Adriano - racconti e altro

La Cenerentola

Una volta c’erano tre sorelle, la minore delle quali era odiata a morte dalle due maggiori, forse per la sua bellezza. La chiamavano, per farle dispetto, la Cenerentola; ed era costretta ad accudire ai più bassi servigi della casa. Un giorno andarono in piazza e comprarono alcuni bei pesci, e tra questi anche una piccola tinca per la Cenerentola. Venute a casa, dissero alla sorella: Metti a cuocere il pesce, chè ceneremo, e poi noi due andremo alla corte a una festa di ballo, e tu rimarrai a casa. La Cenerentola si mette il suo grembiule, ma in quella che attendeva a lavare i piatti, la piccola tinca sguscia fuori del canestro e giù pel buco dell’acquaio. La ragazza rimase a bocca aperta e mormorò: Poveretta me; la bella cena ch’io faro! - Cuoce il pesce e lo porta in tavola alle sorelle. Queste mangiano e poi, vestite sfarzosamente, vanno al ballo.

La povera Cenerentola, rimasta sola a casa, comincia a piangere, quando sente all’acquaio un certo romore. Accorre e vede la tinca che esce dal buco, fa per ghermirla, ma in un tratto non la vede più, e in suo luogo l’è innanzi una bella signora, la quale le dice: Non affliggerti, figlia mia. So che le tue sorelle ti portano invidia, perchè sei più bella di loro, ma verrà tempo che si morderanno le dita per la rabbia. Dimmi, vuoi tu andare alla festa da ballo?

- Io sì.

- Ebbene, e tu ci andrai.

La donna picchia sull’acquaio con la bacchetta magica, ed ecco comparisce un magnifico vestito color fiamma tutto ricamato ad oro ed argento. La Cenerentola se lo mette indosso, scende le scale, e venuta in istrada, trova una carrozza che la aspetta; monta e si avvia alla festa. Giunta, era tale la sua bellezza che tutti rimasero meravigliati, ed il re se ne innamorò perdutamente. Quando fu in sul partire, il re la tenne d’occhio e la seguì per un buon pezzo. La ragazza, confusa per questo, si raccomanda alla sua protettrice, e questa, senza però farsi vedere, le sussurra all’orecchio: Getta via questa boccetta d’oro, e il re non ti seguirà più. - Ella fa così appunto. Il re, fermatosi a raccogliere la boccetta d’oro, quando alza gli occhi, non vede più la carrozza, e si pente della sua curiosità. La Cenerentola, appena a casa, si toglie di dosso l’abito a fiamma, e si veste al suo modo usato. Le sorelle, quando vennero a casa, per far rabbia alla minore, le dicono: Quanto ci siamo divertite stasera! Avessi visto che bella signora è venuta alla festa! Il re ne deve certo esser innamorato. - La ragazza disse: Sono stata io quella.

- Che brontoli, sciocca che sei?

- Oh! niente, parlavo qui col gattino.

Il giorno dopo le due sorelle andarono ancora alla festa da ballo. La Cenerentola, rimasta sola, era addolorata, e pensava al proprio stato infelice, quando sente picchiare all’acquaio. Si volge ed è la donna sua benefattrice, la quale le domanda: Vorresti andar alla festa?

- Io sì.

- Ebbene, eccoti un vestito color del sole. A mezzanotte fa di venir a casa, e, se alcuno ti segue, getta fuori della carrozza questa borsa di danaro. - La ragazza si veste, monta in carrozza e va alla festa. Se la sera innanzi avevan fatto le meraviglie, adesso al vederla ancor più bella, tutti rimasero a bocca aperta. E il re specialmente non si poteva saziar di guardarla, e moriva dalla voglia di sapere chi la fosse. Un po’ prima della mezzanotte, la Cenerentola lascia la festa e torna a casa sua. Il re dice ai servi che le tengan dietro e vedano dove sta. I servi fanno così appunto, ma la ragazza getta le monete; e, mentre quelli si fermano a raccoglierle, la perdono di vista. Quando tornano a casa, le due sorelle dicono alla Cenerentola: Oh! che bella festa; quanto ci siam divertite. E quella signora è venuta anche questa sera ed era ancor più bella. Il re è innamorato pazzo. - E la ragazza dice: Sono stata io quella.

- Che brontoli, sciocca?

- Niente, niente, parlo col gattino.

Il terzo giorno le due sorelle andarono alla festa, e ci andò anche la Cenerentola. La donna, sua protettrice, questa volta le aveva regalato un abito color della luna e due pianelle tempestate di gemme, che non s’eran mai vedute le uguali, e partendo le aveva detto: Se ancora alcuno ti segue, getta dalla carrozza una pianella, e poi vientene subito a casa. - Andata la ragazza alla festa, parve ancor più bella delle altre volte, ed il re avrebbe dato il suo regno pur di sapere chi la fosse. Verso la mezzanotte la Cenerentola lascia la festa e, montata in carrozza, torna a casa. Il re dice ai servi: Presto, seguitela; guai a voi se non mi mettete sulla via di conoscere chi l’è. - La Cenerentola getta la pianella e, intanto che i servi si fermano a raccoglierla, si toglie alla loro vista. I servi, scornati, tornano con la pianella. Al re allora viene questo pensiero: Io andrò a tutte le case dove ci sono belle ragazze e troverò di chi è questa pianella. Si mette in via e picchia a tutte le case, ma invano. Da ultimo, quasi disperato di riuscire, va alla casa delle tre sorelle. Picchia, e gli vengono ad aprire le due invidiose. La pianella non s’adatta al piede di nessuna delle due. Dice il re: Ma non avete una sorella?

- Noi sì che l’abbiamo, ma è così brutta e malvestita! Certo che non le può andar bene questa pianella, degna d’una regina.

- Chiamatela, che a tutt’i modi io vo’ vederla.

La chiamano, e la Cenerentola comparisce vestita appunto come all’ultimo ballo e con una sola pianella. Il re, appena la vede, la riconosce, le va incontro e l’abbraccia dicendo: Tu sarai mia sposa.

Le due sorelle, al veder questo, si morsero le dita, come aveva detto la benefica maga, e per poco non scoppiarono di rabbia.

Commento

Anche qui il motivo del ballo in tre giorni, contraltare pacifico e femminile del torne in tre giorni tipico delle storie cavalleresche. Per il resto, come il titolo stesso ci segnala, è l’ennesima variante sul tema della sorella disprezzata, che raggiunge il successo alla faccia delle altre: una storia resa celebre da Cenerentola, per l’appunto, ma diffusa dalle isole britanniche al Giappone in più forme di quante se ne possano contare in un pomeriggio particolarmente lungo e noioso.

Qui compare anche la scarpa perduta, che a volte è sostituita da oggetti più nobili, e la sua perdita è motivata dal racconto stesso: è la fata di turno a dirle di buttare la calzatura, per distrarre i suoi inseguitori. Notevole la somiglianza con la fiaba numero 38 di questa raccolta, inclusa la ragazza che brontola la propria vera identità e il finale con lei che si presenta indossando il vestito dell’ultima festa. La fata è curiosamente una tinca magica che esce dal lavandino: piuttosto insolito, ma non assurdo, almeno per il metro di giudizio di una fiaba: una fata che esce dall’acqua in risposta alle lacrime della ragazza di turno l’avevamo già vista anche nella fiaba numero 40, dopotutto. Per il resto, poco da dire.