Adriano - racconti e altro

La galassia di Madre - 102

Quando uscì dal proprio alloggio, il generale Petkovic era di umore sereno variabile, proprio come il cielo di quella mattina madriana così standard da essere quasi un marchio di fabbrica del pianeta. Azzurro chiazzato di grigio e grigio chiazzato di azzurro: erano i due modelli in cui il clima tendeva a presentarsi, almeno a quelle latitudini, che erano equatoriali ma di equatoriale non possedevano la minima traccia, se paragonate ad altri mondi. Ma Madre non era un altro mondo. Madre era Madre e se ti succedeva di dimenticarlo, beh, allora provvedeva lei stessa a ricordartelo. O essa stessa: una sana forma neutra era sempre preferibile. Meno compromettente. Meno personale.

Il generale Petkovic era di umore variabile perché aveva ricevuto la risposta al suo ultimo rapporto all’Ufficio per la Colonizzazione, il che era bene, e l’aveva ricevuta prima di quanto si aspettasse, il che era meglio, ma non aveva ricevuto la risposta che si sarebbe aspettato, il che non era bene. E la risposta aveva un allegato molto, molto indesiderato, il che era peggio di tutto il resto. Petkovic sospirò. Lo attendeva una giornata faticosa.

Le vie della base militare erano già vive a quell’ora, anche se poco attive. Il generale le attraversava di buon passo come aveva fatto per più anni di quanti ne volesse ricordare al momento. Erano la sua casa e lo erano come la sua casa originale, quella sulla Terra, non lo era mai stata. Peccato solo che non fosse sempre una bella casa. Quando ti capitava poi un Leonardi imprevisto in mezzo ai piedi, e diciamo piedi per non essere volgari, l’ambiente intero sapeva diventare confortevole come un paio di mutande di tre taglie più strette. Sospirò di nuovo.

Una copia della sua personalità. E chi ci aveva pensato? Non lui e questo era stato un suo errore. Lo sapeva che Leonardi poteva sempre uscire con trovate del genere: dopo la seconda spedizione, poi, dove aveva condotto la trattativa col pianeta sotto forma di coscienza in scatola, Petkovic si sarebbe dovuto aspettare una ripetizione della storia, adesso che Madre aveva richiesto un incontro. Lui era anche stato un membro di quella spedizione. Era sceso assieme a Leonardi e agli altri. Non aveva combinato molto, d’accordo, ma c’era stato. Proprio laggiù, nel vivo dell’azione. Pure, non ci aveva pensato. Pensare non sembrava essere una sua specialità, proprio come quel simpatico Staplewood si divertiva sempre a fargli notare. Non che quello là fosse la persona giusta per parlare.

Ma era un sollievo, da un certo punto di vista. Alla trattativa avrebbe pensato di nuovo Leonardi e si sarebbe assunto tutte le responsabilità: Petkovic avrebbe assistito e annuito serio serio, bocca chiusa e non un pensiero che salisse in superficie, non un dubbio o una domanda. Quelle le avrebbe tenute per sé, giù in fondo, dove le cose si decompongono e diventano gas maleodoranti. Perché di dubbi ne aveva e di preoccupazioni pure, non poteva negarlo. Ne aveva da quando lo aveva contattato uno degli inviati speciali di Madre, chiedendogli l’incontro, come era accaduto già tre volte in passato e nessuna di quelle tre era stata piacevole. Delle prime due si era occupato Staplewood, che in fondo era il suo superiore ed era giusto che la merda la vangasse un poco anche lui. Poi Hass e Leonardi si erano separato e Staplewood era rimasto con Hass, così la terza volta ci aveva dovuto pensare lui, in mancanza di altri a cui delegare. Ai tempi della quarantena di Lakshmi, quando si era verificata una moria di insetti. Caso delicato, certo, ma non difficile. Adesso, invece...

L’inviato speciale di Madre assomigliava a un uomo, a un giovane militare, e come militare di basso grado era registrato e impiegato presso la base. Non era l’unico. Ne esistevano altri due, per quanto ne sapesse Petkovic, e sospettava ce ne fosse qualcun altro di cui lui non sapeva niente. Possibile, se non probabile. Sarebbe stato in linea col carattere di Leonardi: mai sistemare tutte le uova in un solo paniere, soprattutto se le uova sono informazioni e i panieri persone. Quanto al carattere di Madre, chi mai lo poteva conoscere? Chi sapeva se avesse un carattere? Esisteva un accordo, vero, ma puoi fidarti di un cervello alieno grosso mezzo pianeta? Staplewood pensava di no, adesso, anche se una volta aveva pensato di sì. Ma Staplewood pensava per procura, ripeteva le parole di Hass e Hass era rimasto scottato da Madre, dunque il suo giudizio non poteva essere considerato oggettivo ed equo.

O almeno Petkovic lo sperava. Quell’inviato speciale di Madre era entrato nel suo ufficio poco dopo il mezzogiorno in una giornata che, fino a quel momento, era stata tranquilla, tendente al noioso. Un giorno come tanti sulla colonia. Qualche tempo prima c’era stata la richiesta di Svarga, che voleva il permesso di accedere al pianeta per tenere la conferenza del suo famigerato scopritore di strutture organiche, quel Muzafar Chang o come si chiamava. Staplewood l’avrebbe anche voluta accettare, ma il governatore Rossi l’aveva rispedita al mittente senza pensarci neppure per cinque minuti. Era anche lei dalla parte di Leonardi, Maureen Rossi, e Leonardi se li sarebbe mangiati vivi tutti quanti, gli svarghiani. Poi nell’ufficio del generale Petkovic era entrato il pupazzo di carne e a Svarga chi ci aveva pensato più? Non lui, poco ma sicuro.

Madre era migliorata parecchio, bisognava ammetterlo. Adesso era difficile distinguere uno dei suoi prodotti da un umano vero, se non lo sapevi. I primi modelli, invece, quelli che avevano trovato nei pozzi, erano robaccia da dilettanti, passati e superati, come passati e superati erano quei tempi. Oggi Madre aveva a sua disposizione tutti i modelli che voleva e ne arrivavano di nuovi in continuazione: ovvio che si fosse perfezionata, inevitabile che si fosse perfezionata. Pure, era rassicurante come un nido di vespe accanto alla finestra della tua camera da letto. Sì, Petkovic poteva capire almeno una parte delle preoccupazioni di Hass e Staplewood, ma capire è diverso da condividere e comunque è sempre meglio guardare avanti, ai progressi, all’obiettivo finale, cose così. Lo diceva Leonardi.

Ma il pupazzo di carne era entrato nel suo ufficio e gli aveva ripetuto il messaggio di Madre. O era stata Madre stessa a parlagli direttamente per sua bocca? Difficile capirlo. Petkovic non aveva idea di come funzionasse e in fondo non desiderava neppure molto saperlo. Sospettava che non avessero una personalità propria, i modelli che avevano alla base non sembravano possedere una personalità, ma non si poteva mai dire, no? Era una delle cose che preoccupavano tanto Staplewood, perché era una delle cose che preoccupava tanto Hass, il suo caro comandante, oggi ministro e domani chissà.

Non un messaggio molto complicato. Madre vi vuole parlare di persona. È importante. Che sarebbe bastato un antico telegramma, ma fartelo dire da una marionetta umanoide ha sempre un impatto più forte sui destinatari. Sembrava possedere anche un certo suo senso del teatro, Madre, o almeno ciò che a un umano poteva sembrare un senso del teatro. Vallo a capire cosa fosse davvero. E Petkovic aveva risposto sì, d’accordo, ma prima devo contattare i miei superiori, devo sempre farlo in questi casi. Il pupazzo di carne aveva annuito e se n’era andato, calmo e tranquillo come era venuto.

Adesso il superiore era arrivato. Ci sarebbe voluto l’intero giorno per trasferire la copia della sua personalità su un supporto adeguato, configurare le periferiche, testare, calibrare, palle varie. O così avevano detto i tecnici che avevano preso in custodia l’allegato. Facessero pure con comodo. Lui di fretta non ne aveva. Non aveva mai fretta, quando c’era da scendere in un pozzo. Non era paura, né preoccupazione. Non esattamente. Era che i pozzi gli facevano schifo, anche se il suo incarico era di custodirli e sorvegliarli. Accettava quello che c’era laggiù, accettava più o meno tutto, ma entrare in un pozzo, camminare dentro le gallerie di carne, respirare quell’aria calda e umidiccia, che chissà da dove usciva e cosa l’aveva filtrata... No, quello era un altro discorso. Lo lasciava volentieri ad altri.

Pure, stavolta non lo avrebbe potuto delegare. Gli toccava. Proprio come adesso gli toccava parlare con Staplewood, anche se lo avrebbe volentieri delegato ad altri. Ma non lo poteva delegare: ospite indesiderato, stava proprio davanti alla porta dell’ufficio, come in attesa. Il che era probabilmente vero, a giudicare dalla faccia. Cosa voleva adesso? Ma era ovvio cosa volesse. Quando un Leonardi in quasi persona ti piombava sul pianeta per scendere nei pozzi e trattare con Madre, c’era una sola cosa che il comandante in capo delle forze amate locali potesse volere e quel qualcosa non era quasi mai una tazza di caffè. Specie perché la versione madriana del caffè era una schifezza mastodontica.

Si salutarono, rilassati come due persone che si conoscono da una trentina di anni circa e sono state sempre separate da una frazione di grado o poco più, Staplewood sempre appena avanti a Petkovic. Finora. Ma la situazione poteva cambiare a breve, specie se la fazione di Hass si fosse indebolita, e il messaggio di Leonardi richiedeva esattamente questo: una epurazione vestita da ristrutturazione e ammodernamento del personale. Personale civile, ovvio, ma era altrettanto ovvio che anche il turno dei militari sarebbe venuto. Magari a breve. Magari al primo errore di Hass.

«Posso fare qualcosa per te?» chiese Petkovic. «Ho una giornata molto piena, oggi.»

Staplewood sorrise senza allegria. «Una giornata piena di purghe, lo so. Comincerai subito, così gli potrai mostrare i compitini quando si sarà svegliato?»

«Non capisco di cosa tu stia parlando.»

Staplewood sospirò. «I messaggi da e per la base sono molto più sicuri delle comunicazioni civili, lo sappiamo entrambi, ma non sono poi così privati. Un superiore ha sempre la possibilità e il diritto di esaminarne il contenuto, quando ritiene che sia importante per tutelare la sicurezza della base. O anche perché ne ha voglia,» ammise. «E dubito che troverai un superiore più superiore di me, qui.»

«E tu avevi voglia di leggere i messaggi del tuo secondo?»

«Ritenevo anche che fosse importante per il bene della base e la sua sicurezza.»

Petkovic sbuffò. «Non vedo cosa ci sia da discutere, allora. Sai cosa vuole Leonardi e sai perché è qui. Non posso dirti niente che tu non sappia già e avrei lavoro da fare, come ho già detto.»

«Infiocchettare gli ordini di Leonardi e inoltrarli al governatore, che provvederà alla purga. Come la chiamerete, dunque? Ristrutturazione del personale? Ottimizzazione delle risorse umane? Politica di svecchiamento e rottamazione? O cacciata di tutti quelli che non ci danno ragione?»

«Davvero, questo riguarda la società civile e non vedo cosa ti possa interessare. E poi lo sai anche tu come funziona, lo hai fatto anche tu più di una volta, hai eseguito gli ordini e basta. Giusti?»

«Sì, l’ho fatto anch’io, ma adesso non lo farei più. Adesso non lo faccio più.»

«Ecco, buon per te. Per questo lo chiedono a me, adesso. Tu ti sei fatto il tuo esame di coscienza, la tua crisi di identità, quel che ti pare, e hai scaricato tutto addosso ad altri, per lavarti le mani.»

Il volto di Staplewood si contrasse come per un colpo basso. «Sai anche tu cosa è successo.»

«Sì, il tuo giro nel pozzo con Hass e con la, hah!, moglie di Hass. O la figlia, se preferisci. E anche tu sai cosa devo fare io adesso, no? Quindi...»

«Quali sono le richieste di Madre, stavolta?»

Il generale Petkovic recitò molto meglio del collega e quasi non si poteva notare l’infelicità con cui ricevette la domanda. «Non capisco di cosa tu stia parlando.»

Staplewood scosse la testa. «Domani scenderete nel pozzo, tu e la copia di Leonardi. Di cosa dovete discutere con Madre? Che cosa vuole stavolta dalla Terra?»

«Se hai intercettato e spiato tutte le mie comunicazioni, saprai anche che non lo so.»

«So che hai dichiarato di non saperlo. Quello che davvero sai o non sai, però, è un altro discorso.»

Petkovic sorrise. «Frase da politico. Stai studiando anche tu assieme a Hass? Progetti una carriera nuova? Ti prepari a eventuali cacciate di tutti quelli che non ci danno ragione, come le chiami tu?»

«Sto parlando seriamente. Cosa vuole Madre?»

«Anch’io sto parlando seriamente. Non lo so. Lo scopriremo domani.»

«La richiesta di un incontro è arrivata subito dopo il rifiuto di accettare il professore svarghiano. Il vostro rifiuto.»

Petkovic scrollò le spalle. «E dunque? Pensi che voglia ribaltare la nostra decisione? Pensi forse che a Madre possa fregare qualcosa del professore svarghiano? O vi siete andati a lamentare con lei?»

Staplewood sembrò spaventato. «Sai che non lo faremmo mai!»

«No, non lo fareste mai. Non scendereste mai di nuovo in un pozzo, dopo che ci siete andati quando Hass sperava che Madre gli avrebbe rianimato la moglie e invece si è ritrovato con una figlia. E che figlia! Ancora non so come le abbiano permesso di rientrare sulla Terra. Ma si sa, la posizione porta privilegi e poi a Leonardi interessava. O così ho sentito dire.»

«Questo non ha alcuna rilevanza, al momento.»

«Non ha alcuna rilevanza, già. E allora? Posso andare a lavorare o devi farmi perdere altro tempo?»

«Che cosa ha in mente Madre?»

«Non lo so,» rispose Petkovic, fissandolo negli occhi.

«E non ti interessa?»

«Io eseguo gli ordini. Lascio che siano altri a decidere per i pianeti. Gente che sa più di me.»

Staplewood scuoteva la testa, ma non aggiunse altro e finalmente si levò dalle palle. Meglio così. A Petkovic non era piaciuta quella discussione, non era piaciuto niente di quella discussione o di tutto il resto, la richiesta di Madre, l’arrivo di Leonardi, in parte anche degli ordini di Leonardi. Ma come aveva detto a Staplewood, decidere ai livelli più alti non era una sua responsabilità: lui agiva un po’ più in basso, dove le cose erano alla sua portata. Pure, le nuvole nel suo umore aumentarono.

Il resto della giornata non gli portò nuovi problemi. Il governatore Rossi ricevette la comunicazione di Leonardi e rispose «Obbedisco!», entusiasta come sempre quando Leonardi le inviava un ordine, specie se l’ordine le permetteva di infierire su qualcuno. Petkovic la poteva immaginare tutta felice e scodinzolante, ma era una immagine che preferiva tenere il più possibile lontana dalla soglia della coscienza. Staplewood non si fece sentire, i tecnici al lavoro sulla copia di Leonardi lo informarono che non avevano riscontrato problemi e avrebbero concluso nei tempi previsti. Tutto bene, tutto da programma. Poteva quasi fingere che non ci fossero insetti posati sul vetro esterno della finestra, o che gli eventuali insetti non sembrassero fissarlo.

Ce n’era uno. Ce n’era quasi sempre uno, anche se volava via non appena Petkovic si girava verso di lui. O di lei. O di esso. Insetti spia, li aveva definiti una qualche ricercatrice di cui non ricordava il nome. Glielo aveva riferito il capitano Nash, di cui invece ricordava il nome. Lui ci aveva riso, in pubblico, ma in privato non ci rideva più. Non perché ci credesse davvero, ma perché era plausibile. Suonava plausibile. Quando era in programma la prossima relazione di quella tizia? Non lo sapeva, ma si sarebbe informato. Magari era un falso allarme, ma magari no. Meglio non rischiare.

Lo diceva sempre anche Leonardi, del resto. E a proposito del grande capo, chissà di che umore era la sua copia? Non molto diversa dall’originale, probabilmente, ma era anche possibile che i tecnici e il loro lavoro di installazione e calibratura dei componenti l’avessero incattivita ancora di più, anche se era difficile immaginare un Leonardi di umore peggiore del suo solito.

Risultò che non era poi peggiorato tanto. La sua copia possedeva tutta l’affabilità di una vespa nelle mutande, ma ai tecnici dedicò solo qualche insulto fugace, prima di passare a ciò che invece era più importante, almeno per lui: la discesa. Cosa vuole adesso Madre? La stessa domanda che già aveva formulato Staplewood, cosa che non contribuì a rallegrare Petkovic. Ma non conosceva la risposta e in fondo lo avrebbero scoperto a breve, per cui non serviva neppure discuterne più di tanto.

Non li avrebbe accompagnati nessuno nella discesa. La copia di Leonardi non era nella valigetta che ricordava dai tempi della seconda spedizione, ma in un dispositivo molto più agile e leggero, che si poteva tenere in tasca. Progressi della tecnica e della miniaturizzazione, ma anche miglioramenti nel sistema per eseguire la copia di una personalità, che permetteva adesso di rimuovere molta roba che non sarebbe servita (a seconda della destinazione di uso della copia) e comprimere tutto il resto. Un viaggio nel pozzo che Petkovic avrebbe compiuto da solo, con Leonardi in saccoccia. Sul fondo poi li avrebbe attesi il cosiddetto ambasciatore terrestre, quel Karlsson che Petkovic trovava disgustoso come poche altre cose nella galassia. Che una di quelle poche altre cose fosse proprio l’ambiente in cui si sarebbero incontrati era la ciliegina sulla torna di una giornata fantastica.

Oh beh, c’erano cose peggiori nella vita. Ma non erano molte e soprattutto non lo attendevano nelle prossime ore. Durante la discesa discusse con Leonardi dell’incontro con Staplewood ed espresse le sue opinioni in merito a quanto sarebbe stato buono un repulisti anche nell’esercito, magari assieme a una inevitabile promozione dell’attuale numero due, una volta liberata la posizione di comandante in capo. Leonardi non lo negò (né lo affermò, beninteso), sostenendo però che i tempi non fossero al momento maturi e sarebbe stato necessario attendere un errore di Hass: bisognava prima far saltare il suo ministero e sistemarvi una persona fidata per poter poi procedere col resto, inevitabile, non ci si può proprio fare niente, casi della vita, leggi di natura. Petkovic annuì e accettò, non felice ma per il momento costretto ad accontentarsi.

Arrivarono sul fondo. La temperatura era terribile e poteva solo peggiorare, procedendo all’interno del corpo di Madre. L’odore era terribile. Il buio era terribile. Il generale Petkovic si concentrò per un poco, ma non riuscì proprio a trovare alcunché di positivo nell’esperienza che era costretto molto controvoglia a vivere. Poteva trovare altri aspetti negativi, però, come Leonardi che cominciava già a lamentarsi e brontolare per questo e quello, ma anche per quell’altro ancora. Finiamola in fretta, e che sia l’ultima volta che mi tocca scendere quaggiù. Ma temeva che non la sarebbe stata.

Si era attrezzato con tutte le luci che poteva sistemare sulla sua tuta e le accese una dopo l’altra, ma lo spettacolo non migliorò. Oh beh, meglio sbrigarsi e togliersi il pensiero. Avanzò verso la galleria più vicina, dove trovò ad attenderli lo smunto profilo di Laurent Karlsson, ma anche tutto il resto di lui, non escluso il cattivo odore. Per l’occasione, il presunto ambasciatore aveva deciso di rimanere nudo come al solito. L’anima di Petkovic si rattrappì dal disgusto, ammesso che ne avesse una.

«Madre vi sta aspettando,» disse Karlsson. «O almeno il giocattolo che ha deciso di usare oggi per parlare con voi. È più o meno al solito posto.»

Petkovic annuì. «Non è il comandante Salo, vero? Perché quella preferirei evitarla.»

«No, non è la Salo. Non la usa più da parecchio, credo. Non l’ho più vista da queste parti. Non per intero, almeno.» E scrollò le spalle. Petkovic preferì non indagare sul significato di quel suo “non per intero”. Suggeriva immagini troppo brutte per poter essere contemplate lì sotto.

«Dobbiamo chiacchierare ancora un po’ o possiamo procedere?»

La voce di Leonardi in scatola riportò il generale al presente. Sarah Salo era stata comandante della prima spedizione, scomparsa e mai più ritrovata. Madre ne aveva utilizzato una riproduzione per il colloquio con Leonardi e Hass durante la seconda spedizione, non perché la sua identità avesse una qualche rilevanza, ma solo perché era uno dei pochi modelli di essere umano che aveva avuto per le mani (metaforicamente: Madre non aveva mani reali), così si era dovuta arrangiare. Adesso, a quasi una trentina d’anni di distanza, di materiale organico ne aveva raccolto a volontà: poteva riprodurre modelli di ogni tipo e sperimentare nuove combinazioni. Cosa avrebbe usato quel giorno?

«Possiamo andare,» rispose a Leonardi. Andarono a passo lento, dietro la figura di Karlsson che il generale Petkovic cercava di guardare il meno possibile e solo di sfuggita, quando proprio doveva. I tunnel dentro Madre erano caldi e bui come li ricordava, sia dalla gioventù della spedizione, sia dai più recenti tempi della quarantena. Non ci si sarebbe mai abituato. Non ci si voleva abituare. C’era qualcosa di perverso in quel luogo e perverso non era la parola più appropriata, ma l’unica a cui gli riuscisse di pensare. Perverso e disgustoso, sì. Stava camminando nel corpo di un essere vivente, un essere vivente i cui pensieri non avrebbe mai capito. Né i suoi obiettivi.

«Allora, ti fermi ancora a fare due chiacchiere con chi ti spediamo?» chiese Petkovic alla guida, non perché volesse davvero conoscere la risposta, ma solo per spezzare il silenzio di quelle gallerie, che gli premeva attorno come un intestino intasato da troppi giorni.

«Di tanto in tanto. Quando li trovo per primo,» rispose Karlsson. «Quando possono ancora parlare,» aggiunse poi. «A volte li riducete molto male.»

«Non sono io personalmente,» si difese il generale.

Karlsson scrollò le spalle. «Madre si è lamentata. È più difficile lavorarci, quando sono rotti.»

«Di’ ai tuoi uomini di gestirli meglio o saranno loro a finire di sotto,» ringhiò Leonardi dalla scatola in cui la sua copia era chiusa. «Madre non si deve lamentare.»

Petkovic non obiettò. Fino a dove si sarebbe spinto il dottor Leonardi per accontentare quello che, a conti fatti, era un pianeta alieno vivente annidato come parassita in un pianeta alieno reale? Forse la posizione di Staplewood non era poi così sbagliata. Non del tutto, almeno. Forse era davvero il caso di pensarci bene. O forse erano solo suggestioni dettate da un ambiente sgradevole, in cui si sentiva in trappola e impotente. Sì, questa ultima ipotesi suonava più probabile. Sospirò.

Camminarono per almeno una decina di minuti, prima che Karlsson si fermasse, indicando un foro nella parete sinistra della galleria. Un foro che si era dilatato poco prima che lo raggiungessero, con un sospiro che Petkovic non aveva potuto non sentire. Un orifizio, aperto o chiuso dalle contrazioni di un qualche muscolo. Ovvio che l’architettura organica non avesse mai avuto successo, sulla Terra o altrove: chi mai avrebbe desiderato porte che funzionavano come un buco del culo? Quanto alle condutture idriche, poi... Rabbrividì nonostante il caldo.

«Vi aspetta lì dentro,» disse Karlsson. «Buon divertimento.»

«Buon lavoro, semmai,» rispose Leonardi. «E sbrigati a entrare, tu!» Petkovic si sbrigò ed entrò.

Non era così brutta come aveva immaginato. Non era neppure bella, d’accordo, ma per il momento preferiva concentrarsi sui pochi dettagli positivi che gli riuscisse di trovare: al resto avrebbe pensato poi, probabilmente svegliandosi in piena notte, con o senza urlo di orrore. La stanza era grossomodo circolare, pavimento piatto e soffitto quasi a cupola non molto alto, sufficiente per starci dritti ma non per evitare un vago senso di claustrofobia, che cominciava già a stringere la gola di Petkovic. E al centro della stanza c’era il pupazzo di carne, il loro interlocutore odierno. Per l’occasione, Madre aveva scelto una forma maschile, abbastanza giovane, ma con qualcosa di strano che il generale non riuscì a definire. Braccia troppo lunghe? Gambe troppo corte? Qualcosa. Un qualche esperimento, a ogni modo. Madre sembrava divertirsi ad alterare le strutture biologiche per vedere cosa ne uscisse.

Petkovic afferrò il dispositivo in cui era copiata la personalità di Leonardi e lo posò su una specie di escrescenza carnosa, che forse doveva rappresentare un tavolino, o una sedia, o altro ancora. Non si poteva mai essere certi di qualcosa, con Madre. Non che fosse importante. Lui non aveva bisogno di essere certo. Lui dava ed eseguiva ordini. Il grosso del lavoro di pensiero dovevano farlo quelli che gli ordini li davano e basta, senza riceverne mai. Era il loro compito, no? Che discutesse Leonardi con quella cosa; lui si sarebbe sistemato in un angolino a ignorare il più possibile la scena.

Per un poco ne discussero, poi fu quasi litigio. Cominciò con la richiesta di Madre, presentata non come un ordine o un suggerimento, ma solo come un dato di fatto, realtà indiscutibile o fenomeno di natura. «Il gruppo di Svarga accederà al mio pianeta.»

«Il gruppo di Svarga non accederà al nostro pianeta,» rispose Leonardi. «Quello sciacallo ladro del loro professore può anche andare a crepare in un buco nero, per quanto mi riguarda. Qui non entrerà mai e poi mai. La colonia è nostra!»

«Il pianeta è mio,» obiettò pacifico il pupazzo di carne attraverso cui Madre parlava.

«È la nostra colonia!»

«Ma il pianeta è mio. Loro entreranno. Se altri gruppi lo desidereranno, entreranno anche loro.»

Leonardi non replicò. Sarebbe stato interessante studiare le sue reazioni fisiche, se avesse avuto un corpo: tic, gesti di incertezza, irritazione, dubbio, rabbia. Forse non ci sarebbero stati, perché dopo anni a trattare e maltrattare aveva imparato quasi perfettamente a non mostrare emozioni quando lo desiderava (o almeno aveva imparato a pensare di non stare mostrando emozioni, il che è diverso), o forse qualche segno lo avrebbe dato. Siccome però il Leonardi presente era solo una copia digitale su un supporto altrettanto digitale, di gesti non ce ne furono proprio. Solo silenzio, mentre rifletteva e valutava, o forse solo sbolliva l’irritazione che credeva di provare: in assenza di ghiandole e delle loro secrezioni, sentimenti reali e realistici non ci potevano essere, ma poteva comunque pensare di averne, questo non glielo avrebbe impedito nessuno.

«Dobbiamo fare entrare gli svarghiani?» chiese infine.

«Gli svarghiani entreranno.»

«Perché?»

«Perché io lo desidero.»

«Ma non erano questi i nostri accordi!»

«Adesso lo sono.»

Altro silenzio, questa volta più silenzioso del precedente, se mai era possibile. Petkovic desiderò di cuore, ma anche di ogni altro muscolo od organo, di trovarsi in un qualsiasi altro luogo, incluso uno non abitabile dalla sua specie. Sarebbe stato meno doloroso. Meno brutto. Era questo che intendeva Staplewood? Non per la prima volta, si chiese di cosa avessero davvero discusso Leonardi e Hass in quella spedizione di quasi trent’anni prima. Che accordo avevano raggiunto con Madre? E perché in un secondo momento Hass aveva cambiato idea? Perché Hass aveva cambiato idea. Di sicuro dopo essere sceso con una moglie in pessimo stato di salute (alcuni dicevano già morta, ma su questo non c’erano certezze), per risalire con una figlia neonata. Forse Staplewood gli avrebbe potuto parlare di quell’incidente, perché lui c’era stato, ma Petkovic dubitava che il suo superiore ne avrebbe parlato col tirapiedi di Leonardi, al secolo Demetrios Petkovic.

Poi Leonardi ruppe il silenzio. «Petkovic, esci. È una discussione privata. Non ci disturbare.»

Il generale guardò prima il dispositivo posato sulla escrescenza carnosa, poi il pupazzo di Madre, il resto della stanza, valutò pro e contro, dubbi e certezze, infine decise che era più prudente obbedire e uscire. Era certo di non voler sapere cosa si sarebbe deciso lì dentro. Certo che sarebbe stato molto meglio per lui non saperlo mai. Certo anche che prima o poi lo avrebbe dovuto scoprire comunque, ma ogni prima o poi possedeva un lato positivo e quel lato positivo era il poi. Il futuro era sempre e comunque incerto: meglio seppellirci tutti i tuoi dubbi e non pensarci più.

Nella galleria lo accolse la faccia ovina di Laurent Karlsson seduto sul pavimento, la schiena posata contro una parete carnosa e pelosa. Non mostrava alcuna emozione o reazione. «Ne stanno ancora discutendo,» gli spiegò il generale, anche se nessuna spiegazione era stata richiesta.

Karlsson annuiva lento, un poco rimbalzante. «Discutono, come sempre. E noi aspettiamo fuori.»

Petkovic sorrise suo malgrado. Già, proprio come durante la seconda spedizione. Leonardi dentro a trattare con Madre, lui e Karlsson ad aspettare in corridoio, come i cani che non possono entrare nei negozi. Adesso c’era meno gente, sia dentro che fuori, ma loro tre erano rimasti una costante. Casi della vita. Sarà accaduto lo stesso anche a Staplewood, quando era sceso assieme a Hass? In fondo, ai tempi della seconda spedizione lui era rimasto fuori assieme a loro, mentre il comandante parlava con Madre. «Resteremo sempre fuori?» chiese, più a se stesso che ad altri.

«Non so,» rispose Karlsson. «Chiedimelo quando mi avranno fatto uscire.»

Questo era un colpo basso, ma Petkovic se lo era meritato. «Mi spiace. Non l’ho deciso io.» Quasi fu sorpreso nello scoprire che sì, aveva detto la verità. Gli dispiaceva per Karlsson. Non gli sarebbe mai piaciuto quel tizio, ma gli dispiaceva per lui. Rinchiuso dentro Madre, per sempre, o almeno per il resto della vita: se non era un inferno quello, il generale non ne sapeva immaginare di peggiori. Il che forse dimostra la sua scarsa immaginazione e altrettanto scarsa predisposizione per il pensiero.

Karlsson non parlò più e fu un sollievo. Mentre attendeva che il colloquio di Leonardi terminasse, al riparo nella sua piccola bolla di luce artificiale, Petkovic si impegnava con tutte le proprie forze per evitare ogni tipo di domanda o di riflessione. Lui eseguiva gli ordini, non decideva. Se decideva, era solo nel campo limitato in cui si sentiva competente, ossia quello militare. Poteva gestire una base e la sorveglianza dei pozzi. Poteva gestire i distaccamenti sparpagliati nel resto del pianeta, zone che la colonizzazione avrebbe raggiunto chissà quando, ma che già dovevano essere sorvegliate perché vi si trovavano gruppi di nove pozzi, proprio come sotto la base presso il vecchio ascensore. Poteva anche occuparsi di intrusi, fastidi locali, sorveglianza, rifornimenti, eccetera eccetera. Ma occuparsi di un pianeta intero era un altro discorso, uno che lui non sapeva neppure cominciare.

Quando poi il pianeta era vivo e ti rispondeva, allora il generale Petkovic non solo avrebbe preferito non doverlo sentire, ma si sarebbe anche sentito più sicuro in un altro sistema solare. Di cosa stava discutendo Leonardi? Che cosa stava decidendo a nome di tutti loro? Quali erano, di preciso, tutte le clausole e tutti i dettagli degli accordi con Madre? Non pensarci era la soluzione migliore. Ignorare e guardare altrove, lasciare che se ne preoccupassero altri. Gente come Staplewood, che sembrava divertirsi, o gente come Hass, che si era messo in testa di diventare la fazione anti-Leonardi. Non ci sarebbe mai riuscito, non soprattutto dopo la purga che il governatore Rossi aveva probabilmente già avviato, mentre loro sedevano nelle gallerie dentro Madre. Sedevano e aspettavano.

Qualcosa passò ronzando accanto alla testa di Petkovic. Il generale si girò, in tempo per vedere uno di quei maledetti tafani che se ne volava via. Anche lì sotto ne trovavi. Era ovvio, ma come pensiero lo infastidiva ugualmente. Pensò alla tizia che li studiava, alla possibilità che avesse ragione e che la specie di insetti meglio nota colloquialmente come pseudotafani fosse davvero utilizzata da Madre come rete di sorveglianza, oltre agli altri usi che conosceva anche lui. Non era una bella possibilità. Forse sarebbe stato opportuno investire qualcosa di più nel loro studio. Giusto per sicurezza, tanto per sentirsi in pace. Perché non si sapeva mai, giusto?

Leonardi lo chiamò, la sua voce stridula anche quando era riprodotta dal supporto artificiale. Si aprì l’orifizio che fungeva da porta e il generale Petkovic si alzò, con tanta voglia di andare quanta ne aveva di amputarsi a morsi entrambi i pollici, ma facendolo lo stesso perché era suo dovere. Nonché per poter uscire più in fretta da quel sotterraneo e tornare al mondo vero. Entrò nella stanza.

Nulla pareva cambiato rispetto a quando Leonardi gli aveva ordinato di andarsene. Il supporto era al suo posto sulla escrescenza carnosa, il pupazzo di Madre era rimasto dove lo ricordava lui, tutto era bene, tutto era bene e tutto era bene. E se nessuno avesse parlato, magari tutto sarebbe rimasto bene anche dopo. Qualunque cosa avessero deciso, Petkovic non lo voleva sapere. Ignoranza è sicurezza, ignoranza è pace, ignoranza è beatitudine. Col tempo si sarebbe dimenticato di tutto, inclusi i dubbi che Staplewood gli aveva ficcato in testa. Maledetto lui e il suo amato ministro.

Nessuno parlò. Il generale raccolse il dispositivo con la copia di Leonardi, lo ripose nella custodia e salutò il pupazzo di carne con un cenno del capo, non perché ci fosse davvero bisogno di salutare o di altri gesti di cortesia, ma perché lo faceva sentire meglio. Il pupazzo ricambiò il cenno in silenzio e Petkovic uscì, passo rapido e occhi bassi. Karlsson li aspettava in piedi, pronto a riaccompagnarli alla base del pozzo. Neppure lui parlò. Ottimo.

Il silenzio magico si ruppe durante la risalita. Fu Leonardi a parlare. «La conferenza di quel ladro di Svarga ci sarà,» disse. «Vedremo quanto gli piacerà poi.»

«Quindi la trattativa si è conclusa bene?» chiese Petkovic, senza volerlo davvero sapere.

Leonardi emise un suono che poteva ricordare uno sbuffo, se prodotto da qualcuno o qualcosa non al momento dotato dei polmoni necessari per sbuffare. «No che non si è conclusa bene. Se si fosse conclusa bene, quel pagliaccio non sarebbe mai entrato nella nostra colonia. Ma si è conclusa e ogni cosa che si conclude è sempre migliore di una cosa non conclusa. E poi avremo anche noi la nostra parte. È uno scambio,» aggiunse. «Noi non obbediamo agli ordini di altri.»

Petkovic non gli credette, ma non approfondì. Un nuovo gruppo di stranieri, di certo da controllare. Dopo l’allegra comitiva agniana, sotto coi boy scouts di Svarga. Altro lavoro extra per i suoi uomini e altri fastidi extra. Che poi in teoria se ne sarebbe dovuto occupare Staplewood, ma si sapeva come fosse quello: Hass era a favore degli accessi aperti, così Fidobau Staplewood avrebbe fatto tutto ciò che il padrone gli diceva. Non avrebbe sorvegliato gli svarghiani e allora chissà cosa avrebbe fatto il loro “fedele alleato” Madre? Perché la richiesta di accesso era venuta da lì, quindi Madre ne voleva fare qualcosa. Era ovvio. Inevitabile.

Per la prima volta Petkovic si sorprese a pensare a quanto apparissero simili le intenzioni di Hass e di Madre. Entrambi volevano maggiori accessi al pianeta. Perché? Era un caso? Oppure c’entrava in un qualche modo ciò che era accaduto quando Staplewood aveva accompagnato Hass in fondo a un pozzo, una dozzina di anni prima? Di nuovo Petkovic decise che era meglio non indagare. E in ogni caso Leonardi sapeva di certo già tutto, giusto? Sapeva sempre già tutto, il caro vecchiaccio.

Quando furono di nuovo in superficie, il tardo pomeriggio era una distesa grigia sopra di loro, dove i raggi di un sole al tramonto dipingevano scarabocchi espressionistici che non avevano alcun senso ma erano belli da vedere, per chi possedeva una inclinazione artistica, poetica o variazioni sul tema. Petkovic non ne possedeva, ma era ugualmente felice di essere all’aria aperta, e aria pura, non aria filtrata da chissà cosa e scaldata da chissà cosa. Era come rinascere. Forse. Non che lui sapesse poi come fosse rinascere, o anche solo nascere per la prima volta, dato che quando gli era successo non aveva ancora posseduto un grado di coscienza sufficienze ad accorgersi degli eventi e conservarne una memoria, ma era lo stesso come rinascere. Doveva essere come rinascere, no? Una sensazione così bella, rigenerante, pura... Era anche il momento in cui avrebbe consegnato Leonardi ai tecnici che si sarebbero occupati di copiare il contenuto del dispositivo di supporto e inviarlo di nuovo sulla Terra, a ricongiungersi con l’originale, e questa era un’altra nota lieta.

Il grande capo era una brava persona, lui non lo avrebbe mai messo in dubbio, per carità, ma era una di quelle brave persone che diventano ancora più brave e care quando sono a distanza di sicurezza da te. Diciamo una trentina di anni luce, tanto per cominciare. Perché la distanza rende il ricordo più caro e palle varie, come dicevano alcuni. Forse era vero e forse no. Con Leonardi lo sembrava.

Cosa sarebbe accaduto adesso con Svarga? Ma non era un problema suo, non all’inizio. Si sarebbe attivata la macchina burocratica, rimbalzando dal governatore al suo vice, agli istituti di ricerca e ai rami dei governi di entrambi i pianeti e alla fine quel professore svarghiano sarebbe arrivato da loro, su Madre, per tenere la sua conferenza o quello che era. Invitato dal pianeta stesso. Perché? Per una ragione nota al pianeta stesso e probabilmente adesso anche a Leonardi, ma non a lui. Cosa che al generale Petkovic andava benissimo. Aveva avuto il suo assaggio di cosa accadesse dietro le quinte e non lo aveva digerito: il resto del banchetto lo lasciava con gioia ad altri. Lui avrebbe pensato solo a fare il proprio lavoro e a farlo bene. Il suo lavoro era obbedire al gran capo.

Il suo dovere era sperare che tutto si sarebbe concluso bene. Prima o poi. In un modo o nell’altro. Se solo fosse riuscito anche a crederci davvero, allora sarebbe stato molto meglio.