Adriano - racconti e altro

Passi

I passi si allontanano lungo la strada, spegnendosi nel silenzio. Come ogni notte, li hai ascoltati dal rifugio sicuro della tua stanza, vegliando al buio accanto alla finestra. Si sono avvicinati pian piano, erano proprio sotto di te, poi se ne sono andati, con la stessa lentezza.

Torneranno? A volte li senti di nuovo, a volte c’è solo la quiete ad accompagnarti verso il mattino. E a volte salgono le scale, li senti, nel ventre vuoto del tuo palazzo: suoni sottili e cauti, che salgono lenti i gradini. E se si fermassero? Se si fermassero proprio lì, sul tuo pianerottolo? Cosa faresti, eh? Non è mai successo, per ora. Salgono e scendono, sfiorando appena i gradini, per poi svanire nella strada, chissà dove.

Chi cammina nella notte? Te lo domandi spesso, nelle ore insonni che ti traghettano verso l’alba. È sempre la stessa persona, sempre lo stesso piede a marciare là fuori? Sì, ne sei sicuro, ne sei quasi sicuro: sarebbe impossibile sbagliarsi, confonderlo con altro. Quasi impossibile, almeno. È sempre difficile essere sicuri, al buio. Eppure...

Ma sì, è sempre la stessa persona. È normale, per te, sentire la gente che passa, nella strada sotto la tua finestra: gente di ogni tipo, che sfila in eterno in quella zona pedonale, attorno a te. Ascolti, e riconosci il timbro delle scarpe, il modo in cui pestano la pavimentazione irregolare, il ritmo con cui vivono su quella pietra grigia e polverosa. Passi affrettati, passi calmi, pazzi zoppicanti, passi stanchi, passi di gioia, passi giovani, passi vecchi. Ognuno ha la sua voce e tu la comprendi.

Ma non comprendi quella del camminatore notturno: la sua voce è sorda, per te.

Ha un’andatura tranquilla, calma: una persona che conosce la propria meta e non ha alcuna fretta di raggiungerla. Una persona che procede guardandosi attorno, o che procede con la testa altrove: lenta e costante, senza deviare dal tracciato, non un passo fuori posto. Riesci quasi a immaginarlo, quello sconosciuto, eppure qualcosa ti sfugge. Lo ascolti e tremi, da solo, perché la sua camminata ti parla in un sussurro, lieve, come una bava di vento in aperta campagna. Ti parla, ma in una lingua che tu non sai comprendere.

Percorre le strade ogni notte, quando il sonno ha svuotato la città e il silenzio si è fatto totale. Non incrocia mai altri passanti, non incrocia mai altri suoni, come se il mondo trattenesse il fiato accanto a lui. Come se il mondo si mettesse tra parentesi, per un minuto, per lasciarlo passare.

E tu rimani sveglio, seduto accanto alla finestra, per non perdere neppure una nota del suo passo. Lo accompagni con le orecchie, nel buio, da un estremo all’altro della via, dall’alba fino al tramonto della sua camminata. Poi sfuma in lontananza, nella notte. Torna il vuoto. E tu ti rilassi. Tutto bene, per adesso. Tutto è bene.

Quando è cominciata questa storia? Non sai, non ricordi. Qualcosa ti aveva strappato al sonno, un anno come mille secoli fa. Un cambiamento improvviso, o forse solo un caso. E al tuo risveglio non voluto c’era il rumore. C’erano i passi, che attraversavano lenti la strada. Quei passi che ti hanno incantato, da subito, e che da allora non hanno più abbandonato.

Li segui in strada, curioso, quasi calmo, ma la calma svanisce quando sono sulle scale dell’edificio, la curiosità muore. Perché a volte entrano, a volte salgono, scendono, come se stessero cercando qualcuno. Un incedere lento e continuo, che supera gradini e pianerottoli. Supera il tuo pianerottolo. Non si è mai fermato, da te, ma forse si è fermato più in alto, in qualche altro appartamento. Ci sono notti in cui non scende subito, ma si attarda nel palazzo, dove le tue orecchie non lo raggiungono. In quei minuti, tremi.

Al mattino non restano segni del suo passaggio, al mattino c’è solo la vita normale, nelle vie e sulle scale del condominio. Persone comuni, che camminano veloci o lente. I rumori che sei abituato ad ascoltare, da sempre. Alla luce del sole, ogni stranezza si dissolve, ogni mistero pare privo di forza: i dubbi della notte non sono che ombre sfocate, ragnatele in un angolo del soffitto.

Ci sono momenti in cui vorresti parlarne coi vicini, chiedere se anche loro li sentono, i passi terribili sui gradini e lungo la strada. Forse qualcuno lo conosce, forse qualcuno sa chi sia quel camminatore solitario. Perché, se entra proprio nel vostro edificio, significa che ha a che fare con uno di voi, uno di quelli che vi abitano. Giusto? Un amico, forse. Oppure entra in tutte le case, una dopo l’altra? Vaga nella notte a esplorare i silenzi di ogni palazzo?

Non hai mai trovato il coraggio per domandare. Una risposta potrebbe rovinare tutto.

Così rimani al buio, seduto accanto alla finestra, e lo ascolti mentre passa. Vegli con impazienza, in compagnia dei tuoi pensieri, e aspetti che i suoi passi nascano dal vuoto. Sono sottili, subito, la più piccola delle vibrazioni nella quiete assoluta della città. Poi si rafforzano, a poco a poco, mentre ti si avvicinano. Temi che si possano fermare davanti a te, trattieni il fiato per non farti sentire. Ed eccoli che si allontanano di nuovo, continuando nel loro viaggio.

Non sempre accade così. A volte si fermano davvero, proprio di fronte al portone, sulla sinistra. Per qualche istante non si muovono, come se stessero controllando i nomi sul citofono. Il soffio delicato della porta che si apre, i passi riprendono nel corridoio, l’eco rimbomba nella tromba delle scale.

Salgono, lentamente, un gradino alla volta. Quelle notti non riesci a resistere, non riesci a restare lì, seduto alla finestra. Nel buio dell’appartamento, cammini silenzioso fino all’ingresso, respirando a malapena. Ti fermi dietro la porta di legno, massiccia e fragile nell’oscurità. Aspetti e ascolti.

Vorresti urlare, quando raggiungono il tuo pianerottolo. Vorresti urlare, quando sono proprio lì, a un niente da te. Ma non lo fai, non hai il coraggio di farti scoprire. Basterebbe un istante, girare appena la maniglia e affacciarsi all’esterno. E lo vedresti. Ma cosa vedresti? Chi vedresti? Forse è meglio non saperlo. E continuare ad ascoltare, in silenzio.

È questo che fai. Il tuo cuore accelera mentre i passi si avvicinano, i suoi battiti ti rimbombano nelle orecchie. Poi rallenta, mentre lo sconosciuto continua la sua ascesa. Il suono si allontana, in alto. Puoi respirare di nuovo, ma non smetti di tremare. Perché sai che dovrà scendere.

Sei ancora lì, immobile davanti alla porta, a tremare, quando senti il rumore che ritorna. Di gradino in gradino cala verso di te, con la lentezza di un incubo, o di una brutta notizia in arrivo. Passi leggeri, passi di un uomo, ma tanto delicati e regolari da sembrare quasi finti. Non sai immaginare una persona in carne e ossa che possa camminare così, senza alcuna variazione. Eppure la senti: attraversa il tuo pianerottolo e continua a scendere, verso il portone. Svanisce.

Ogni notte trascorre così, ogni notte da chissà quanto tempo. Hai perso ormai il conto, se mai hai contato davvero. Ma continua, solo questo conta. Con la precisione di un orologio, i passi tornano sempre. Talvolta è un passaggio solo, là per la strada; talvolta passa di continuo, ma sempre fuori; talvolta entra nel tuo condominio. Ma c’è sempre, da qualche parte. C’è sempre e tu lo senti.

Anche oggi è lo stesso. Il tramonto tardo di giugno ha cancellato il sole, rimboccando sulla città un lenzuolo di tenebra. Fra poco arriveranno anche i passi, quando il brusio della folla si sarà spento, e tu sarai lì ad attenderli, come al solito. Li seguirai, con la paura che stavolta si fermino, che stavolta scelgano te. E cosa succederebbe? Non lo sai, né lo vuoi sapere. Perché forse il mistero lo hai creato solo tu, forse è solo l’amico bizzarro di un tuo vicino, o un amante furtivo. O forse, forse, è davvero un mistero, qualcosa di incantato, di affascinante e terribile. Forse.

La notte è nera oltre il vetro della finestra. Abbassi la tapparella, cercando di non fare rumore. Poi ti siedi, nel posto di sempre. Arrivano dopo il rintocco della campana, due colpi secchi, a riecheggiare terribili tra le case che dormono. I passi appaiono, lontano, oltre l’orizzonte. Si avvicinano a poco a poco, col loro ritmo immutabile. Puoi quasi sentire la polvere, che scricchiola sottile nella strada. O è la tua fantasia? Trattieni il respiro, mentre ti raggiungono, raggiungono la tua casa.

Si attardano per qualche secondo davanti all’edificio, poi entrano. Passi lenti sulle scale, un gradino alla volta, senza fretta. Stai tremando. Hai già abbandonato la finestra, per accoccolarti accanto alla porta d’ingresso, nel buio. Li senti vicini. Mistero reale o trita banalità, li senti, separati da te da una sottile barriera di legno.

Il tuo cuore perde un colpo, quando esitano sul tuo pianerottolo. Non era mai successo prima. Cosa può significare? Preferisci non chiedertelo, non ora. Ma ripartono, la marcia continua. Pian piano si dirigono verso l’alto, prosegue la solita ronda. Ma torneranno, lo sai bene. Scenderanno, di nuovo passeranno davanti alla tua porta, lontani solo un respiro, o una maniglia da girare.

E si fermeranno, questa volta? Toccherà a te?

Nella tenebra dell’appartamento, ascolti. E aspetti.

di Adriano Marchetti