Adriano - racconti e altro

I tre giganti

Un re viaggiava per il mondo. Un giorno incontra un contadino, povero assai, e che aveva moglie e un figlio. Il re n’ha compassione e, dopo essersi trattenuto un poco con lui e informatosi del suo stato, gli dà una borsa di danaro, un cavallo e una lettera e gli parla così: Tu hai un figlio, mettilo in un collegio, e quando sarà grandicello e ben educato, avvialo a me con la lettera, che lo riconoscerò. Io sono il re del paese, e ti chiamerai contento.

Il contadino, tutto allegro, portò a casa la borsa, il cavallo e la lettera, e, senz’aspettare, mise il figlio in un collegio per esservi educato. Quando fu grandicello, lo chiamò innanzi a sè, e gli disse: Senti, figlio mio; prendi questo danaro, questo cavallo e questa lettera e va diritto dal re del paese, che ti riconoscerà e ti farà del gran bene. Però, prima di partire, ascolta un consiglio di tuo padre. Tu sei ancor giovane e non conosci il mondo. Guardati dunque dagli zoppi, dai gobbi e da quelli dai capelli rossi. Più non dico, va pure, che il ciel ti benedica.

Partì il ragazzo. Cammina, cammina, e la sera giunge a un’osteria. L’oste era zoppo, ma sapeva così bene nascondere il suo difetto, che il giovane, entrando, non se n’accorse.  Cenò e poi andò a letto. Alla mattina di buon’ora si veste, monta a cavallo, novera il danaro e, trova che gliene manca. Chiama l’oste e gli dà del ladro. L’oste grida: che è innocente e che non ha mai rubato a persona; e intanto zoppicando dà il buon viaggio al giovane. Questi allora parte e dice tra sè: Maledetto zoppo, me l’hai fatta, un’altra volta starò ben più attento.

Viene la sera, e smonta a un’altra osteria. L’oste era gobbo, ma la gobba non si vedeva, perchè il briccone portava un certo ferraiuolo, che gliela nascondeva. Il giovane, senza sospettare, entra, mangia e poi va a letto. La mattina va alla stalla per il cavallo e non lo vede. Chiama l’oste e domanda conto del suo cavallo. L’oste – che era lui il ladro – se ne fa nuovo. Il giovane grida e tempesta e l’altro a gridare e tempestare che non sa proprio nulla del cavallo e che, se gli dà ancora del ladro, andrà dal giudice per far punire il calunniatore. Bisognò che il giovane se ne partisse senza il cavallo e, partendo, s’accorse della gobba del ladro, e tra sè disse: Sono stato ingannato per la seconda volta. Dio mi salvi la terza, chè altrimenti son bello e spacciato.

In sulla sera arriva a un’osteria. E l’oste aveva i capelli rossi ed era un briccone matricolato; ma chi l’avrebbe potuto riconoscere? Un gran cappellaccio gli nascondeva i capelli e quasi per metà la faccia, e poi aveva un’aria così compunta, che si sarebbe creduto un santo. Entrò il giovane, e domandò da cena, e quando ebbe cenato, andò a letto. L’oste, che per nulla non era di pelo rosso, aveva così ben fatto presso il giovane, ch’era venuto a sapere dove si recava ed anche della lettera. Aspettò che l’amico fosse a letto, poi pian piano entra nella sua stanza e gli ruba la lettera, e va per i fatti suoi. Il giovane, appena svegliatosi, cerca la lettera e non se la trova. Chiama l’oste e gliene comanda conto. Ma che ne sa l’oste, poveretto? egli non è ladro di lettere, e nessuno al mondo ha mai detto male di lui. Al giovane monta la stizza e fa per saltar addosso al ladro, ma l’oste era troppo forte per ismarrirsi, dà di mano a un grosso bastone e minaccia l’assalitore che guai a lui se lo tocca. Per cui all’infelice, oltre all’essere stato così derubato del suo, convenne anche ringraziare il cielo di riportarne le spalle sane.

Intanto l’oste, senza perder tempo, piglia un cavallo e con la sua brava lettera trotta alla città, dov’era il re, e si fa conoscere. Il re lo accoglie con festa e lo ricolma di doni e lo fa del suo seguito.

Il figlio del contadino, senza cavallo, senza lettera e quasi senza danaro, che s’era visto derubare da uno zoppo, da un gobbo e da uno dai capelli rossi, camminava alla ventura e non sapeva nè anche dove. Ritornare a casa, non lo pensava neppure, perchè temeva i rimproveri del padre. Cammina e cammina, arriva un giorno a una città. Era questa la città del re, dov’era stato accolto tanto festosamente l’oste ladro della lettera. Il giovane si presenta al re e lo prega che gli dia un qualche ufficio in modo che non muoia di fame.

- Ma chi sei tu? e che sai tu fare? - domanda il re.

- Io sono figlio di poveri contadini, e volentieri farei il pastore.

- Ebbene, e io t’affiderò una greggia e tu la condurrai nei vicini prati a pascolare. Ed eccoti anche un zufolo per farti ubbidire dalle pecore. Però t’avverto di guardarti dal prato incantato. Qui ci son tre giganti, guai a chi loro s’avvicina. Nessuno è tornato indietro, che li abbia solo visti.

Il giovane, avuta la greggia e il zufolo, s’avviò ai prati. Per istrada s’abbatte in una vecchietta, la quale lo ferma e gli domanda: Dove vai, buon ragazzo?

- Vo a pascolare queste pecore, come vedete, buona vecchia, - rispose il pastore.

- Va bene questo, - ripigliò la vecchietta, - ma non sai tu nulla del prato incantato e dei tre giganti?

- Sì, che lo so; me l’han detto.

- Te l’han detto? e tu ci vai con tanta semplicità? Ascolta. Io sono una strega potentissima. Appena t’ho visto, ho preso a volerti bene. Prendi questa bacchetta magica. Se t’avvicini al prato incantato, vedrai che subito si leva un temporale dei più indiavolati; tuoni, lampi, saette, cose tutte da metter lo spavento addosso al più coraggioso, ti faranno tremare il cuore. Ma tu non aver paura. Chiama a raccolta la tua greggia. Allora si presenterà un gigante per combatter teco. Tu toccalo con questa bacchetta, e subito cadrà a terra morto. Ucciso il gigante, cammina innanzi, troverai una buca, entra pur ardito in essa e vedrai cose meravigliose. Va pure adesso a pascolare le tue pecore, che sei sotto la mia protezione.

Il pastore ringrazia la vecchietta, e s’avvia con le sue pecore al pascolo. S’avvicina al prato incantato, ed ecco si leva un furioso temporale, tuona, lampeggia e scroscia giù la pioggia a torrenti. Il giovane non s’avvilisce per questo, col zufolo chiama a raccolta le pecore, e aspetta a piè fermo il gigante. Questo comparisce di smisurata grandezza, tutto armato, e si scaglia contro il pastore credendo farne un boccone; ma, appena tocco dalla bacchetta magica, cade a terra morto. Il temporale cessa, e il giovane cammina innanzi. Vede una buca, v’entra coraggiosamente e si trova in un magnifico palazzo. Era quello del gigante ucciso. Dappertutto erano arredi, utensili, e perfino cavalli di bronzo, non c’era cosa che non fosse di bronzo. E il tutto apparteneva di buona ragione al vincitore. Lasciò poi il palazzo e se ne tornò alla sua greggia, che intanto pascolava tranquillamente. Alla sera raccoglie le pecore e s’avvia alla città. Il re, come lo vede, chè lo faceva bello e spacciato, gli domanda: Hai veduto i giganti? - Risponde il giovane: Io non ho veduto nulla.

- Tu dunque andrai anche domani a pascolar le pecore in quei prati?

- Io ci andrò e volentieri.

Il giorno dopo, di buon’ora, con la greggia e col zufolo va al pascolo, incontra di nuovo la strega e questa gli dice: Tu sei stato coraggioso, figlio mio, e m’hai ubbidito. Però l’avere ucciso un gigante è poco, perchè ne restano altri due, i quali saranno tanto più feroci adesso che tu hai tolto loro un compagno. Ma non aver paura. La bacchetta magica ti salverà. - E mercè di questa anche il secondo gigante rimase morto. Ucciso questo, entrò il giovane ardito in una seconda buca, e qui si trovò in un palazzo, dove tutto era d’argento: arnesi, utensili, finimenti e persino i cavalli. E anche tutto questo era del vincitore. Uscì e alla sera ricondusse le pecore alla città, e al re non disse ancor nulla dell’accaduto.

Venne il terzo giorno, ed il terzo gigante fu pur ucciso. Dopo di che entrato per una buca, si trovò in un palazzo, dove tutto era d’oro e tutto era suo. E neppur adesso fece motto al re di ciò che gli era accaduto; tenne il secreto in suo cuore aspettando che gli dovesse giovare in seguito, chè così appunto gli aveva comandato di fare la benefica strega.

Eran passati più mesi da questi fatti, e il giovane continuava a condur la sua greggia a pascolare, che ormai non aveva più a temere de’ giganti. Il re aveva una figlia bellissima e voleva darla in isposa al più valoroso cavaliere del suo stato. Bandì dunque che il tal giorno si terrebbe una giostra, e chi in questa riuscisse il più valente s’avrebbe la figlia del re ed il regno anche per giunta. Viene il giorno della giostra. Da tutte le parti accorrono valorosi cavalieri e si combatte per più ore. Quando il re era lì lì per dare il segno che si ponesse termine al combattere, ed ecco che si presenta nella piazza un cavaliere tutto armato di bronzo e sopra un cavallo pur di bronzo. Sfida a battaglia i più valenti e li vince facilmente; e poi, quando tutti s’alzano per salutare il vincitore, si dilegua improvvisamente. Nel secondo giorno comparisce da capo il guerriero, ma questa volta armato tutto d’argento e sopra un cavallo pur d’argento. Vince gli avversari, e poi, senza che alcuno se n’accorga, parte. Tutti eran curiosi di sapere chi mai fosse il valente cavaliere, ed il re non sapeva darsi pace di dover poi dare la propria figlia a uno sconosciuto. Perciò ordina ad alcuni soldati che all’indomani, se si presenta lo strano guerriero, lo tengano ben d’occhio e poi, quand’è in sul partire, lo circondino e glielo conducano innanzi a viva forza. E così fu fatto. Il terzo giorno della giostra si presenta il cavaliere, e questa volta armato tutto d’oro e sopra un cavallo pur d’oro; non s’era vista cosa nè più ricca nè più splendida. Tutti gli avversari son vinti facilmente, ma quando il vincitore è per prendere il largo, circondato da molta gente, è tratto innanzi al re. Questi gli domanda: Chi sei tu? e perchè non ti se’ ancora scoperto?

Alzò il cavaliere la visiera e si fece conoscere per il povero pastorello, che conduceva al pascolo la greggia del re. - Come vedete, - disse poi, - io sono il povero pastore da voi beneficato, mio buon re. Ho trovato una vecchietta, che m’ha insegnato vincere i tre giganti del prato incantato. Io gli ho uccisi ed ho preso possesso dei tre loro palazzi, che son d’una ricchezza sterminata. Ho saputo del bando e son venuto anch’io a provar la mia fortuna; ma poi, dopo la vittoria, me ne fuggiva per la vergogna. Non mi pareva che il figlio di un contadino fosse degno della figlia di un re. E, perchè sappiate tutto il vero, io son proprio figlio di quel contadino, cui voi, alcuni anni sono, lasciaste una borsa di danaro, un cavallo e una lettera. - E poi, seguendo, narrò minutamente tutto quanto gli era accaduto dal giorno della partenza da casa sua fino a quello in cui si presentò la prima volta alla corte. Il re conobbe allora la frode dell’oste dai capelli rossi, e, senza perdere un istante, lo fece pigliare e impiccare a esempio dei malvagi e bugiardi. E diede la figlia sua in isposa al fortunato giovane e si fecero le nozze regalmente, tanto che ne restò per più anni la memoria e ancora se ne parla.

Commento

Ancora una fiaba molto diffusa: il re che si ferma per un qualche imprevisto presso la casa di una povera famiglia, fa una qualche promessa relativa al figlio (a volte ne diventa il padrino), lascia un pegno che gli dovrà essere riconsegnato in futuro, poi però il figlio diventato grande si fa truffare e un impostore lo sostituisce. Qui troviamo anche altri motivi classici delle fiabe, come i tre castelli di bronzo, argento e oro (spesso sotterranei, come stavolta; segnaliamo di passaggio che in Russia il rame sostituisce il bronzo come materiale del primo castello fiabesco), conquistati uno dopo l’altro dall’eroe di turno, nonché il torneo in tre giorni, a cui l’eroe partecipa in incognito con tre armature diverse, per poi essere smascherato alla fine (volente o nolente) e costretto ad accettare il trionfo.

A differenza di altre fiabe, in cui non si spiega perché l’eroe continui a scappare e non voglia proprio assumersi la responsabilità e l’onore delle vittorie ottenute, stavolta si cerca almeno di dare una motivazione: la strega gli aveva detto di non parlare dei castelli conquistati, mentre nel caso del torneo era la vergogna per la sua umile origine a farlo fuggire. Alla fine almeno si decide a parlare e racconta tutto, dall’inizio alla fine, ottenendo così il suo “tutti vissero felici e contenti”.

Un tocco curioso è il prato dei giganti. Quando l’eroe vi entra per la prima volta, l’effetto è simile a quello che si verifica in romanzi cavallereschi come ad esempio Ivano o il Cavaliere del Leone di Chrétien de Troyes, giusto per citarne uno, dove versando su una pietra l’acqua attinta a una fonte si scatena un violentissimo temporale e si attira un potente avversario, pronto ad abbattere chiunque si sia permesso di violare quel prato. Anche in questo caso, sconfiggendolo si ottiene la signoria su un ricco castello, in un modo o nell’altro. La versione cavalleresca è una sua forma abbreviata, con solo un castello e un nemico? Possibile, dato che le fiabe sembrano adorare la triplicazione di ogni cosa, ma è solo una ipotesi.