Adriano - racconti e altro

Zorobubu'

Una donna aveva una figlia. Un giorno le disse: Io esco e tu prepara de’ maccheroni per la tale ora. - La figlia si mette a far i maccheroni, e, quando viene a casa la madre, senza dir nulla, se ne mangia sette buone scodelle. La madre, al vedere tanta ingordigia della giovane, con le mani ai fianchi va sull’uscio e grida con quanta voce aveva: Mia figlia sette, mia figlia sette. Passa di là un mercante, sente la donna e domanda: Che volete voi dire con questo sette, ch’io non v’intendo?

- Ah! il mio buon uomo; io ho una figlia così valente, che fila ben sette libbre di lino al giorno.

- Dite voi davvero? Dovreste darla a me in moglie, chè la mi sarebbe proprio a proposito una così valente donna. - La madre fu contenta e si fecero le nozze. Dopo alcuni giorni il mercante dice alla moglie: Eccoti del lino, in ragione di sette libre al giorno ce n’è per un anno. Lavora e così vedrò se la tua madre m’ha detto il vero. - La sposa piglia il lino e, andata nella sua stanza, si mette al lavoro, ma tra sè brontolava: Meschina a me, come farò a filare tanto lino, che non mi basterebbero dieci anni, nonchè uno? - Ed era sempre malinconica, e il lavoro non andava troppo innanzi. La stanza dava sulla via. Un dì passa di là un uomo e, vedendo la donna triste e con gli occhi gonfi, dice: Che avete, buona giovane, che mi sembrate così triste?

- Oh! se sapeste, - risponde la donna; e gli racconta tutta la storia del lino.

- Non vi date pensiero di questo, - ripiglia l’uomo, - se voi volete, ve lo filo io il lino, a questo patto però, che, quando ve lo riporto, voi sappiate dirmi chi io sono. Se non lo saprete, il lavoro sarà come non fatto.

La donna fu contenta, e gli diede quasi tutto il lino, tenendo per sè solo quella parte che sapeva di poter filare. Dopo alcuni giorni, mentr’ella era intenta a filare ed era ancor malinconica, se le presenta un servo e le dice: Ma che avete mai che vi rattrista tanto? Io non v’ho ancor veduta un giorno solo ridente. Se mi lasciate, esco un po’ e poi torno.

- Va pure, e torna presto.

Il servo esce, e intanto s’era fatta notte. Passa per una viuzza, e rasentando il muro d’una casaccia abbandonata, sente uscire da una stanza di quella un romore di voci. Curioso, s’arrampica su per un’inferriata e guarda entro da dove uscivano le voci, e che vede? vede la cosa più curiosa di questo mondo. Un cento diavoli circa chiacchierando mattamente filavano e filavano, e attorno ad essi uno, tutto rosso come una fiamma, andava saltando di qua e di là e canticchiando: Zorobubù, Zorobubù, o tu sai il mio nome o il lavoro io lo metto giù. - Per paura d’esser veduto, lasciò l’inferriata e corse difilato a casa, e disse alla padrona: Ah! se sapeste cos’ho veduto io! - e le racconta la scena de’ diavoli, e: Zorobubù, Zorobubù, o tu sai il mio nome, o il lavoro io lo metto giù. Immaginatevi se rise la donna all’udire la strana novella, pure dentro di sè pensava: Adesso intendo; Zorobubù è il diavolo, ed è quell’uomo che m’aveva promesso di filar il lino.

Dopo alquanto tempo viene l’uomo del lino e, presentandolo alla donna, dice: Eccovi il lino bell’e filato; o voi sapete il mio nome o il lavoro è come non fatto. - La donna pronta risponde: Voi vi chiamate Zorobubù, non è vero?

- Sì, è vero, - e il diavolo se n’andò.

La donna fece vedere il lino filato al marito, che ne fu contentissimo, e gli pareva d’aver proprio la perla delle mogli. Ma quella che non poteva esser allegra, era la giovane, perchè pensava: Se adesso salta in mente a mio marito di farmi filare ancora, non so se Zorobubù verrà ancora in mio aiuto. Per buona fortuna proprio in capo ad un anno venne la madre a trovarla. La figlia le racconta tutta la storia del lino e di Zorobubù e dei suoi affanni per il futuro. - Riguardo agli affanni, - disse la madre, - lascia il pensiero a me. Io acconcerò le cose in maniera che il marito non ti farà più filare, no. - Raccolse quanti più gusci di noce potè e se ne fece una specie d’imbottitura per tutta la persona. Venne a casa l’uomo, e s’andò a tavola. Ad ogni tratto la madre si moveva e non poteva fare che i gusci delle noci non scricchiolassero. Per una volta e due e tre il genero non badò, ma poi, seguitando lo scricchiolìo, domanda alla suocera: Che vuol dire che voi scricchiolate così che mi parete un fiasco rotto?

- Eh! caro il mio genero, - risponde la donna, - io ho tanto lavorato da giovane, ho tanto filato, che adesso mi trovo tutte le ossa infrante, e non posso movermi senza fare quel romore che tu senti. Hai ragione, io sono proprio come un fiasco rotto.

- Dite voi davvero?

- Magari no, figlio mio.

- Quand’è così, non voglio che mia moglie fili tanto. La sarebbe bella che me la dovessi sentir vicina tutto il giorno e la notte a far questo bel verso. Oh! non voglio che fili più, se no saprò ben adoperare il bastone io.

E non ci fu bisogno che il buon mercante adoperasse il bastone, chè anche troppo bene la giovane intese la furberia della madre; e da quel giorno in poi non si parlò più di filare, tant’era la paura dello scricchiolìo dei gusci di noce.

Commento

Classica fiaba di fraintendimenti, con la variante che qui la figlia non è pigra, ma mangiona. In ogni caso le toccherà filare una quantità smodata di lino (smodata almeno per le sue capacità) e avrà bisogno di un essere soprannaturale per superare la prova. Come spesso succede in questi casi, la condizione per riuscirci è indovinare il nome dell’essere soprannaturale; sempre come spesso succede in questi casi, il nome sarà scoperto ascoltando per caso lo stesso personaggio che lo canta ad alta voce per un motivo che è piuttosto difficile considerare ragionevole. Sono fiabe, del resto.

Ci potremmo dilungare sul potere dei nomi, volendo, e sull’antica credenza molto diffusa per cui, se conosco il vero nome di qualcuno, lo posso controllare e sottomettere, ma è un tipo di storia così comune che non aggiungeremmo alcunché di nuovo su questo tema. Passiamo pure oltre.

Anche il finale è in linea con la tradizione. Per evitare che la protagonista debba continuare a filare, spesso interviene l’aiutante magico di turno a mostrare al marito della ragazza le terribili conseguenze della filatura o della tessitura, a seconda dei casi. Qui invece tocca alla madre, che almeno ha la possibilità di rimediare al danno causato da lei stessa all’inizio, ma il risultato non cambia. Abbiamo anche un accenno all’uso pedagogico del bastone all’interno del matrimonio, approvato ai tempi, ma di questo avremo modo di parlare in un’altra fiaba, dove la farà da padrone.