Adriano - racconti e altro

La galassia di Madre - 101

Leonardi era di nuovo nelle gallerie sotto la superficie di Madre, chilometri e chilometri laggiù, ma stavolta vi era sceso di persona. Accanto a lui camminava il comandante Hass, che però adesso era il ministro Hass, e indossava una bizzarra camicia a fiori, larga e sbottonata fin sotto lo sterno; nella mano destra stringeva un cono gelato e ogni tanto lo mordicchiava con l’aria di chi proprio non ne avrebbe voglia. Poco lontano vedeva anche il capitano Staplewood e il tenente Petkovic, armati di racchette da tennis, e discutevano di un compito in classe di matematica. Procedevano al piccolo trotto in una galleria illuminata da faretti colorati di verde. Poteva sentire voci più avanti, ma il più avanti non arrivava mai.

Poi arrivò ed era una sala da pranzo, addobbata come per la festa di compleanno di un bambino. La tavola era larga e coperta da una tovaglia decorata con personaggi di cartoni animati che Leonardi si ricordava appena, a fatica, per averli visti un secolo prima o giù di lì. C’era una torta, grande, una di quelle da cui ti aspetteresti l’uscita di una persona, almeno in un film, ed era ricoperta da candeline, anche sui lati. Attorno c’erano tutti, tutti quelli che lavoravano all’Ufficio, o almeno tutti quelli che, al momento, secondo lui dovevano lavorare all’Ufficio: ne riconosceva nove, dieci al massimo, ma sapeva che anche gli altri erano suoi dipendenti. Lo avevano scritto sulla camicia.

C’era un tappeto sul pavimento ed era a forma di Vihersalo. Un enorme Vihersalo bidimensionale e sorridente. Leonardi vi si pulì i piedi, poi procedette verso la torta. Era la sua torta, lo sapeva, e non l’avrebbe lasciata a nessuno, soprattutto non a Hass, che gli faceva i dispetti. E poi Hass aveva già il suo gelato, no? Cosa se ne faceva della torta? L’avrebbe mangiata tutta lui, da solo.

«Tanto a me non mi piace,» diceva Hass. «È fatta con la crema di peperoni.»

Ma a Leonardi non importava che crema fosse: era la sua torta, l’Ufficio gliel’aveva preparata come regalo e lui non l’avrebbe divisa con nessuno. Gnegnegné. Poi la torta si aprì e ne uscì il direttore Gemelos vestito da struzzo, che ballava suonando un ukulele. Da qualche parte, dove Leonardi non la poteva vedere, Ellen Montgomery Elsey cominciò a battere le mani e cantare una qualche vecchia filastrocca per bambini, di quelle che si usavano per saltare la corda secoli e secoli prima. Fu a quel punto che Leonardi si svegliò, non con un urlo ma con un discreto sollievo.

La stanza era buia, ma non completamente. Un poco di luce filtrava sempre dalle finestre, anche se le tapparelle erano abbassate. Luce delle strade, luce artificiale, luce civile. Luce buona, almeno per lui e almeno in quel preciso momento. In quel preciso momento qualsiasi cosa reale e tangibile gli sarebbe sembrata buona, perché parlava di logica e la logica era il contrario dei sogni. La logica era l’anti-sogno per eccellenza. E i sogni lo infastidivano parecchio in quel periodo. Non tanto quanto la realtà, ma un fastidio è sempre un fastidio, senza bisogno di fare i pignoli, e i fastidi che arrivano a tradimento e ti colpiscono quando invece dovresti riposare, beh, quelli sono sempre i peggiori.

Sognava troppo, negli ultimi tempi. Troppo e male. Non ci voleva uno psicologo maniaco del sesso per capire cosa potesse significare un sogno del genere. L’Ufficio che gli faceva la festa, hah! E nel cuore di Madre. Che festeggiassero pure nei sogni, quei falliti: soltanto lì potevano permetterselo. Il mondo reale era tutta un’altra storia e il mondo reale apparteneva a lui, Leonardi. Per adesso.

Si alzò. Non ci sarebbe stato altro sonno quella notte e in fondo era meglio così. Dormire era solo una perdita di tempo e di tempo da perdere lui non ne aveva. Non ne aveva mai avuto. Chi ha tempo da perdere non può certo raggiungere la sua posizione e mantenerla per oltre mezzo secolo, sopra e attraverso generazioni di avversari. Adesso stava vivendo una fase delicata della sua carriera, questo lo doveva e poteva ammettere, col corpo allo sfascio, i mondi coloniali che lo circondavano come lo stormo di avvoltoi che erano, il consiglio di amministrazione che si era messo in testa di possedere un qualche potere e di volerlo esercitare contro di lui, eccetera eccetera. Ma le fasi erano fasi e ogni fase passa. Con qualche spintarella, poi, passa ancora più in fretta. Giù di spalla, dunque.

Nella quiete relativa di una notte che sbiadisce a poco a poco in alba e poi mattina, Leonardi sedeva a consultare le ultime comunicazioni ricevute, da Madre e non solo. Il processo contro i ladri della fondazione Chen-Cohimbra era partito, dopo mesi e mesi di fughe e contorsioni varie da parte degli allegri amici svarghiani. Vermi! Promettevano di tirarla per le lunghe il più possibile, con testimoni e ancora testimoni, intere legioni che avrebbero oscurato il cielo, sciami di locuste giuridiche e palle varie. Facessero pure. Leonardi non li temeva. Sarebbe stata una battaglia lunga e orribilmente disonesta, nessun colpo al di sopra della cintura e pochissimi attacchi frontali in piena luce, ma non aveva importanza: importava il risultato e alla fine avrebbero vinto loro. In un modo o nell’altro. Su questo non potevano esserci dubbi e infatti lui non ne aveva.

Sempre su Svarga sembrava esserci anche un gruppetto di rifiuti umani che si opponeva al rientro e voleva restare a lavorare presso la fondazione. Che restassero pure, Leonardi non aveva obiezioni: il problema, se problema c’era, era che Svarga avrebbe tentato di inventare chissà quale storia sul loro conto, per farli diventare martiri della scienza o scemenze simili. Facessero pure. Con qualche lieve ritocco ai curricula di quei quattro gatti, l’Ufficio avrebbe mostrato facilmente quanto valesse certa gente e quanto fosse disperata e patetica la mossa di Svarga, che si avvinghiava a ogni immondizia galleggiante per cercare di rovinare l’immagine altrui. Non ne avrebbero ricavato alcunché.

Più interessante era la situazione di Madre, come gli era stata descritta dall’ultimo rapporto inviato dal generale Petkovic, nonché in altri rapporti meno ufficiali ricevuti da altre fonti. La richiesta del professor Muzafar Chang, che voleva svolgere una qualche conferenza su Madre per presentare la sua grande scoperta astronomica, per valori molto bassi di “sua”, era stata rispedita al mittente con un robusto accompagnamento di pernacchie. Inevitabile. Leonardi faticava a capire perché avessero tentato quella mossa, quando c’era una causa in corso proprio tra quel Chang e l’Ufficio. Non aveva importanza, dopotutto. Più importante semmai era quanto riferiva Petkovic nel suo rapporto: dopo il rifiuto ufficiale di consentire la conferenza di quel Chang, Madre aveva contattato il generale stesso, attraverso uno dei suoi “inviati speciali”. Perché? Petkovic non lo sapeva.

Neppure Leonardi lo sapeva e questo gli piaceva molto meno. Che gli altri non sapessero era giusto, lo stato naturale delle cose. Che lui non sapesse, invece, era innaturale. Perverso. Malato. Ovvio, tra il rifiuto di far entrare quello svarghiano su Madre e il “contatto” che Petkovic aveva ricevuto non vi poteva essere un rapporto diretto di causa ed effetto. Non aveva senso. Vero, molte cose avevano poco senso quando si parlava di Madre, almeno secondo il metro di giudizio umano, ma questa era troppo insensata perché Leonardi la potesse accettare. Quindi non la accettava. Avrebbe comunque raccomandato al generale Petkovic di fare quanto gli avevano richiesto quegli inviati speciali, per il momento. Ossia procedere a un incontro diretto. Ossia scendere nei pozzi.

E poi? E poi informarlo sugli esiti dell’incontro e attendere nuove istruzioni, no? Per quanto sapesse Leonardi, era la prima volta che Madre richiedeva un colloquio diretto, a meno che qualcosa fosse successo con Hass durante il suo ultimo e finale viaggio sul pianeta, quello da cui era tornato senza moglie ma con una figlia. Che cosa poteva volere? Sarebbe stato interessante scoprirlo, ovvio. Anzi, sarebbe stato importante scoprirlo. Forse vitale. E forse, a seconda di come si fossero messe le cose, in un futuro non troppo lontano (perché il futuro lontano è qualcosa a cui non puoi certo permetterti di pensare, quando sei in vista di quota centodieci anni) poteva esserci un suo viaggio su Madre. Un viaggio in carne e ossa, stavolta, anche se di carne e ossa autentiche ne rimanevano sempre meno in lui. Se aveva cominciato a richiedere colloqui personali, esisteva una sola persona che fosse adatta a discutere ed eventualmente trattare, e quella persona era lui. Modestamente.

Sempre su Madre, ma su un altro versante, c’era la questione di Thoreau, il vecchio imbecille. Non gli era stata riferita dal generale Petkovic, ma da altre fonti meno ufficiali, che Leonardi manteneva e utilizzava senza problemi o scrupoli. Per fare funzionare bene qualcosa, bisognava sempre essere pronti a sporcarsi un poco le mani, e lui lo era: in fondo, sapone e detergenti li dovevano pure avere inventati per qualcosa, giusto? Ma si parlava di Thoreau.

Aveva inviato un messaggio a un’amica su Svarga, quel povero fesso. Fin qui niente di male, anche se il fatto che vivesse proprio su Svarga e che l’avesse contattata proprio in quel momento erano un particolare fastidioso in ogni caso. Ma non era ogni caso. Era un caso molto particolare. Messaggio lungo e noioso, spesso ripetitivo, quasi sempre petulante e lagnoso, proprio come il Thoreau che lui ricordava (non lo ricordava poi così bene, in realtà, ma era convinto di sì e la convinzione spesso ha più potere dei fatti concreti, specie per cervelli organizzati in un certo modo: il cervello di Leonardi era organizzato in un certo modo), ma dietro alla fuffa c’era anche la sostanza e la sostanza era che lui, Thoreau, stava cercando di mettere assieme una specie di fronte anti-Leonardi su Madre. Cioè, non proprio anti. Non del tutto. Non opposizione diretta e senza pietà. Era una specie di fronte che voleva invitare Leonardi a riflettere, magari anche a rivedere alcune delle sue posizioni più rigide e ostinate, per aprirsi al futuro, palle varie.

Non solo. Alla luce della recente decisione di accogliere il gruppo di ricercatori agniani e permettere loro di unirsi agli studi sulla pietra, Thoreau ne deduceva che anche all’interno dell’Ufficio ci fosse aria di cambiamento, e che il direttore Gemelos in persona ne potesse essere magari non il paladino, ma almeno uno dei principali promotori. Saresti interessata a unirti a noi? Ecco la lista completa di chi condivide la mia idea ed è pronto a formare questa opposizione a Leonardi e alla sua politica.

Destinataria del messaggio era Kaya Farrell, un’altra scoria della famigerata seconda spedizione, al momento finita su Svarga a godersi una placida e inutile pensione. Leonardi non ricordava molto di lei, nella sua permanenza su Madre come personalità in scatola non aveva interagito col gruppetto degli exologi, se non lo stretto indispensabile per tenerseli fuori dai piedi. Non erano importanti. Se li era portati solo come scusa, come cortina fumogena, come quel terzo prodotto che non ti serve ma prendi lo stesso perché è in omaggio assieme agli altri due. Ricordava una tizia grossa, voce potente che usava pure troppo spesso per i suoi gusti. Per quanto ne sapeva lui, aveva litigato con qualcuno, anni dopo, e aveva lasciato la Terra per andare a insegnare su Svarga. Non una gran perdita.

Non sembrava però stupida come Thoreau, anche se questo non diceva molto su di lei. Secondo le fonti di Leonardi, la sua risposta al messaggio sarebbe sulle linee del “grazie per l’informazione, ma non sono interessata”. Si era anche preoccupata di criptarla, a differenza di Thoreau. Non molto, va bene, ma in fondo non aveva detto nulla di importante, per cui le due cose si compensavano. Poteva dimenticarla di nuovo, Leonardi: non era importante. Non come la lista che Thoreau gli aveva così gentilmente e stupidamente fornito. Ne avrebbe fatto buon uso, poco ma sicuro. E sì, era davvero il momento di rinnovare alcuni vertici dell’amministrazione madriana. Rimuovere certi dinosauri, che avevano ormai perso di vista il bene superiore della colonia, e sostituirli con gente fresca, giovane, fidata. Gente scelta da lui, personalmente. Leonardi sorrise.

Su una cosa si poteva contare sempre ed era la stupidità umana, costante universale che da millenni accompagnava l’evoluzione dello scimpanzé dal pelo corto che ama considerarsi sapiens. Thoreau ne era solo un esempio, e neppure il principale, ma che bello un mondo dove tutti sono come lui! Il mondo in cui viveva Leonardi non lo era ancora, purtroppo, ma a volte sembrava bene avviato per diventarlo. Se soltanto fosse stato possibile dargli una spintarella in quella direzione...

Madre. Il flusso lutulento di coscienza che costituiva il suo pensiero ritornò al rapporto ricevuto dal generale Petkovic. Madre voleva un incontro di persona, per discutere di qualcosa. Di cosa si poteva discutere con un pianeta? E cosa poteva volere discutere un pianeta con un essere umano? Leonardi non ne aveva idea, anche se i sospetti non mancavano. O le ipotesi, volendo. Ma stavano rispettando l’accordo che aveva concluso la seconda spedizione, l’incontro in una specie di caverna o di stanza sotterranea (ma non era terra, decisamente no) in cui le due parti avevano contrattato per interposta persona: Madre usando un pupazzo di carne a immagine e somiglianza della scomparsa comandante Salo, e Leonardi usando la personalità simulata che un suo dipendente si portava in valigia.

C’erano state parole, c’erano state domande, c’erano state offerte e controfferte. Alla fine c’era stato un accordo e la Terra lo aveva rispettato. Il Teatro di Oklahoma era servito proprio a quello e lui ne era orgoglioso, sia per il nome che per il resto. Nascosto in piena luce, come si suole dire (o come si suole dire che si suole dire). Ma funzionava e Madre non poteva certo lamentarsene, anche se si era lamentata un poco ai tempi della quarantena verso Lakshmi. Non troppo, nulla che avesse richiesto un incontro di persona. Ma adesso lo richiedeva. E dunque? Cosa poteva essere?

Leonardi sospirò. Petkovic glielo avrebbe detto, ma le notizie riportate non erano così soddisfacenti. Non lo erano proprio, anzi. Se non ci sei di persona, se non vedi e senti tu stesso, allora non importa ciò che ti riferiranno gli altri: non vi potrai credere, non potrai prendere su serio neppure una parola. O così la pensava Leonardi. Ma di persona non ci poteva andare su Madre, non certo adesso, e nelle sue condizioni fisiche forse neppure dopo. A meno che.

L’alba si era già trasformata in una mattina bigia e umida, quando decise infine che era necessario aggiungere un piccolo allegato al messaggio per Petkovic. O un grande allegato, se si voleva fare i pignoli. Un allegato che era Leonardi stesso, da un certo punto di vista. Avrebbe inviato su Madre la copia più recente della sua personalità e il generale se la sarebbe portata durante la sua discesa nel pozzo. Qualunque cosa ci fosse da discutere, affidarla a un soldato di limitata intelligenza era certo una mossa stupida. Petkivic gli avrebbe fatto da portantino, come quel suo dipendente venticinque o più anni prima, e proprio come venticinque o più anni prima (forse ormai quasi trenta, in effetti, ma la cronologia era irrilevante) Leonardi sarebbe sceso negli abissi di Madre, a trattare con un pianeta. Sceso virtualmente, è vero, ma alla sua età si doveva anche sapere accontentare.

E poi? E poi dipendeva dalle richieste. Madre era grande e potente e purtroppo sapeva di loro molto più di quanto loro sapessero di lei. Posizione difficile per trattare, ma Leonardi si era fatto le ossa trattando da posizioni difficili, quando i mondi coloniali erano forti e la Terra era un mendicante alla periferia della galassia, e non era andata poi così male, giusto? No, proprio male per niente. C’erano i Trattato a provarlo, c’era la crescita che aveva portato il pianeta a rinascere, c’era addirittura una nuova colonia su cui adesso tutti volevano mettere le mani. E Leonardi lo aveva ottenuto partendo dalle fogne. Dove sarebbe potuto arrivare adesso con Madre?

Tempo di scoprirlo. E siccome a partire sarebbe stata una copia della sua personalità, lui si poteva dedicare ad altri fronti: fronti interni, fronti che si trovavano nel palazzo stesso del suo Ufficio per la Colonizzazione. Perché in fondo erano parte dell’Ufficio. Il consiglio di amministrazione era uno, ma secondario. Il direttore Gemelos era ancora meno che secondario: era un moscerino. Di quelli si sarebbe occupato con comodo, non erano prioritari. La priorità era un’altra e Leonardi la convocò in ufficio come suo primo atto dopo essere arrivato al lavoro.

Ruth Blakely non era proprio terrorizzata, ma avrebbe preferito essere da qualsiasi altra parte. Una chiamata dal Grande Capo in persona era sempre preoccupante, ma lo sembrava ancora di più dopo tutte le voci che erano circolate in Ufficio su problemi, scontri di potere e quant’altro. La storia del consiglio di amministrazione che si preparava a estromettere Leonardi con un colpo di mano, tanto per cominciare, o quella secondo cui al direttore Gemelos sarebbe accaduto un “incidente”, prima o poi. E le voci sulla malattia di Leonardi, eh? Un anno di vita al massimo, dicevano, ma era meglio se fingevi di non averle mai sentite. Quel vecchiaccio è un mutante, legge nel pensiero.

Che Leonardi fosse un mutante era una voce quasi sicuramente falsa, almeno in una prospettiva di stretta fantascienza. Non lo potevi certo definire una persona normale, d’accordo, ma qualunque sua eventuale anormalità non era di origine genetica. Forse. E comunque nessun superpotere, ecco. Che sapesse leggere nel pensiero, invece, qualche fondamento lo poteva avere. In piedi di fronte a quegli occhi ricostruiti, che la fissavano come se lei fosse uno strano tipo di insetto rinchiuso nell’ambra, Ruth Blakely non si sentiva più la responsabile del progetto per lo studio dei due giganti gassosi di Madre, cosa che in effetti era. Si sentiva un batterio sul vetrino di un microscopio.

«Ma no, non mi sta leggendo nel pensiero,» si disse a voce mentale così bassa che quasi neppure lei la riusciva a sentire. «Sa farti credere di leggerti nel pensiero, perché tutto quello che già non sa sul tuo conto te lo farà raccontare in un qualche modo, per poi usarlo contro di te.» Cosa che non le appariva molto più rassicurante, ma quello era un altro discorso. Si schiarì la gola, non perché ne avesse realmente bisogno ma perché aveva urgenza di far passare qualche secondo extra per pensare meglio. A cosa? Ci doveva ancora pensare.

Leonardi la fissò in silenzio ancora per un poco, poi si arrese. Con certa gente era inutile. Bisognava proprio spiegare tutto e chiedere tutto e magari non bastava ancora. Non solo pretendevano una vita con sottotitoli e note a piè di pagina, ma neppure si degnavano di leggere se glieli fornivi. «Come la ho avvisata nella mia convocazione, gradirei molto conoscere l’andamento del progetto di cui lei è al momento supervisore. Il progetto per uno studio ravvicinato dei nuclei dei due giganti gassosi nel sistema solare di Madre,» aggiunse, di fronte allo sguardo da coniglio sull’asfalto che la dipendente gli rivolgeva. D’accordo sceglierli meno capaci di te, ma quella tizia da dove l’aveva pescata? Non lo ricordava più. E magari non l’aveva neppure scelta lui. Anzi, probabile.

Ruth Blakely si schiarì di nuovo la gola. «Confidiamo di poter presentare un progetto realizzabile in un massimo di due, tre mesi,» disse. «Ci sono state alcune difficoltà tecniche da superare e ancora i problemi non sono del tutto risolti, mi spiace doverlo dire, ma le simulazioni dicono che siamo sulla strada giusta ed è solo questione di tempo. D’altro canto, trovare un sistema pratico per studiare un nucleo di un gigante gassoso, e studiarlo da vicino come ci è stato richiesto, non è impresa semplice e richiede attrezzature che, inizialmente non erano in nostro possesso, e...»

Leonardi alzò una mano a interromperla. «Le scuse non mi interessano. Se crede di non essere una guida adeguata per il progetto, non ha che da dircelo e noi provvederemo al più presto a trovarle un nuovo impiego, più adatto alle sue capacità. Non a costringeremo a occupare una posizione per cui non possiede le competenze necessarie, se è questo il caso.»

Che non era esattamente una minaccia, ma vi assomigliava troppo per i gusti di Ruth Blakely. Quale poi potesse essere l’eventuale nuovo impiego più adatto alle sue capacità, beh, era una cosa a cui di sicuro non voleva pensare. Non adesso, almeno. Con tutta probabilità vi avrebbe pensato fin troppo in seguito, magari di notte, prima di addormentarsi, o svegliandosi da sogni particolarmente brutti.

«No, no, non è questo che sto dicendo. Era solo per inquadrare meglio il problema che il gruppo sta cercando di risolvere. Per metterlo in relazione alle difficoltà che devono essere affrontate per... per svolgere nel migliore dei modi l’incarico che l’Ufficio ci ha assegnato.»

Leonardi la fissò con tutta la compassione di una tarantola a digiuno forzato. «Le assicuro che tutti noi siamo già perfettamente a conoscenza delle difficoltà che il suo gruppo deve affrontare. Anzi, le dirò: vi abbiamo selezionato proprio per questo e perché eravamo convinti che voi sareste riusciti a superarle. Mi sta dicendo che vi abbiamo sopravvalutati? O, se lei preferisce, che abbiamo valutato in modo errato le vostre capacità e competenze?»

«No, non sto dicendo questo. Siamo perfettamente in grado di farcela. Se lei osserva il rapporto che ho presentato giusto due settimane fa, potrà vedere che...»

«Il suo rapporto è già stato ricevuto, valutato e archiviato, glielo assicuro. Proprio come succede per tutti i rapporti presentati da tutti i gruppi di lavoro del nostro Ufficio. Qualunque cosa stiate facendo qui da noi, c’è sempre almeno una persona in questa sezione che ne è a completa conoscenza e che segue ogni vostro passo. In certi casi quella persona sono io.»

Il che non era del tutto vero, ma non c’era bisogno che quella tizia lo sapesse. In realtà a seguire una parte delle attività dell’Ufficio, la parte che lui giudicava di maggiore interesse, non era Leonardi in persona ma una delle copie della sua personalità, che conservava per le emergenze e per altri usi. Sì, non era strettamente legale utilizzare una copia per attività simili, ma non era neppure strettamente illegale: esisteva ancora un vuoto normativo e lui vi sguazzava felice. Dopotutto, lo aveva generato lui stesso e lo manteneva perché così gli tornava comodo. Una piccola spesa dal ritorno assicurato. Ora, se soltanto fosse stato così facile far passare una legge che consentisse (o almeno non vietasse) il ricorso alle copie di personalità per sopperire a sgradevoli casi di morte...

Ruth Blakely, nel frattempo, stava facendo del proprio meglio per mascherare il nervosismo misto a fifa che provava, scoprendo anche che il suo meglio non sembrava essere un granché. E dire che, un paio di mesi prima, era stata ancora contenta dell’incarico ricevuto. Non più entusiasta come in un primo momento, è vero, ma contenta sì. Era un lavoro importante. Un lavoro che la poteva spingere in alto. Il primo incarico di peso che avesse ricevuto nella sua carriera. Scienziata per formazione, si era accorta ben presto di non essere poi così portata per la ricerca come aveva creduto in gioventù: le piaceva, vero, ma dedicarvi tutta la vita... no, forse era il caso di pensarci meglio. Lavorare nelle vicinanze della scienza sì, ma come scienziata diretta...

L’Ufficio aveva risolto il problema. Era l’epoca in cui gli Isolazionisti veri erano spariti da poco, più o meno come erano spariti tutti i membri della prima spedizione, e l’interesse per lo spazio era alto. C’erano posti in abbondanza per scienziati e ricercatori, ma c’erano posti anche per chi aveva una cultura scientifica, ma preferiva incarichi da impiegato a vari livelli: persone che sapessero proporsi come intermediari tra chi faceva o studiava e chi gestiva. A Ruth l’idea era piaciuta. Era partita dal basso e in basso era rimasta a lungo, ma guadagnando sempre qualcosa, un millimetro oggi, un altro tra sette mesi, fino a che le porte della dirigenza si erano aperte davanti a lei. O qualcosa di simile, almeno. Aveva superato i cinquanta e quella era la sua grande occasione: i giganti gassosi di Madre e lo studio del loro nucleo. Non la poteva sprecare. Non ne avrebbe mai avute altre.

Ma Leonardi proseguiva col suo tono monotono e ronzante, da moscone. «Lei mi dice adesso che le serviranno altri due o tre mesi per presentare un prototipo. È troppo. Lei potrà anche aspettare, se le piace, ma noi non ce lo possiamo permettere. Bisogna accorciare i tempi. Mi capisce?»

«Sì, la capisco,» rispose lei, «ma non è che possiamo fare miracoli. Due mesi è il minimo per avere tra le mani qualcosa che non si frantumerà alla prima occasione, e tre mesi sarebbero ancora meglio, perché ci garantirebbero di eseguire una prima serie di test sul campo, che potrebbe essere attorno a Giove, il pianeta adatto più vicino, se avremo il permesso di utilizzare...»

Di nuovo la mano del vecchiaccio salì a interromperla. «Possiamo anche concedervi tutti i permessi che volete, per utilizzare stazioni, satelliti e impianti attorno ai nostri giganti gassosi, ma questo è il più piccolo dei problemi. Anzi, non è un problema. Non è neppure la soluzione a un problema. Ciò che davvero costituisce un problema è la vostra lentezza nel lavorare. Siete almeno consapevoli del tempo che avete già sprecato a chiacchierare, invece di produrre? Il tempo sperperato ridendo delle proposte più assurde, invece di occuparvi di qualcosa di concreto? No, forse voi non lo siete, ma noi sì. Noi ne siamo consapevoli. E non lo approviamo. Credo proprio che sia il momento di accelerare, e accelerare molto. Scegliere proprio lei per questo incarico sembra essere stato un errore, sa?»

Ruth Blakely non sapeva e avrebbe preferito non sapere, anche se poteva immaginare. Il ritorno al nulla di prima si spalancava attorno a lei per inghiottirla, e la prospettiva la spaventava molto più di quanto avesse immaginato. Perché un lavoro da ruota di scorta non è poi così orribile se non hai mai conosciuto alternative; quando però vi torni dopo un lungo periodo al sole, allora sì che tutto il suo orrore ti arriva nei denti. E fa male. Molto male.

«Credo che potremmo tagliare un poco sul tempo di progettazione e di test, in effetti,» disse. «E se il reparto di assemblaggio ci darà una mano, potremmo avere un prototipo pronto anche in due mesi circa, magari. Potrebbero servirci più risorse e saranno doppi turni per tutti, ma...»

Altra interruzione. «Le risorse non sono un problema. Il tempo sì. Preoccupatevi del tempo, al resto penseremo noi. Quanto a doppi o tripli turni, suvvia, sono forse un problema? Siete qui per lavorare o per riposare, prego? E mi pare che almeno uno di voi abbia fretta di cominciare, giusto? Non sarà difficile convincerlo a qualche straordinario. Non per chi è a capo di un progetto, almeno.»

Già, Stratos. Quello col muso sempre lungo, perché gli altri non erano mai veloci a sufficienza per i suoi gusti. Non proprio la persona più simpatica della galassia, secondo il suo parere, ma in fondo la simpatia non contava molto in quel lavoro; la competenza sì. Stratos era competente, a modo suo. E magari, a dargli più spazio, sarebbero riusciti davvero a terminare prima il progetto. Anche se forse non lo avrebbero terminato bene, ma a Leonardi interessava la velocità e dunque che si prenda pure la sua velocità. Chissà che fretta aveva, quel tizio...

«Le faremo pervenire al più presto un preventivo di quanto i lavori potrebbero essere terminati, se non sorgeranno imprevisti,» disse Ruth. «Credo che alla fine dovremmo poter...»

«Mi risparmi i preventivi. La prossima cosa che voglio ricevere da voi è il progetto concluso. Tutto il resto ve lo potete tenere. E che sia rapido, mi raccomando. Un mese.»

Ruth Blakely non rispose. Non sapeva come rispondere. Un mese? Era pazzo. Ma lei non si oppose. Annuì, accettò, salutò, se ne andò. L’aria dei corridoi non le era mai sembrata così dolce. Vecchio e sempre più rimbambito, ecco cos’era Leonardi. Ma potente, oltre che prepotente. Dunque dovevano obbedire, se ci tenevano a continuare a lavorare. E siccome lei ci teneva, avrebbe obbedito. Chissà, magari ce l’avrebbero fatta davvero. Improbabile, ma non impossibile. Forse. Con tanto ottimismo.

Leonardi si rilassò dietro la scrivania, nella solitudine del suo ufficio. Anche questa era andata. Ora, da una tizia del genere non si aspettava molto, ma i lavori sarebbero stati velocizzati, questo era più che certo. Sarebbero anche andati bene? Tutto da dimostrare, ma forse sì. Probabilmente sì. Non per una sua qualche fiducia nel gruppo, ma perché ricordava quel ragazzino, Stratos, e ricordava la sua voglia di fare, dimostrare, arrivare. Era rimasto scottato dalla storia di Svarga e questo era bene. La prossima volta non si sarebbe lasciato scottare: sarebbe stato lui a bruciare gli altri. Se davvero quel tizio valeva qualcosa. Se invece non aveva alcun valore... beh, la galassia era piena di sostituti.

Camminò fino alla finestra su gambe non solide e non sicure. La città era sempre la solita frittura mista di scorie di ogni tipo, col mare che bussava alle porte e dighe che la tenevano in superficie. O che ne tenevano una parte in superficie: la parte che contava. Altri pezzi erano spariti secoli prima e nessuno aveva avuto tempo, voglia e risorse per recuperarli. E in fondo perché avrebbe dovuto? Per una qualche forma di amore romantico? Stupidaggini! Era stata una buona sveglia per la Terra, ma anche il tipo di sveglia che quasi nessuno ascolta. Poco male.

Ma c’era qualcuno là in basso e i pensieri di Leonardi si diradarono, persero la loro forma, per poi ricomporsi attorno alla sagoma scura che i suoi occhi coglievano laggiù, vicino al cancello, e solo se ingrandiva al massimo. Non succedeva spesso, perché di rado era interessato a osservare i microbi umani che si muovevano sui marciapiedi, ma quel particolare microbo lo aveva incuriosito. Perché si vedeva spesso nelle vicinanze del cancello, là in basso nella piazza. Si vedeva se eri giù anche tu, cosa che a Leonardi non capitava mai, oppure se avevi occhi artificiali come i suoi, che garantivano uno zoom quasi automatico quando ti concentravi su qualcosa. Lui si stava concentrando, adesso, e il qualcosa su cui si concentrava era il vecchio dalla pelle scura.

Chi era? Un passante qualunque, con ogni probabilità. Ma un passante che passava spesso e ancora più spesso si fermava nel piazzale davanti ai palazzi dell’Ufficio. A volte da solo, a volte assieme a un ragazzo. Non sempre lo stesso ragazzo. Si fermava e guardava, guardava, guardava. Quando era in compagnia del ragazzo (uno qualunque dei ragazzi con cui girava), lo vedevi gesticolare, parlare, forse spiegare. Che cosa? Leonardi non lo sapeva, ma non gli piaceva.

Un qualche vecchio rimbambito che ce l’ha con noi per chissà quale ragione e rompe le scatole ai ragazzi di passaggio, aveva pensato all’inizio. Adesso non lo pensava più. Adesso avrebbe ordinato a una guardia di fermarlo e trascinarlo nel palazzo, arrestarlo con una qualche scusa. E poi? E poi lo si doveva interrogare, ovvio. Interrogare e poi interrogare ancora un poco. E se non rispondeva? Ma c’erano sempre modi per far rispondere qualcuno, giusto? Le guardie li conoscevano di sicuro.

Ancora non lo aveva fatto. Forse non lo avrebbe fatto mai. Perché? Per le apparenze, la facciata di urbana e benevola serietà che l’Ufficio doveva mantenere davanti al pubblico, o almeno davanti al pubblico che valeva qualcosa. Quei perditempo che gironzolavano attorno ai loro palazzi non erano proprio un esempio di pubblico che valesse qualcosa, perché secondo il modesto parere di Leonardi valevano meno di zero, tuttavia... sì, arrestare un vecchietto davanti alla sede sarebbe stata pessima pubblicità. Purtroppo. D’altra parte, se al vecchio fosse accidentalmente accaduto qualcosa, allora il discorso sarebbe stato molto diverso, no? Forse era il caso di fargli accadere qualcosa, in maniera del tutto accidentale. Leonardi sorrise.

Poi il vecchio sollevò lo sguardo e Leonardi non sorrise più.

Quel tizio lo stava fissando? Lo stava guardando negli occhi? Impossibile. Era troppo lontano e non lo poteva vedere attraverso il vetro della finestra. Era polarizzato. Anche ammesso che il vecchio di pelle scura possedesse occhi come i suoi, artificiali e dotati di zoom, avrebbe comunque visto solo il proprio riflesso nella finestra dell’ufficio. Eppure...

Leonardi tirò la tenda e si allontanò. Stupidaggini. Non aveva tempo da sprecare a guardare fuori, il panorama discutibile della città, i vecchietti che passeggiano, l’oceano che bussa alle porte. Aveva il viaggio su Madre da preparare, o più precisamente aveva la sua ultima copia da preparare all’invio su Madre come allegato. Il personale della base militare si sarebbe occupato poi di sistemarla in un supporto adeguato e Petkovic l’avrebbe portata con sé in fondo al pozzo, come in un passato in rapido allontanamento aveva fatto un altro suo dipendente. Come si chiamava poi? Un nome strano, stupido. Leonardi non lo ricordava al momento, ma non aveva importanza. Era morto e comunque era stato un rifiuto umano anche prima di morire, per cui nessuna perdita, no?

E c’era il consiglio di amministrazione. La prossima seduta era in programma tra due giorni e per allora la Elsey chissà che nuovo attacco si sarebbe inventata contro di lui. Attacco cordiale, senza un filo di cattiveria, solo un modo come un altro per informarsi e chiarire alcuni punti rimasti in dubbio negli ultimi resoconti, beninteso. Non è una critica. È solo per sapere. Per puntualizzare. Chiarire. È il direttore che ne ha bisogno, per poter svolgere al meglio il proprio lavoro.

Hah! Come se quel Gemelos lavorasse. A scaldare la sedia, magari, ma altro non faceva. Direttore di nome e inutile di fatto. Le sole cose che sapesse fare erano infastidirlo e boicottarlo. Ma non le sapeva neppure fare di propria spontanea volontà, il buffo era quello. Ellen Montgomery Elsey se lo era preso in custodia, lo aveva attirato nella propria fazione con chissà quale promessa, e adesso il miserabile era una sua marionetta, come prima lo era stato di Leonardi. Che vita fantastica, il nostro Gemelos! Proprio da vantarsene coi nipoti. Non che il verme ne avesse, per fortuna del mondo.

A volte Leonardi rimpiangeva i tempi in cui l’Ufficio non esisteva ancora, la Terra era in miseria e i mondi coloniali erano i pianeti degli Altri, quegli orrendi demoni traditori che avevano abbandonato la Terra in un addio di bombe e morte. Non erano stati bei tempi. Neppure il vetro dorato che solo la memoria più lontana sa applicare ai tuoi occhi li rendeva belli. Erano stati tempi duri, incerti, in cui il futuro era una vera scommessa. Avevano avuto un vantaggio, però: Leonardi era stato giovane. Il che non è sempre e comunque un vantaggio, beninteso, ma lo è quando guardi in faccia i centodieci anni, il tuo corpo è un rottame rabberciato alla peggio e tutti i tuoi avversari potrebbero essere i tuoi nipotini. Nipotini teorici, potenziali. Neppure Leonardi aveva avuto discendenti, e forse era stato un bene per il mondo anche in quel caso. Di certo era stato un bene per lui: si era risparmiato guerre di successione, scismi, pugnalate in famiglia.

Tornare a quando era giovane, però...

No, rifare. Rimanere nel mondo di oggi, ma avere di nuovo il fisico di quando era giovane... Sì, così andava meglio. Restava impossibile, ma almeno era un impossibile che lo attraeva. Lo affascinava.

Sedette a fissare il vuoto, dita che tamburellavano autonome sulla superficie della scrivania. Trrup-trrup-trrup. Non era poi così impossibile, volendo. Non del tutto impossibile. Il ministro Hass non avrebbe approvato, ma il ministro Hass non approvava mai e comunque non contava. Non era che il ministro, un ministro. Come lo aveva creato, Leonardi lo avrebbe potuto distruggere. Ne era certo. E poi non era necessario che lo sapesse, anche se lo avrebbe saputo comunque. Qualcosa lo aveva imparato, Hass, ma non ancora abbastanza per batterlo. Era troppo giovane. Giovane.

Le dita di Leonardi si bloccarono. No, meglio non pensarci. Non ne sapeva ancora abbastanza, era un rischio troppo grande. Una volta che avesse saputo di più su Madre, tuttavia... Sorrise. Sì, a quel punto le cose sarebbero cambiate. Molto cambiate. In meglio o in peggio?

Il tempo glielo avrebbe detto. Leonardi non ne dubitava.