Adriano - racconti e altro

Sacrifici

Era un sogno parecchio strano, questo non si poteva negare. Roberto Calcagno non era mai stato un gran sognatore, né da sveglio né da addormentato, ma neppure lui poteva negare che quello fosse un sogno molto strano. Ma sul serio, dico. Non che ci avesse pensato mentre lo stava facendo, ovvio: ci sono persone capaci di mantenere la coscienza anche mentre sognano, è vero, ma è altrettanto vero che il nostro Roberto non era una di queste. Faceva già fatica a mantenere una coscienza da sveglio, figurarsi quando dormiva. Pure, aveva fatto un sogno parecchio strano e non riusciva a non ruminarlo durante la colazione. La prima colazione del nuovo anno. E gli toccava pure lavorare.

«Ma non vuol dire niente, è solo un peto mentale,» borbottò davanti alla tazza di tè. Questo era vero ed era bene così, perché se pensava a come era finito il sogno, beh... No, meglio non pensarci. Per cui Roberto Calcagno continuò a pensarci tutto il giorno, con un angolo di cervello, mentre il resto si impegnava nelle attività quotidiane di un lavoratore qualunque, basse responsabilità e bassa paga, scarsa vita sociale e scarso interesse per il resto del mondo. Non un granché di vita, forse, ma era la sua vita, l’unica che fosse riuscito a mettere assieme, e se la faceva bastare. Nel bene o nel male.

Il sogno, ora. Doveva essere una specie di rigurgito dei suoi interessi adolescenziali, ormai sepolti e soffocati dai detriti di qualche decennio. Solo che proprio soffocati non lo dovevano essere, perché i loro fantasmi irrequieti dovevano aver causato quel sogno. Era l’unica spiegazione possibile, se ci pensate bene. Siccome Roberto ci stava pensando bene, non poteva che pensarla così. Un rigurgito.

Era cominciato con lui che camminava le strade deserte di una città ignota. Una città vecchia, più o meno medievale, oppure medievaleggiante. Aveva la tipica atmosfera da Medioevo, insomma, ma si poteva anche trattare di un posto costruito molto tempo dopo per farlo sembrare medievale, in stile Grazzano Visconti, per intenderci. Era quel genere di città, insomma, ma era grande. Il Roberto del sogno continuava a camminare e trovava solo strade vuote, un poco in rovina. Non un suono, non la più piccola ombra di altri esseri viventi. Era inquietante, a modo suo.

Poi si era aperta la porta di un palazzo signorile, o almeno di un palazzo in cui di sicuro non abitava un porcaro, a meno che quel porcaro non avesse una montagna di soldi da qualche parte, magari sul conto nascosto in un paradiso fiscale e intestato a un prestanome. Improbabile, data l’ambientazione medievale, ma non si può mai dire. Così Roberto non aveva detto, ma aveva guardato.

Dalla porta non era uscito un porcaro, ma un tizio piuttosto anziano, con barbetta curata, una corona di insalata in testa, tipo laureato di fresco, e una strana vestaglia bianca a coprirlo dal collo fino alle caviglie. Ai piedi aveva sandali di cuoio, o qualcosa di simile. Era un tizio strano, senza dubbio. Se poi notavi il falcetto appeso alla cintura, allora poteva diventare anche preoccupante. Roberto aveva notato il falcetto, quindi era un poco preoccupato. Non troppo, però, a dimostrazione che era solo un sogno. Non che lui ne fosse stato consapevole, in quel momento.

Il vecchio si era avvicinato e aveva cominciato a parlare di qualcosa, con una faccia tutta seria e una espressione da costipazione terminale. Roberto non ricordava più i dettagli, ma sapeva che era stata una spiegazione convincente e aveva avuto senso, a modo suo. Forse non in termini generali, ma era stata sensata nel contesto di un sogno tanto strano. O qualcosa del genere, ci siamo capiti.

Il paese aveva qualche problema e Roberto lo poteva vedere coi suoi occhi. Era vuoto. Era deserto. C’era una soluzione al problema. Ottimo. Per risolvere il problema era richiesto un sacrificio. Molto meno ottimo. Non dovrai sacrificarti tu. Già meglio. Tu dovrai eseguire il sacrificio. Uhm, ossia? La vittima è già stata selezionata: tu la dovrai sacrificare. Eh? Servirà a ridare vita al paese. Sì, ok, ma la vittima? Non ha importanza, è solo una persona da sacrificare: se lo farai, ci saranno vantaggi per te. Ah, che genere di vantaggi? Anche la tua vita rifiorirà, proprio come questo paese. Uhm, potresti essere più specifico, grazie? Il paese deve essere rigenerato. Ha bisogno di nuova energia, un nuovo inizio, un rinnovamento. Come ci fu un sacrificio all’inizio, serve un sacrificio per rinnovare il tutto e procedere a un nuovo inizio.

E così via, altre cose che Roberto capiva e non capiva. O meglio, nel sogno gli era sembrato chiaro e sensato, per quanto poteva ricordare. Era da sveglio, ripensandoci, che non riusciva più a mettere a fuoco ogni cosa. Non che avesse importanza, ovvio. Era un peto mentale. È normale che in sogno le cose abbiano senso, anche se nella realtà non ne hanno. Roberto Calcagno non se ne preoccupava davvero. Non troppo. Non quando era serio. Pure, quello che era successo dopo...

Era stato brutto, sì. Era stato solo un sogno, d’accordo, ma lo aveva disturbato parecchio.

Perché alla fine aveva raggiunto un qualche tipo di accordo col vecchio in vestaglia. I dettagli non li ricordava più, ma aveva accettato di sacrificare qualcuno per avviare la rinascita o quello che era. Ci sarebbe stata una rigenerazione anche nella sua vita, in un qualche modo, e tutto sarebbe andato per il meglio. Chiaro sogno che soddisfaceva desideri interiori o qualcosa del genere, secondo Freud. O almeno secondo quello che Roberto ricordava del libro di Freud che aveva letto anni fa.

Il vecchio aveva annuito tutto serio e costipato, poi era svanito nel nulla, una grande ascia bipenne era apparsa in mano a Roberto e si era ritrovato in un altro posto, una specie di stanza circolare tutta chiusa e illuminata solo da torce appese alle pareti. Nulla di strano fin qui. Ere una sogno: nei sogni le cose cambiano di colpo, appaiono e scompaiono come per magia e tu non ci fai caso. Solo che in mezzo alla stanza circolare c’era un’altra persona e a quella Roberto aveva fatto molto caso.

Era in ginocchio, piegata in avanti. Aveva le mani legate dietro la schiena e la testa girata di lato, la guancia destra posata su una specie di ceppo di legno, lo sguardo di una piccola creatura pelosa che è stata sorpresa al centro della strada dai fari di un camion in arrivo. Piangeva e gemeva. Era anche in vestaglia, il che migliorava un poco le cose. Aveva anche una faccia piuttosto antipatica, e questo migliorava ancora di più le cose. Perché Roberto Calcagno sapeva che quella era la vittima e che lui l’avrebbe dovuta sacrificare. Sapeva anche come l’avrebbe dovuta sacrificare. Non che ci sarebbe voluto un Einstein per capirlo, a quel punto.

Non è bello dover ammazzare qualcuno che non ti ha fatto niente di male, neanche quando è solo un sogno. Roberto non era crudele. Se però è vestito da storia fantasy venuta male, e ha la faccia che ti ricorda un poco quell’impiegato stronzo delle poste, e fa rumori schifosi mentre piagnucola... Beh, non diventa proprio divertente, non esageriamo, ma puoi non pensarci troppo, giusto? È un colpo e via, dopotutto. È solo un sogno e la vittima è un tizio di mezza età abbondante, è vestito da scemo, e probabilmente non lo avresti mai trovato simpatico. Non una gran perdita, giusto?

Giusto o sbagliato, il Roberto onirico non aveva esitato. Il tizio lo pregava e lo supplicava, facendo versi sempre più schifidi. Pregasse pure: doveva finire il sogno, il resto non contava. Così Roberto si era avvicinato al ceppo, aveva preso le misure a occhio, aveva alzato l’ascia (senza fatica, pensa! E dire che nella realtà non sarebbe riuscito neppure a tenere in mano un aggeggio così pesante), uno sguardo al collo, un passo indietro per mirare meglio e poi giù. Zack!

La testa era rotolata via, spruzzando una quantità di sangue da film splatter. Il che aveva senso. Una scena simile poteva essergli stata ispirata soltanto da un fim splatter e da giovane ne aveva guardati parecchi. Adesso guardava invece la testa che rotolava sempre più piano, fino a fermarsi contro una parete di pietra. Poi si era svegliato. Forse. O forse era scivolato in un sonno senza sogni. Ricordava giusto un ultimo dettaglio, una specie di voce che diceva «Ci vediamo l’anno prossimo» o qualcosa del genere, ma forse stava già passando ad altro. Vallo a sapere. Irrilevante.

Adesso era sera e ci pensava ancora, in poltrona. Rigurgito dei suoi interessi giovanili, ovvio. Aveva anche individuato cosa fosse stato a dargli quella idea: era la storia del cavaliere che doveva tagliare la testa a qualcuno. Ne ricordava almeno due versioni, lette in un tempo in cui era abbastanza preso dalle storie del ciclo arturiano. In una era Gawain che faceva una specie di scommessa col cavaliere verde. In un’altra era Lancillotto che doveva tagliare la testa a un cavaliere, per salvare una città.

Roberto Calcagno sorrise. Aveva senso, sì. La sua memoria aveva ripescato quei frammenti nascosti nel ripostiglio dell’inconscio o quello che era, li aveva mescolati con quello che le capitava, magari un po’ di desideri inespressi, d’accordo, e alla fine era uscito quel sogno. Buffo. E chissà chi voleva decapitare nella realtà? Non certo il padre, che era morto da vent’anni e con cui aveva avuto, ok, un rapporto idilliaco no, ma niente di particolare, alti e bassi come in ogni cosa. Forse un vicino? Forse un collega? Un superiore? Irrilevante. Era solo un sogno e non valeva la pena di pensarci oltre.

Roberto Calcagno non ci pensò più, anche perché ebbe altre cose a cui pensare. La sua vita aveva preso una piega davvero strana. Non spiacevole, solo... strana, sì. Imprevista. Un piccolo aumento, che attendeva da anni e non aveva mai ricevuto. Soddisfazioni insolite sul lavoro. Rapporti migliori coi colleghi. I vicini rompevano meno le scatole. Ogni tanto gli capitava di essere invitato a uscire e non doveva passare tutte le sere in casa a fissare una parete. Più strano di tutto, ebbe addirittura due rapporti sessuali. Gratis! Sembrava davvero una nuova primavera, anche se l’anagrafe lo dava già in viaggio verso l’autunno, come minimo.

La sua vita si era rigenerata, come aveva detto il sogno? Assurdo, ma possibile. Non perché il sogno lo avesse causato, ovvio, ma quella strana avventura onirica poteva essere stato un segnale, forse un modo per avvisarlo che le cose stavano cambiando. L’inconscio manda segnali di questo tipo, vero? Roberto non ne era sicuro, ma credeva di avere letto qualcosa del genere, anche se era possibile che avesse capito male lui. Irrilevante. Le cose si erano messe meglio e tanto bastava.

Durò fino al trentuno di dicembre, un anno esatto. Il primo di gennaio si era svegliato dal sogno, col muso lungo perché avrebbe dovuto lavorare anche in un festivo, maledizione, e magari la voglia di mozzare una testa gli era venuta proprio per questo. Stavolta non avrebbe dovuto. Era il turno di un altro e lui sarebbe potuto rimanere a letto tutto il giorno, se avesse voluto. Non lo voleva, era troppo noioso, ma lo avrebbe anche potuto fare. Era libero di scegliere, lui. Hah!

«Chissà cosa sognerò stanotte,» si disse, infilandosi a letto con un mezzo sorriso.

Il sorriso svanì quando sognò di trovarsi in una specie di stanza circolare, chiusa, illuminata solo da torce appese alle pareti. Aveva le mani legate dietro la schiena. Non le vedeva, ma le poteva sentire, proprio come sentiva le gambe muoversi da sole. Era quel genere di sogno, in cui non hai il minimo controllo sulle tue azioni. Così il corpo del Roberto Calcagno onirico camminò lentamente verso il centro della stanza, dove lo attendeva un ceppo. Il sognatore si inginocchiò, si protese in avanti, girò di lato la testa e posò la guancia destra su una superficie ruvida, intaccata da troppe asce.

E adesso? Ah, ma Roberto lo sapeva. Cominciò a piangere quando una figura apparve dal nulla e si materializzò davanti al ceppo. Era un uomo di mezza età, con una grande ascia bipenne in mano e la faccia di chi non sa bene come abbia fatto a finire lì. Lo avrebbe scoperto subito. Roberto Calcagno lo fissava disperato. Non stava accadendo davvero, giusto? Era solo un sogno, giusto? Era...

Giuseppe Purulenti era sorpreso. Era un sogno parecchio strano quello che stava facendo. Non che i suoi sensi lo percepissero come un sogno, non adesso. Era tutto reale, in quel momento, almeno per i pochi sensi che funzionassero. Vista, udito, un poco anche il tatto. Non te ne servono altri mentre stai sognando, giusto? Giuseppe pensava di sì. Non gliene erano mai serviti altri. No aspetta: anche il gusto, una volta, ma stava sognando di mangiare. Quindi era irrilevante, in quel caso. Meglio così.

Pure, il sogno che stava facendo era parecchio più strano della media. Era realistico, soprattutto, di un realismo che poteva preoccupare un poco. E quel vecchio con la barba, la vestaglia, i sandali da turista tedesco, che gli aveva parlato a lungo, lo aveva disturbato più ancora di tutto il resto. A parte ciò che aveva davanti adesso, ovvio. Quella nuova figura. E l’ascia che gli era apparsa in mano. Ma la figura, prima. La persona.

Era in ginocchio, piegata in avanti. Aveva le mani legate dietro la schiena e la testa girata di lato, la guancia destra posata su una specie di ceppo di legno, lo sguardo di una piccola creatura pelosa che è stata sorpresa al centro della strada dai fari di un camion in arrivo. Piangeva e gemeva. Indossava una vestaglia e aveva una faccia piuttosto antipatica. Il che migliorava già le cose. Perché Giuseppe Purulenti sapeva che quella era la vittima e che lui l’avrebbe dovuta sacrificare. Sapeva anche come l’avrebbe dovuta sacrificare. Non che per capirlo ci sarebbe voluto un Einstein, ovvio. Sospirò. Ma lo aveva promesso al vecchio in vestaglia, giusto? Dunque lo doveva fare. Era un tipo di parola, lui.

«Meglio a te che a me,» si disse Giuseppe, avanzando verso lo sconosciuto da sacrificare.

Lo trovarono quasi una settimana dopo. Roberto Calcagno non si era più presentato al lavoro e non aveva più risposto al telefono. Che gli fosse capitato qualcosa? Alla fine il suo superiore si dovette rivolgere ai carabinieri, perché non aveva il recapito di amici, parenti o vicini di quel disgraziato del Calcagno. E dire che negli ultimi mesi si era comportato meglio del solito... Ma con certa gente non si può mai dire, purtroppo. Cavalli pazzi.

Lo trovarono nella sua camera da letto. In parte. Fu solo dopo aver guardato anche sotto il letto che i carabinieri trovarono il resto e lo poterono identificare. Proprio uguale alla foto sui documenti, sì, espressione a parte. La testa sembrava essere rotolata lì sotto, anche se non era bchiaro come fosse successo. O meglio, il meccanismo era chiaro: quando c’è un corpo decapitato disteso un letto e la testa che è rotolata sotto, non è molto difficile determinare le cause della morte. Il problema semmai era determinare come avessero fatto a decapitarlo in modo così pulito, senza allagare la stanza di sangue. Pure, sembravano esserci riusciti. Oh beh, la vita è piena di stranezze, dopotutto: meglio se non la prendi troppo sul serio. Roba da perderci la testa, dopotutto.

«Uno suicidio?» scherzò uno dei due carabinieri. Il collega lo guardò male. Ma era buffo, a modo suo. Buffo in uno stile non buffo per niente. Era anche piuttosto assurdo. Oh beh, non sarebbe stato compito loro indagare. Loro dovevano trovare il signor Calcagno e lo avevano trovato, entrambe le parti. Il resto lo lasciavano ai colleghi. Li chiamarono, ben felici di scaricare il lavoro ad altri, tanto più se gli altri in questione avevano uno stipendio superiore al loro. Era giusto che quei soldi se li guadagnassero, dopotutto.

Giuseppe Purulenti si sentiva bene, meglio di quanto si fosse sentito da anni. Che ci fosse qualcosa di vero in quella storia di rigenerazione che aveva sognato? Sicuramente no, ma era altrettanto certo che le cose gli stessero andando meglio, quell’anno. Oh beh, non se ne lamentava di sicuro. Quando ti capita qualcosa di buono, ne approfitti e basta. Lo sanno tutti.

Chissà cosa gli avrebbe riservato il futuro, adesso?

di Adriano Marchetti