava a interpretare quel ruolo di persona tradita da un amico, che sembrava il più adatto alle circostanze.

Camminò a lungo senza meta, prima di ricordarsi che, in fondo, era pur sempre su Lakshmi e non aveva bisogno di restare senza ombrello, se non ne aveva uno. Bastava infilarsi nel primo negozio, o nei luoghi che facevano funzione di negozi, e recuperarne uno, in qualunque ora del giorno o della notte. Il passaggio da idea ad azione fu immediato. Certo, se solo ci avesse pensato prima, adesso non sarebbe bagnato fradicio, ma almeno era tarda primavera, faceva caldo ed era colpa di Sharma.

Gli occorse molto più tempo, con la pioggia che batteva sopra il nuovo ombrello, prima di porsi la seconda questione chiave della serata, ormai nottata. Cosa avrebbe fatto, adesso? Aveva litigato, ok, e se n’era andato sbattendo la porta, perché aveva ragione lui. E adesso? Tornare in stanza, come se niente fosse? Non tornare in stanza e cercarsi un altro alloggio? Cercarlo soltanto per stanotte, o per un periodo più lungo? Parlarne con qualcuno e chiedere consigli?

Tornare in stanza no. Non adesso, almeno. Non come se niente fosse. Avrebbe significato darla vinta a Sharma e alla sua mania di sorveglianza, alla mania di sorveglianza che tutto quel dannato pianeta sembrava avere. E non aveva ragione, non su questo punto. Proprio per niente. Ok, a mente fredda e corpo bagnato era disposto ad ammettere che su alcune cose Sharma aveva ragione. Tipo i reati di cui lo avrebbero potuto accusare, sulla Terra. Ci aveva già pensato anche lui, all’inizio, ed era moderatamente consapevole del pericolo. Su tutto il resto, però, Sharma aveva torto marcio.

Matteo ara anche disposto ad accettare la sorveglianza lakshmita, con poca gioia, e per certi versi si poteva anche adattare all’idea di essere stato denunciato da un amico, seppure questo richiedesse un profondo ripensamento della parola “amico”, almeno in lakshmita, ma “per il tuo bene”? No, quello no. Quello non lo avrebbe mai digerito. Odiava la gente che faceva le cose “per il tuo bene”. Era la frase preferita di sua madre, o almeno nella sua top ten, e la odiava ogni volta che la sentiva, perché era la sua giustificazione universale, per ogni cosa che lei facesse. Era sempre “per il tuo bene”.

Aveva anche elaborato una propria spiegazione filosofica sul perché quel tipo di ragionamento fosse sbagliato, il ragionamento preferito nonché unico di sua madre. Era una buona spiegazione, o così gli era sembrata ai tempi. Adolescenziale, forse? Adolescenziale, diciamolo pure, ma funzionava. E funzionava perché era vera, a suo parere. La ricordava ancora, a grandi linee.

Agire per il bene di qualcuno è una violenza, così cominciava. Chi agisce per il tuo bene, infatti, vuole soltanto importi la propria idea di bene e usarla per controllare la tua vita e le tue azioni. Non contento di vivere la propria vita, vuole vivere anche la tua, manovrandoti coi fili del bene, o di ciò che quella persona intende come bene. Ogni marionettista conosce il bene delle proprie marionette, secondo il copione che ha in testa, e manipola i fili per spingerle verso quel bene. Un bene che è tale per lui, qualunque sia l’opinione delle marionette in proposito.

Bella, vero? E vera, soprattutto. Lo aveva verificato anche quella sera. Sharma non aveva in mente il bene per lui, lui Matteo, ma solo le regole di Lakshmi. Chi viveva sul pianeta aveva un copione da recitare: il copione della responsabilità. Le balie dovevano assicurarsi che gli stranieri imparassero la parte e diventassero brave marionette, o attori, o quel che ti pare, il risultato è lo stesso. Quando Sharma parlava di bene, non si chiedeva neppure quale fosse il parere di Matteo, in merito, o anche solo se avesse un parere, ma vedeva soltanto ciò che lui stesso concepiva come bene e lo imponeva al compagno di stanza, in ogni modo. E così via.

I ragionamenti di Matteo procedettero a lungo su questi binari, sotto la pioggia, mentre le gambe lo portavano dove capitava, senza controllare il percorso. Un anno prima, a quell’ora, doveva essere in un qualche locale di Varshi, ormai ubriaco fradicio, o intossicato che dir si volesse, a dare spettacolo davanti a tutto il resto del gruppo. Così si era conclusa la serata al centro culturale terrestre, almeno secondo i racconti degli altri partecipanti. La memoria di Matteo era tabula rasa.

Adesso, giusto un anno dopo, stava camminando da solo, sotto la pioggia, dopo un fantastico litigio col compagno di stanza, ritenuto fino a quel momento un amico, e non aveva neppure la più vaga idea di dove avrebbe trascorso la notte. Non per strada, era ovvio: sarebbe stato anche possibile, con condizioni meteo più favorevoli, ma dormire su una panchina sotto un diluvio... no, anche la pazzia aveva limiti, per quanto potesse sembrare difficile da credere. E dunque?

Un rapido esame del proprio schedario mentale gli mostrò che, al momento, aveva a disposizione un grandissimo numero di opzioni: due. Poteva poteva sistemarsi in un qualche alloggio libero, uno di quelli che sulla Terra avrebbe considerato alberghi e ostelli, oppure poteva rifugiarsi da Chakra. Il che non lo entusiasmava, ma era la sua unica conoscenza di sesso maschile, lì a Varshi ma anche sul pianeta in generale, che teoricamente lo avrebbe potuto ospitare, per una notte. La possibilità che una conoscenza di sesso femminile fosse disposta a ospitarlo, invece, era così fantascientifica che non valeva neppure la pena di considerarla.

Con un sospiro, e con piedi discretamente bagnati, Matteo Kori si diresse così incontro al proprio destino, mosso dalla stanchezza, dal sonno e da quello che pareva essere un raffreddore incipiente. Un modo fantastico per concludere la serata.

Chakra lo osservò a lungo, con le sopracciglia alzate e una mano che saliva spesso ad accarezzare il pizzetto, nascondendo di tanto in tanto il mezzo sorriso, divertito e un poco sorpreso. La stanza era quasi identica all’alloggio in cui Matteo e Sharma avevano coabitato fino ad allora, ma dominato da una dose molto elevata e generalizzata di entropia. Un calzino, probabilmente usato, penzolava dal lampadario, come il più triste e amorfo degli impiccati, mentre una scarpa scura, una vagamente montanara, aveva dato il benvenuto al profugo terrestre, sgambettandolo all’ingresso con grave rischio per l’integrità delle sue caviglie. Cose che potevano essere mutande erano appallottolate in un angolo, immagine da cui i suoi occhi fuggirono all’istante. Un vago odore di aglio (o qualcosa di simile all’aglio) aleggiava nell’aria, per motivi su cui Matteo scelse di non indagare.

«Mi sorprende che tu sia riuscito a litigare con Sharma. Cosa gli hai fatto, stavolta?»

«Ma niente!» rispose Matteo, per poi lanciarsi in una lunga narrazione, diversamente imparziale, su come si fosse svolto lo scontro tra lui e Sharma. Se di scontro si poteva parlare. Di tanto in tanto, sventolava l’asciugamano e frustava il vuoto, a sottolineare alcuni passaggi che, a suo parere, erano degni di essere evidenziati il più possibile, perché provavano il suo punto. Non era del tutto chiaro neppure a lui quale fosse il punto da provare, ma questo era un dettaglio secondario e non sarebbe bastato a fermarlo. Qualunque fosse il punto, lui lo avrebbe provato.

«Mi sembra di capire,» disse Chakra, quando il furore oratorio dell’ospite si fu calmato, «che non ti è piaciuto il modo in cui Sharma, cioè la tua balia, si è assunto il diritto di decidere cosa fosse bene o male per te, giusto? Correggimi se sbaglio.»

«Giusto!»

«Ma questo è proprio il compito di una balia: finché uno straniero non si è adattato ai nostri usi e ai costumi, la balia deve dirigerlo lungo il cammino della responsabilità e palle varie. Può non piacerti, ovvio, e non sarò certo io a dirti che sia una buona soluzione, o anche una soluzione intelligente, ma il ruolo di una balia è quello. Ti sei arrabbiato con lui, perché ha fatto ciò che ci si aspettava da lui.»

«Sì, ma...»

Chakra agitò una mano a interromperlo. «Non mi interessa, per carità. È troppo tardi per discutere di questa roba. Meglio dormirci sopra, adesso, e poi, se proprio vorrai, ne potremo parlare meglio domattina o giù di lì. Sei venuto qui per dormire, no? Bene, come vedi abito da solo: se vuoi, ti puoi sistemare qui, per adesso, e poi penserai a cosa fare. Russi molto forte?»

«No, non russo.»

«Scoreggi molto rumorosamente, nel sonno?»

«Ma.. no, non so. Non penso. Non me lo ha mai detto nessuno. Cosa c’entra, scusa?»

«Beh, non credo proprio che qualcuno verrebbe a discutere con te delle tue scoregge. Non Sharma, almeno, anche se da Bogdan me lo potrei aspettare. A ogni modo, se non russi e non scoreggi forte, non dovresti disturbare, almeno non durante la notte. Dormi pure qui e al resto penseremo domani.»

Ci pensarono il mattino seguente. O almeno, Chakra ci pensò il mattino seguente; Matteo non seppe seguire il consiglio dell’amico e continuò a pensarci per buona parte della notte, che non fu molto tranquilla e conobbe solo una dose breve e agitata di sonno. Non ottimale, per recuperare le energie, e ancora meno per affrontare le lezioni dell’indomani, che infatti non affrontò.

«Stai diventando un lavativo di prima classe, mi congratulo,» commentò Chakra, mentre facevano colazione. «E pensare che eri tutto studioso e perfettino, un anno fa...»

Matteo scrollò le spalle. Vero, ma non poteva farci niente. Non è che Lakshmi lo avesse trattato poi molto bene, o almeno non i suoi abitanti, o almeno non tutti e non sempre. Quel pianeta non era la perfezione che aveva pensato lui, poco dopo l’arrivo, e in apparenza gli stava stretto, molto stretto. Non riusciva a trovare un posto in cui sistemarsi tranquillo, come sarebbe stato suo desiderio fare. In un qualche modo cercò poi di spiegarlo a Chakra, che annuì serio, tanto quanto gli era possibile essere serio. Non eccessivamente, dunque.

«Normale,» rispose, alla fine del contorto monologo di Matteo. «Non tutti ci si adattano. Non tutti quelli che vengono da fuori, di certo, ma neppure tutti quelli che ci nascono. Alcuni sì, sembrano nati per questo pianeta, come il tuo amico Sharma. Altri diventano adatti, dopo che la società li ha martellati un poco, per rimodellarne la forma. Altri ancora fingono di adattarsi, o almeno si tengono fuori dai problemi, finché possono. È un mondo che ha molti aspetti positivi, se ti accontenti: non morirai certo di fame, freddo o carenza di cure mediche, perché sono cose disponibili a tutti, anche se non fai un cazzo dalla mattina alla sera. Un mondo per fannulloni, o per gente a cui piace vivere nell’utero della mamma per tutta la vita. Ma non è un mondo per gente a cui piace il cambiamento, o che vuole avventura e roba simile.»

«Io non voglio avventure. La vita tranquilla mi va benissimo.»

«Eppure non ti abitui e continui ad andare a sbattere contro qualcosa. Di conseguenza, tu vuoi una vita tranquilla e irresponsabile, una in cui puoi fare tutto ciò che ti pare, senza che qualcuno ti venga mai a chiamare di fronte alle conseguenze delle tue azioni. Comprensibile, ma non è quello che puoi trovare qui. Anzi, è proprio il contrario. La vita che ti offre Lakshmi è una vita tranquilla, pacifica e cullata, ma responsabile. L’ultimo aggettivo è quello che ti frega.»

«Beh, aspetta, non è che sono così irresponsabile...»

«Dettagli. Non c’è niente di male nell’irresponsabilità. O meglio, non c’è niente di male secondo me. Questo pianeta la pensa in modo diverso, purtroppo, ed è per questo che non mi vedrà molto a lungo, ma questo non importa. Hai deciso cosa fare, allora? Tornerai a casa cospargendoti il capo di cenere, dalla tua mogliettina Sharma? Oppure chiederai il divorzio con addebito?»

Era una delle cose su cui aveva meditato confusamente durante la notte, anche se non in termini di mogli e divorzi. Non era arrivato ad alcuna conclusione. Così ne improvvisò una al momento, per rispondere e rimandare al futuro ogni decisione vera e propria, nella sua migliore tradizione.

«Penso che sarebbe meglio restare a distanza per qualche giorno, così da pensarci meglio e decidere poi con calma. Non mi è piaciuto il modo in cui si è comportato, ma...»

«Ti prendi una pausa di riflessione, ok. A ogni modo, su una cosa ha ragione: per adesso, non sei nei guai col tuo pianeta o con Lakshmi. Se però le tensioni dovessero peggiorare e i rapporti saltassero, cosa estremamente improbabile ma non si sa mai, meglio non sottovalutare la naturale demenza di chi governa, tu ti ritroveresti davvero a essere un traditore della patria, che ha aiutato un nemico a infiltrarsi nel territorio terrestre e palle varie. Non penso che ci siano motivi realistici per farsi tante paranoie, ma sai com’è Sharma: si fa paranoie anche quando non riesce a cagare al solito orario.»

«Quindi potrò restare qui per un po’?»

«Se vuoi... Fai pure come se fossi a casa mia.»

Matteo lo fece. Non aveva idea di cosa aspettarsi da quel nuovo compagno di stanza, anche se la più probabile risposta era “niente di buono”, ma al momento avvertiva davvero il bisogno di restare un poco a distanza da Sharma. Brava persona, per carità, almeno a modo suo, ma sapeva anche essere una zanzara in piena estate, quando voleva, ossia quasi sempre. Era il suo ruolo di balia, d’accordo, ma ogni tanto Matteo sentiva il bisogno di respirare, senza avere una pseudomamma sempre tra le scatole. Quella che aveva a casa era stata più che sufficiente; adesso che stava vivendo su un altro pianeta, in una società così diversa, voleva anche sperimentare un altro tipo di vita.

Un pazzoide semiirresponsabile come Chakra poteva rappresentare la scelta giusta. Forse. Con una grande dose di ottimismo. Nel peggiore dei casi, avrebbe rappresentato una cura drastica, magari non letale, ai suoi problemi caratteriali. O meglio, alla sua mancanza di carattere. Se sopravvivrò a ciò che si inventerà, almeno, pensò Matteo, sistemando le poche cose che aveva con sé, che di fatto erano limitate all’ombrello. Sì, quel sessantuno di Primavera sarebbe stata una giornata da dedicare al recupero di tutto ciò che gli sarebbe servito per vivere. E anche per studiare.

Nel mentre, con un anfratto del cervello ritornò a pensare a Kemala. Anche su un altro pianeta, a più anni luce di distanza di quanti ne sapesse ricordare al momento, continuava a causargli problemi. Sì, era stata proprio una buona idea ascoltarla, quando l’aveva vista per la prima volta a Bishapur, quasi un anno prima. Una idea fantastica, di prima scelta, una delle più grandi idee nella storia umana. E non voleva considerare neppure per un minuto l’eventualità che i rapporti tra i due pianeti potessero davvero peggiorare. Sarebbe stata la ciliegina sulla torta funebre.

«Ma non succederà,» si disse, poco convinto. «Non può succedere. Non ha senso che succeda, non per una manciata di mosche morte.» Ma era possibile, almeno in teoria. Cose ben più assurde erano già successe in passato, anche se poche avrebbero potuto rivaleggiare con una guerra interplanetaria per proteggere qualche mosca, ma non si potevano mai porre limiti alla stupidità umana. Questa era una delle poche cose che aveva imparato, studiando la storia.

E alla fine non aveva neppure ricevuto il messaggio, quello che aveva scatenato il litigio. Avrebbe dovuto chiedere a qualcuno, magari a Indira, di farglielo arrivare, perché al momento non sembrava una buona idea rivolgersi direttamente a Sharma. Ma forse neppure a Indira, a ripensarci. Quei due erano così amici... Come aspetto positivo, adesso non aveva più lezioni in comune con gli altri, per l’anno in corso, per cui i problemi sarebbero stati ristretti alla sola mensa. Ma come avrebbe fatto? Cambiando mensa? Andando lo stesso, ma cambiando tavolo? Non cambiando nulla, ma facendo finta di niente? E perché non cambiare orario, eh?

In quelle e mille altre seghe mentali, la prima giornata senza Sharma di Matteo si spese, o si sprecò, a seconda dei punti di vista. Alla sera, tornando dalle lezioni, Chakra lo trovò ancora impegnato a sistemare alcuni vestiti, forse nuovi o forse recuperati in qualche modo dal suo precedente alloggio. Unito all’espressione sulla faccia di Matteo, che oscillava tra costipazione irreversibile e un grave caso di mal di denti, componeva un quadro di una tristezza infinita.

«Condoglianze per il tuo gatto,» disse Chakra, sedendosi e lavorando alla rimozione delle scarpe.

«Quale gatto?» chiese Matteo, alzando la testa dalle sue attività di intensa casalingheria.

«Quello che è morto, no?»

«Ma non è morto nessun gatto, perché?»

«Strano, dalla tua faccia non si direbbe. Stai ancora ruminando gli orrendi soprusi che hai dovuto subire, tu piccolo terrestre, sun questo pianeta di gente orribile, priva di morale e di adenoidi?»

«...eh?»

Chakra sospirò. Deridere quel fessacchiotto poteva anche essere divertente, alle volte, ma bisognava sempre ricordarsi di farlo con moderazione. «Sto dicendo: levati il dito dal culo e piantala di fare la faccia da morto stitico. O davvero non riesci a vivere senza il tuo Sharma?»

«Non è questo il problema...»

«Meglio così. Stasera andremo a berci sopra, così sistemeremo il tuo naso che cola e domani andrai a lezione. Se vuoi restare qui, stai pure, ma scordati di passare tutto il tempo tappato qui in camera, a impestarmi l’aria coi tuoi peti. Esci e muoviti, che non sei morto!»

«Lo so che non sono morto, è solo che...»

«Non me ne frega niente. Se vuoi fare il depresso tutto il giorno, pensa anche a chi ti sta guardando e ricordati di salutare con la manina, di tanto in tanto. Renderà più allegra la scena, per quanto sia possibile rendere allegra la tua faccia da morto stitico.»

«Chi mi sta guardando? Ma...»

«Non ricordi neppure la causa del tuo litigio di ieri? Chi è che segue le tue attività su Lakshmi, per sorvegliarti e controllare che tu non ti stia mettendo nei guai, o anche solo per farsi una risata con le tue scene da fesso? Quello che spia, denuncia e ti fa tanto arrabbiare?»

«...Sharma? Dici che mi sta guardando anche adesso?»

«E perché non dovrebbe? In fondo, è ancora la tua balia, sul piano legale. Informarsi su dove tu sia scappato e cosa tu stia facendo è il minimo della sua responsabilità.»

Un discreto numero di emozioni e reazioni lottarono per la supremazia, sulla faccia di Matteo. Alla fine, sembrò assestarsi su un broncio da nobile eroe, battuto ma non vinto, o almeno su ciò che a lui pareva dovesse essere quella espressione. A Chakra sembrava piuttosto un novantenne, che aveva appena scoperto di essersi riempito le mutande, ma riuscì a mantenersi serio.

«Le nostre divergenze sono quelle che sono,» disse Matteo, col tono di chi recita una parte. «Più avanti, mi auguro che le potremo appianare, ma per adesso non cedo: rivendico la mia libertà e il diritto di scegliere autonomamente, senza che qualcuno debba spiarmi, manipolarmi o decidere per me. Sarò libero di fare di testa mia, nel bene e nel male, senza balie o sorveglianti di altro genere. Mi assumo tutta la responsabilità di questa scelta.»

Chakra non seppe trattenere un lento e placido applauso di moderata derisione. «Ben detto! Vivrai libero sotto la tua bandiera, peperepè, yuppidu, eccetera eccetera, amen. Adesso però andiamo a mangiare, e soprattutto a bere. È tempo di festeggiare, no?»

Per onorare la propria ritrovata libertà e il supremo diritto all’autodeterminazione, Matteo obbedì. E fu un’altra nottata che non avrebbe mai ricordato, esattamente come quella di un anno e un giorno prima, ma stavolta con meno spettatori. Almeno tra le persone a lui note.

Il mattino seguente, Chakra lo svegliò con una pedata e il grido «Alzati, pelandrone! Le lezioni non sono ancora finite.» Il che era vero, ma a essere finito era decisamente Matteo, almeno al momento.

Riuscì comunque a sollevarsi in un qualche modo e a strisciare fuori dall’alloggio, dopo essersi in parte rianimato con una potete doccia ghiacciata. Il giorno non gli sorrideva, ma il cielo sì: niente pioggia, niente nuvole, ma un sole lancinante, che sarebbe stato ben accolto in altre occasioni, ma non quando aveva la testa ovattata dai postumi della sbronza. O dell’intossicazione, come diceva Chakra. No, forse non era stato il modo migliore per celebrare la propria ritrovata libertà, ma poteva andare peggio. Poteva sempre andare peggio, finché si era vivi.

Durante le lezioni, qualche dubbio sul proprio essere ancora vivo lo sfiorò, ma dubitava che nausea e mal di testa fossero presenti con frequenza nei cadaveri, per cui era chiaro che la vita non lo aveva ancora abbandonato, nonostante tutto. Spostandosi da un’aula all’altra, incrociò anche una ragazza, che riconobbe a fatica come una compagna di corso di Indira. Una compagna di corso che aveva visto spesso e che, talvolta, gli aveva anche rivolto la parola, ma di cui la memoria rifiutava ancora di trattenere il nome. Mei qualcosa, ecco chi era. Qualunque fossa fosse il qualcosa.

La salutò con un cenno, ignorando lo sguardo di vaga compassione con cui lei lo ricambiò. Aveva davvero una faccia così terribile? Sì, in effetti non era proprio al massimo della presentabilità, ma non era il caso di guardarlo con compassione, no? O forse lo era, se Mei qualcosa era stata presente anche alla sua precedente sbronza, come Matteo sospettava ma non sapeva con certezza.

Non vi pensò più, per il resto della giornata. A pranzo, entrò nella solita mensa, con la circospezione di un aspirante ladro. Era solo e temeva di trovarsi di fronte Sharma: non avrebbe saputo cosa dirgli e si vergognava un poco per come si era comportato. Non credeva di avere avuto torto, questo no, questo mai, ma si vergognava lo stesso. Sembrava tutto così stupido, visto a distanza di due giorni, e sospettava che presto la discussione avrebbe perso ogni residuo barlume di realtà, per fossilizzarsi in una pura questione di principio. La cosa peggiore che potesse capitare, da molti punti di vista, ma la cosa più probabile che potesse capitare, dal suo punto di vista. E in fondo se l’era cercata Sharma, no? Lui era soltanto una vittima.

In mensa non lo trovò. Al solito tavolo c’erano alcune facce a lui note, o almeno a lui riconoscibili, ma se ne tenne a distanza. Niente Sharma, niente Indira, solo Liu Tang e un altro paio, di cui non si ricordava i nomi. Gente che poteva ignorare, senza problemi. Così fece, sedendosi altrove.

Nulla cambiò per altri giorni, fino al pomeriggio tardo, quasi sera, quando rientrò nell’alloggio di Chakra, adesso anche suo, e vi trovò una persona extra ad attenderlo, oltre al legittimo occupante. Sharma stesso, con espressione ovina e una vaga tinta infelice. Matteo lo fissò, a bocca lievemente aperta: col suo sguardo da mucca formavano una splendida coppia erbivora.

«Risparmiati le mutande, terrestre,» disse Chakra, col suo perenne sorriso. «È qui a parlamentare, non a litigare. Questioni legali da sistemare, se così hai deciso. A proposito, così hai deciso?»

«Così ho deciso cosa?» chiese Matteo, non riuscendo come suo solito a seguire il filo del discorso, quando l’amico parlava. Sharma sedeva mogio in silenzio, guardando nella sua direzione.

«Come terrestre, o più precisamente come non lakshmita, non hai ancora maturato il diritto ad avere un’abitazione autonoma, e il tricheco dell’autunno scorso non ha certo deposto a tuo favore, come ti puoi immaginare. Hai bisogno di un lakshmita che sia con te, in altri termini, fino a che tu non sarai riconosciuto come responsabile e adattato alla nostra cultura, eccetera eccetera. Prima eri sotto la responsabilità di Sharma, poi sei fuggito da me, adesso devi decidere, per sistemare le pratiche. Stai qui o torni indietro? Torni sotto la tutela di Sharma, oppure dovrò sorbirmi io questa rottura?»

«Se la metti così, sembra che mi vuoi spedire via.»

«Non ti voglio spedire via, ma solo informarti. Fai quel che vuoi, poi cazzi tuoi, no? Quindi, scegli quello che preferisci: il bravo ragazzo, oppure la cattiva compagnia? Ma vedi di scegliere in fretta, così ci leviamo questa rottura di palle.»

Matteo fissò Chakra, poi Sharma, poi continuò a rimbalzare tra i due. Non gli era del tutto chiaro cosa stesse accadendo, ma in apparenza aveva bisogno di un lakshmita che gli stesse intorno, come suo responsabile. Il che significava che lo stavano ancora trattando da bambino. La legge lakshmita lo stava ancora trattando da bambino, che non poteva essere lasciato solo. Fantastico. Affascinante.

«Rimango qui.» Rispose di impulso, prima che il cervello avesse tempo di accordarsi con la bocca e decidere in comune la risposta da dare. Fu un impulso e lo seguì, come raramente gli accadeva. Un impulso giusto? Sbagliato? Non lo sapeva e non gli importava, non adesso. Ci avrebbe riflettuto per ore, fino a farsi sanguinare le tempie, ma sarebbe avvenuto più avanti. Adesso andava così.

Chakra roteò gli occhi, «E la rottura di scatole è finita a me. Sentivo che sarebbe finita così, con la mia fortuna...» disse, sempre sorridente. «A posto così, dunque?» chiese, girandosi verso Sharma.

«La scelta è sua e io la rispetto. Spero soltanto che tutto questo non produrrà strascichi di astio o di ostilità tra noi, perché non è davvero ciò che io desidero.»

«Nessun... astio, no,» disse Matteo, sentendosi già in colpa. «È solo che vorrei avere un poco di indipendenza in più nelle mie mosse, tutto qui. Ti ringrazio per l’aiuto e tutto quanto, naturalmente, ma adesso vorrei provare un poco a cavarmela da solo, senza...»

«Senza una balia sempre in mezzo alle ballie,» concluse per lui Chakra. «E può stare certo che io non lo sarò, per carità! Come gli ho già detto, se non russa e non scoreggia troppo forte, per me non ci saranno problemi. Giusto?»

Giusto. Sharma si trattenne ancora un poco, raccomandando di farsi vedere in mensa e non sparire, di stare attento, di non prendere freddo, di non fare il bagno dopo mangiato, eccetera eccetera. Tutto sarebbe andato bene, se non avesse concluso il suo discorso di saluto con un «Mi spiace che si sia conclusa così, agivo soltanto per il tuo bene,» che riaccese in un attimo tutte le ostilità di Matteo e gli fece svaporare il senso di colpa, che lo aveva oppresso nei minuti precedenti. No, la sua scelta era stata giusta. Meglio girare al largo da chi decide per te quale sia il tuo bene, e poi te lo impone.

Così, alla fine della sua seconda primavera su Lakshmi, Matteo entrò nella seconda fase della sua vita a Varshi. La fase sotto la tutela di Chakra, una persona a cui, solo un anno prima, non avrebbe affidato neppure un calzino bucato. Fu una fase di cui avrebbe ricordato anche troppo.