Adriano - racconti e altro

Memorie

La collina è ancora là, proprio come la ricordavi. Sulla vetta, nero contro lo sfondo del cielo, c’è sempre quello strano albero, a forma di fungo. Sai che lì vicino, in mezzo a un cerchio di cipressi, c’è il monumento ai caduti e, poco lontano, la sede dei radioamatori. Ma non hanno importanza, per te. I tuoi occhi li distinguono appena, smarriti come sono tra i ricordi. Guardi quell’albero, lo vedi nero e perfetto, dominare l’erba incolta e i prati che precipitano fino alle prime case, dove comincia il paese. È quello spazio vuoto a risvegliare il tuo passato: ti chiama, ti attira verso le strade che hai percorso un tempo e che i tuoi piedi non hanno più sfiorato da troppi anni.

Mentre sali lentamente la via curva e lunga, le sue spirali posate in grembo alla collina, ti sembra di ritornare indietro, all’epoca che hai smarrito lungo il cammino. Gli alberi che ti tengono all’ombra sono forse gli stessi di allora, ma l’asfalto è più curato, più liscio, e di tanto in tanto devi fermarti a riprendere fiato. Non ti stancava così tanto, da bambino, e non era così ripida. O forse è solo la tua memoria che ti tradisce, o il tuo fisico, un po’ fuori allenamento. Ma questo è il solito prezzo da pagare, quando ci si guarda indietro. E tu lo stai facendo, da quando hai rimesso piede nel paesino dove sei nato, una manciata di case tra i colli.

È una delle ultime curve, gli alberi che costeggiano la strada si aprono e il panorama si schiude per i tuoi occhi. No, molte cose sono cambiate laggiù. Un nuovo quartiere è nato, nuove case disseminate nella campagna. Ma sotto quel velo senti ancora pulsare il passato, il luogo che tu conoscevi e che non puoi dimenticare. Il presente ha cercato di nasconderlo, ma ha fallito. Basta solo uno scorcio di paesaggio, il profilo di un edificio, e tutto torna a vivere, almeno in te.

Ma è presto per lasciarsi andare. Risali la strada, verso la vetta. Là finiva il tuo mondo, quando non avevi che dieci o dodici anni ed esplorare era la tua passione. Camminavi tra le colline, a volte con gli amici di allora, a volte con tua nonna o tua madre, quando portavate in giro il cane. Sorridi, nel ripensare a quei momenti. Adesso hai visto molte più cose, eppure non c’è stato nulla che abbia superato la meraviglia di quel giorno, quando hai raggiunto per la prima volta l’albero a fungo.

È una sciocchezza, poche righe tracciate sulle pagine della tua infanzia, ma non puoi dimenticare il pomeriggio di allora. Era estate e l’aria densa e umida ti toglieva il fiato, mentre correvi con Paolo, il tuo amico e compagno di escursioni. Avevate fatto una gara, uno di quei giochi tanto comuni tra i bambini: chi arrivava per primo all’albero. E così arrancavi in salita, tra l’erba alta e i dossi di quel prato. Perdesti, come al solito, ma per te era una cosa secondaria. Avevi raggiunto la tua meta, quel profilo a forma di fungo che vedevi sempre dal basso, dall’acciottolato del paese. Era lassù, scolpito nel cielo, e avevi sognato tante volte di arrampicarti per toccarlo.

Ci eri riuscito. Paolo ti precedeva ed era già seduto a riprendere fiato, all’ombra dei rami bizzarri. Ti fermasti accanto a lui e insieme guardaste il paesaggio dalla cima della collina. Era bello, anche se l’afa lo sbiadiva e si posava come nebbia su ogni cosa. Non ricordi quanto tempo rimaneste lassù, in quell’aria biancastra, ma il momento che hai ancora negli occhi, anche dopo tanti anni, è solo quello in cui la tua mano si posò sulla corteccia ruvida. Sorridevi.

Camminando nella memoria, sei di nuovo là. Questa volta hai percorso la strada asfaltata, evitando l’erba e il fango dei campi, e ti sembra di essere entrato dalla porta sul retro. Non ha la stessa magia di quel giorno, o forse sei tu a essere cambiato troppo per ritrovarla. Dal cerchio di cipressi, vicino al monumento ai caduti, osservi l’albero a forma di fungo, in questo mattino d’autunno. Temevi che fosse diverso, ma non è così. È lo stesso che toccasti per secondo, quella volta.

Chiudi gli occhi, ti massaggi le tempie. Ti senti stanco, forse hai faticato troppo sulla salita. Non sei più un bambino, il tuo corpo ha ammucchiato molti anni su di sé. Ma quando li riapri, è l’aria calda e umida dell’estate a colpirti. Davanti a te, seduto all’ombra dell’albero, c’è il tuo amico Paolo. Ha dieci o dodici anni e sta fissando qualcosa. E poi lo vedi anche tu. Un altro bambino arriva, rosso in volto e col fiatone. Si allunga verso il tronco, lo tocca, poi alza lo sguardo verso di te. Lo riconosci: sei tu. È la tua infanzia quella che hai davanti, è di nuovo quel pomeriggio estivo.

Rimani immobile, non riesci più a pensare. Il bambino che tu eri, forse, non si è accorto di te. Ora si siede accanto all’amico e cominciano a parlare. È una illusione, senza dubbio, eppure è così reale, così vera che crederesti di essere là, a contemplare il tuo stesso passato. E forse è davvero così. In silenzio, guardi quei due bambini e vorresti parlare, vorresti dire qualcosa. Ma non hai voce.

Ti muovi, niente più che un piede che si sposta, con un fruscio di erba, ma l’incantesimo è rotto. Il fresco di un mattino autunnale ti accarezza di nuovo e sotto l’albero, nella sua ombra, non ci sono che foglie secche. Il passato è scomparso, la visione si è dissolta.

Con un ultimo sospiro, cominci a scendere lentamente la collina, voltando le spalle a tutto. Il tuo presente è laggiù che ti aspetta.

di Adriano Marchetti