Adriano - racconti e altro

Non fare agli altri

Erano ormai passate le ventuno quando Alberto Barbari riuscì finalmente ad arrivare a casa. Aveva superato il solito flipper di mezzi pubblici e attese, attese e mezzi pubblici, e ritardi, e questo, e poi quello, ed era sopravvissuto anche quel giorno. Più o meno. Vivere coì lo tirava scemo, ma l’auto non se la poteva più permettere, mantenerla gli costava più di quello che guadagnava a lavorare, e si doveva arrangiare come poteva. Ma era dura. Era una vita di merda, a farla breve.

A casa! Si identificò al portone lasciandosi scansionare la retina, superò un test per dimostrare che era un essere umano, entrò, si identificò all’ascensore, raggiunse il sesto piano, uscì, pochi passi per arrivare all’appartamento, alzò una mano per identificarsi alla serratura e si fermò.

C’era qualcosa attaccato alla porta.

Alberto si chinò a guardare meglio. Avrebbe avuto bisogno di occhiali e lo sapeva, ma al momento i soldi erano pochi e la voglia meno ancora, per cui si doveva arrangiare. E poi vedeva a sufficienza, per adesso, quanto bastava tirare avanti. Poteva andargli peggio. Grossomodo.

Ma c’era qualcosa attaccato alla porta. Sembrava un QR Code.

Alberto Barbari si strofinò gli occhi. Stava sognando, ovvio. Una piccola allucinazione, tutto qui. Ti può capitare. È normale. Quando hai bisogno di far scansionare ogni giorno quei maledetti quadrati composti da mille e più quadratini di diverso colore, quando ogni giorno hai il panico di scoprire se ti hanno cancellato qualche nuovo diritto perché il tuo codice ha qualcosa che non va, è normale che te li sogni di notte. E alle ore ventuno è quasi notte, in novembre. Dunque stava sognando.

Solo che era sveglio. E c’era un QR Code appiccicato alla sua porta.

Alberto lo studiò meglio, quasi premendoci contro il naso. Sì, era proprio appiccicato. Una specie di adesivo, come le figurine di quando era bambino. Che ci faceva sulla sua porta? Lui non ce l’aveva messo di sicuro, quindi ce lo aveva messo qualcun altro. Ma chi? Nel condominio potevano entrare solo le persone autorizzate, i residenti e pochi altri. Quindi...

Ah, già. Questo spiegava tutto.

Alberto Barbari si raddrizzò e sospirò. Uno scherzo stupido. Uno scherzo stupido di un vicino. Uno dei suoi carissimi vicini. Feccia umana. Qualcuno che si credeva spiritoso e voleva unirsi anche lui (o anche lei, ricordiamo le pari opportunità) al fantastico gioco di “sputa su Alberto”, il passatempo preferito da tutti in ufficio. Che brutta gente. Che brutto mondo.

Col cazzo che se lo sarebbe tenuto.

Alberto provò a raschiarlo via con l’unghia e sì, si staccava. Si staccava anche abbastanza bene. Lo avevano pensato male, quello scherzo. Hah! Peggio per loro. Così tolse il codice e si guardò attorno con un mezzo sorriso. Buttarlo via gli sembrava un peccato. Perché non restituire il favore? Poteva dimostrare di stare agli scherzi, no? Condividerli. Partecipare anche lui.

Sì, l’idea gli piaceva. Alberto Barbari camminò piano e silenzioso fino alla porta dei vicini, qualche metro più in là, e si fermò ad ascoltare, ma fuori dalla portata della telecamera di sicurezza. C’erano voci. C’erano risate. E schiamazzi, d’accordo, e un televisore in sottofondo, ma potevi dire che era la classica serata in famiglia, magari non d’amore e d’accordo ma comunque assieme. Bastardi.

Marito, moglie e due figli, per quanto ne sapeva lui. Rumorosi ma non troppo. Avevano ancora auto e garage, loro. Alberto li odiò a prescindere. Beccatevi questo codice, maledetti. Attaccò il QR Code sulla loro porta, controllò che aderisse bene, annuì, tornò alla propria porta, si identificò, entrò.

Lo accolse il silenzio, rotto solo dal fastidiosissimo assistente domestico che gli dava il benvenuto. Ancora non aveva trovato un modo per disattivarlo, ma era quasi sicuro che ce ne fosse uno, a parte il più violento e definitivo. A cui avrebbe fatto ricorso molto volentieri, in realtà, ma poi gli sarebbe toccato rimborsare il condominio e non ne valeva la pena. Anche se, a volte. Ma no, meglio di no.

Aveva tutto il calore di un loculo abbandonato, quell’appartamento, e a volte ne aveva pure l’odore, anche se Alberto non aveva ancora capito il perché. Il climatizzatore filtrava l’aria, no? Dunque non avrebbe dovuto avere un fetore particolare. Eppure lo aveva. Misteri della casa. Irrilevante. Mentre si toglieva le scarpe e sentiva i soliti bombardamenti al piano di sopra, si concesse il più breve dei pensieri al codice trovato sulla porta. Chissà che razza di scherzo doveva essere. Oh beh, adesso era un problema altrui e poteva non pensarci più per il resto della sera. E anche oltre, già che c’era.

Il mattino seguente, uscendo di casa alle cinque e quaranta, controllò la porta dei vicini e vide che il quadrato infernale non c’era più. Qualcuno lo avrà tolto. Per i due giorni successivi Alberto Barbari se ne dimenticò davvero, tra problemi all’ufficio, prezzi sempre più alti al supermercato e il piccolo disservizio che per tredici ore lo privò del diritto di mangiare a causa di un innocuo bug nel sistema. Cose che capitano, inutile farne un dramma. Alberto non lo fece, ma violò più volte con passione il secondo comandamento. Di nuovo, cose che capitano.

Ripensò al QR Code quando rientrò dal lavoro e trovò la porta dei vicini sigillata, come fanno nelle serie tv quando ci sono crimini e roba simile. Alberto non pensava che succedesse anche nella realtà e subito non se ne preoccupò, immaginando un altro degli stupidi scherzi che qualcuno si divertiva a fare nel condominio. Non che gli fossero mai sembrati burloni, gli altri, ma l’apparenza inganna.

L’appartamento dei vicini era silenzioso, però, e un poco lo indusse a pensare male. Oh beh. Scrollò le spalle, entrò in casa e l’assistente domestico non gli diede il benvenuto. Gli parlò invece con un tono molto serio e professionale, diverso dal cinguettio odioso che aveva sempre, e gli spiegò che la famiglia Quacchini, quelli dell’appartamento accanto, era stata trovata morta. Tutti. Morti da più di un giorno, ma scoperti solo adesso su segnalazione di datori di lavoro preoccupati perché il capitale umano aveva smesso di contattarli. Aveva qualche informazione utile per le indagini?

Alberto Barbari si morse le labbra. «Di cosa sarebbero morti?» chiese.

«Si sospettano cause naturali, ma le indagini sono in corso.»

Alberto si rilassò un poco. Sospette cause naturali. Ottimo. Non aveva informazioni utili da dare e il resto non contava. Per un attimo, pensando a quel codice... ma era una coincidenza. Inutile pensarci.

Per una settimana tutto continuò normale, con poco nor e molto male, come al solito. L’assistente lo tenne aggiornato sulla sorte della famiglia Quacchini, come se gliene fregasse qualcosa, e Alberto lo ascoltò a cervello spento o lampeggiante, come se fosse una televendita qualunque. Finì che era una morte naturale, strana ma non impossibile, e tutto si risolse per il meglio. A buon rendere. Faceva un poco impressione passare davanti a quella porta e sentire tutto quel silenzio, rientrando la sera, ma il problema non era suo e lui non c’entrava. Sarebbe arrivata una nuova famiglia e tanti saluti.

Poi una sera rientrò verso le ventidue e trovò un QR Code attaccato alla porta.

Alberto Barbari si bloccò di nuovo. Lo stesso? Si avvicinò e si chinò fin quasi a baciarlo. Sembrava identico, almeno come quadratini, ma vallo a capire tu se era davvero lo stesso. Ti sembravano tutti identici, quegli affari maledetti. Certo, magari avrebbe potuto provare a scansionarlo e no, e grazie per nulla del pensiero. Quel coso non lo voleva proprio toccare. Superstizione, forse, ma lo metteva a disagio. Soprattutto, non lo voleva sulla porta.

Lo tolse con cura. E adesso? Poteva fare un esperimento scientifico: attaccarlo su un’altra porta per vedere cosa sarebbe successo. Niente, ovvio, e questo avrebbe dimostrato che era solo coincidenza. Sì, l’idea gli piaceva. Ma, giusto nel caso, una probabilità su un milione, hai visto mai, stavolta non avrebbe usato la prima porta che capitava. Avrebbe usato una porta che, nel caso, se lo meritava. La famiglia al piano di sopra, quel maledetto branco di elefanti inutili e ritardati.

Alberto salì con un passo da ladro che sarà arrestato nel giro di due secondi, strisciò contro il muro, si tenne il più lontano possibile dalle videocamere di sicurezza, raggiunse la porta della famiglia che gli interessava, i maledetti Curi, controllò che nessuno e niente lo stesse osservando, ottimo, tese la mano, appiccicò il codice e sgusciò via. Quasi corse nel suo appartamento, ignorò il bentornato che l’assistente gli diede, si afflosciò sul divano e si coprì la faccia.

Si sentiva come un bambino che ha fatto cadere per terra l’ostia il giorno della prima comunione, al cospetto di parenti, amici e parroco. Ma non aveva fatto niente di male, stavolta. Solo un piccolo, sì, un piccolo e innocuo test. Più uno scherzo che un test. Una prova generale. Ma scherzosa. Per gioco e per, sì, per curiosità. Metti caso che. E comunque non sarebbe successo. Inutile pensarci.

Alberto Barbari ci pensò a getto continuo. Se lo sognò pure, e nel sogno il pavimento si apriva sotto di lui e lo faceva precipitare dentro un enorme calderone pieno di acqua, e il calderone era sul fuoco e attorno al calderone e al fuoco danzavano uomini in giacca e cravatta sul ritmo di tamburi tribali, e di tanto in tanto levavano al cielo gli smartphone. E le loro facce erano un QR Code, il QR Code, quello che lui conosceva bene. Poi la sveglia lo riportò alla realtà e per una volta fu felice di doversi alzare alle cinque per andare al lavoro.

Ci andò quasi di corsa, senza passare dal piano di sopra a controllare. Perché c’era silenzio di sopra, e non erano mai silenziosi i Curi, neppure in piena notte. Vivevano per scagliare oggetti a terra.

Stavolta passò un giorno solo, poi l’assistente domestico lo accolse al ritorno dal lavoro con la voce seria e professionale. La famiglia Curi, quella del piano di sopra, era stata trovata morta come già la famiglia Quacchini. Anche nel loro caso sembravano cause naturali, ma la polizia trovava sospetto e insolito il duplice avvenimento, così vicino nel tempo e nello spazio, e le indagini erano in corso.

Tanti auguri a scoprire qualcosa, pensò Alberto. Non lo disse. Il piano di sopra era silenzioso, niente mobili spostati, niente oggetti pesanti scagliati sul pavimento, niente urla belluine, niente. Non che a lui dispiacesse, in effetti, ma un po’ si stava preoccupando. Coincidenza? Oppure quel QR Code era, non so, una sorta di richiamo? Una condanna a morte? Tipo il sangue sulla porta degli ebrei ai tempi di Mosè, ma al contrario? Attaccalo e il tristo scansionatore passerà a revocare il tuo diritto alla vita. Inquietante, ma... no, solo una coincidenza. La realtà non funziona così. Siamo seri.

Pure, un briciolo di fifa gli era rimasto addosso.

Divenne un macigno un mese dopo, quando rientrò e trovò il QR Code attaccato alla porta. La terza volta che succedeva. Sempre lo stesso. Alberto Barbari quasi urlò, ma si trattenne in tempo.

Coincidenza, già. Puro caso. Non aveva alcun significato. Non ci credeva neppure lui. Si chinò fino a sfiorarlo col naso, lo esaminò in ogni dettaglio, lo studiò da ogni angolazione. Sembrava identico agli altri due. E adesso?

E adesso c’era una sola cosa da fare, lo sapeva benissimo. Forse era un caso, forse superstizione, ma col cavolo che si sarebbe tenuto quell’affare sulla porta. Solo un pazzo lo avrebbe lasciato lì, dopo il finale del tutto privo di correlazione dei suoi vicini. Alberto Barbari non era un pazzo. E quindi.

Staccò il codice con una cautela da chirurgo che davvero ci tiene al suo lavoro e rimase per un poco a fissarlo. Dove attaccarlo, adesso? L’appartamento di fianco al suo era ancora vuoto, proprio come lo era quello al piano di sopra. Un altro vicino a caso? Per forza, ma chi? Non gli sembrava bello da fare a un perfetto sconosciuto. Non auguri la morte a qualcuno di cui non ti frega un tubo.

Pure, a qualcuno la doveva augurare. Oh beh, uno vale l’altro.

Anzi, no. Adesso che ci pensava bene, al piano di sotto abitava l’ingegner Soffritti. Aveva una bella auto e si divertiva a scorrazzarci in giro per la città, come se avesse tutta l’energia e tutti i soldi che servivano. Probabilmente li aveva pure. E non aveva famiglia, giusto. Sarebbe morto solo lui. Per il mondo non sarebbe stata una gran perdita, anzi. Era probabilmente un atto di misericordia.

Alberto decise: l’ingegnere.

Scese al piano di sotto con un passo da pantera rosa, si avvicinò alla porta, origliò: silenzio. Forse se n’era già andato a letto, e forse neppure da solo. Era quel genere di persona, Soffritti. Maledetto. Sì, il mondo ci avrebbe solo guadagnato. Alberto Barbari attaccò il codice alla porta del vicino, guardò soddisfatto il suo lavoro e tornò di sopra. Tempo di non pensarci più.

Era quasi mezzanotte quando l’ingegner Davide Soffritti rientrò dal lavoro. Era solo ed era distrutto, dopo una giornata di quelle che le puoi raccomandare soltanto al tuo peggiore nemico. Davide non aveva un peggiore nemico, anche se il suo boss ci andava abbastanza vicino da poter ricoprire quel ruolo in caso di emergenza. Non che avesse importanza, adesso. Adesso voleva solo infilarsi in casa e collassare sul letto. E dormire. E poi dormire ancora un poco, giusto per sicurezza.

Aveva già teso la mano per identificarsi, quando notò il QR Code attaccato alla porta. Che ci faceva lì quell’affare? Chi ce l’aveva messo? Uno scherzo? Possibile: il condominio era pieno di malati di mente, o così gli sembrava quando era stanco e stressato. Adesso l’ingegnere era stanco e stressato. Quel genere di scherzi non gli piaceva per niente, specie quando era stanco e stressato.

Con un sospiro staccò il codice dalla porta. Venne via facilmente, quasi da solo. Era strano. E non lo trovò piacevole da toccare. Sembrava... viscido, sì. Non lo era, non proprio, ma lo sembrava. Come un cadavere emerso da una palude. Ah, che bella immagine! Sembrava uscita, anzi emersa, da uno dei suoi libri preferiti. Una storia horror, di quelle con budella che volano ovunque. Davide sorrise.

Poi guardò di nuovo il codice e il sorriso morì.

C’era qualcosa di sgradevole in quell’adesivo. Lo avrebbe potuto buttare via, ma non gli sembrava il caso. Non sembrava sicuro. Forse si faceva solo impressionare dalle sue letture, a volte capitava e Davide lo sapeva bene, ma c’era comunque qualcosa di sgradevole nell’adesivo. Buttarlo via poteva essere la mossa sbagliata. Meglio... farlo scorrere, sì. Aveva proprio l’aria di qualcosa che devi fare scorrere, scaricare, rifilare. Più lontano è e meglio è.

L’ingegner Soffritti ci pensò un poco e sì, gli sembrava una buona idea. Lo fece. Salì lento al piano di sopra, camminando come se il pavimento fosse fatto di uova fresche, e si fermò davanti alla porta di quel tizio che aveva sempre le occhiaie. Come si chiamava? Barbari, secondo il campanello. Non che avesse importanza. Era solo l’unico tizio che viveva al sesto piano. Uno valeva l’altro, in fondo.

Davide Soffritti attaccò il QR Code alla porta del vicino. Sì, così sembrava giusto. Sembrava la cosa giusta. Non avrebbe saputo dire perché, ma lo sembrava e per il momento poteva bastare. E poi era solo una sciocchezza, una specie di scherzo.

Con una scrollata di spalle, l’ingegnere scese al piano di sotto. Meglio non pensarci più. Meglio una bella dormita. Domani tutto gli sarebbe apparso più normale. Sbadigliando, Davide rientrò a casa. Il lavoro era finito, per quel giorno. Al futuro avrebbe pensato poi.

di Adriano Marchetti