Adriano - racconti e altro

La galassia di Madre - 64

George Gemelos, direttore dell’Ufficio per la Colonizzazione terrestre, non era una persona felice. Non lo era mai stato spesso nel corso della propria vita e non lo era mai stato a lungo, per quanto lui potesse ricordare, ma erano dettagli insignificanti, ora come ora. Dettaglio significante era invece il suo non essere una persona felice in quel preciso periodo e in quel preciso momento dentro a quel preciso periodo. Il fatto di essere anche direttore dell’Ufficio, ossia persona responsabile di tutte le decisioni, era un dettaglio extra, purtroppo alla base della sua suddetta infelicità.

Perché era direttore e responsabile, sì, ma solo sulla carta. In teoria. Su un piano iperuranico o giù di lì. Di fatto, Gemelos era solo un nastro trasportatore: riceveva gli ordini dal dottor Leonardi e girava gli ordini ai vari reparti. Firmava. Annuiva e sorrideva. Appariva agli incontri pubblici. Stringeva le mani. Maneggiava la paccottiglia farlocca dei rapporti interpersonali. Pensava? Incidentalmente, di tanto in tanto, ma sempre e solo su piccola scala. Sul piano personale, entro orizzonti domestici. Chi si occupava di prospettive ampie, disegni complessivi, strategie a lungo termine, minestra o finestra, credere obbedire combattere, era sempre e solo Leonardi. Leonardi era grande e Gemelos era il suo zerbino. Non una bella vita, non quella che aveva sognato da bambino, ma poteva andargli peggio, tutto sommato. Come stava succedendo adesso, per esempio.

Leonardi era stato ricoverato d’urgenza. Il che era male, ma non un evento così drammatico come si sarebbe potuto pensare. Era già successo diverse volte in passato e tutto si era sempre risolto per il meglio e in tempi moderatamente rapidi. O si era risolto per il peggio, a seconda dei punti di vista e delle aspettative personali. Leonardi finiva in ospedale, ci spendeva qualche giorno o una manciata di settimane, si faceva rattoppare e sostituire pezzi, alla fine tornava in ufficio, più vitale del peggior morbo indebellabile, per la gioia di chi era perduto senza di lui e la disperazione di chi desiderava di potersi finalmente liberare del vecchione fossile. Gemelos apparteneva alla prima categoria, obtorto collo e solo da quando era stato punito per i suoi peccati con la promozione a direttore.

Ma Leonardi era stato ricoverato d’urgenza, dicevamo, e i problemi erano cominciati da lì. Perché il ricovero non era avvenuto forse nel momento peggiore possibile, ok, forse si poteva immaginare un momento peggiore, se si era pessimisti a sufficienza e fanatici del genere horror, ma se non era il peggiore possibile, allora poteva almeno guadagnarsi di diritto un posto nella top ten, almeno nella modesta opinione di George Gemelos. Perché Leonardi all’ospedale sembrava aver fatto saltare un tappo e tutto aveva cominciato a succedere, in fretta e da più parti. Come se il destino avesse deciso di accanirsi contro di lui, lui George, lui povero fesso rimasto sulla poltrona bollente. O come se la notizia del ricovero avesse raggiunto le persone giuste lungo canali assai confidenziali e ai margini della legalità e le suddette persone giuste avessero deciso di approfittarne per un attacco frontale, il che era molto più prosaico ma anche più realistico che appellarsi al fato.

Fosse come fosse, Leonardi finisce in ospedale. Qualche giorno dopo, ecco che la fondazione Chen-Cohimbra annuncia la favolosa scoperta rivoluzionaria compiuta da un suo dipendente, il professor Chang. Il che non è vero. Aaron Vihersalo, capo planetologo dell’Ufficio, corre subito a spiegare al direttore Gemelos che la scoperta era da attribuire a un giovane planetologo dell’Ufficio, un certo Stratos, il quale aveva promessi di non divulgarla. Quel Chang gliel’aveva rubata. Ergo, l’Ufficio aveva il dovere legale e morale di denunciare il ladro e fare causa alla fondazione Chen-Cohimbra, se non avesse riconosciuto il furto e collaborato al trionfo della giustizia. Leonardi non avrebbe mai esitato. Leonardi li avrebbe denunciati all’istante.

Solo che Leonardi era in ospedale, in presunto coma farmacologico, e Gemelos era il direttore, sulla carta. Igienica, nel caso specifico. Quindi toccava a lui fare le veci del malato e procedere con una denuncia. Lo aveva fatto, con l’entusiasmo di chi non aspetta più nulla. C’era stata la solita attesa, che caratterizzava le comunicazioni interplanetarie tra sistemi solari diversi. C’erano stati i mugugni di Vihersalo, ottimi e abbondanti. Infine la denuncia era arrivata alla fondazione su Svarga, o per lo meno nella mani di qualche pezzo grosso svarghiano, perché a breve distanza (breve da intendersi sempre in termini astronomici) era arrivata la risposta dell’ambasciatore di Svarga sulla Terra. In toni alquanto accesi e coloriti, nonché diversamente diplomatici. L’ambasciatore terrestre su Svarga aveva risposto alla risposta in toni altrettanto coloriti, ma di tonalità diverse. Lo scambio cromatico era poi proseguito tra le ambasciate e ancora non se ne vedeva la fine, ma la temperatura saliva e di pari passo si accresceva anche l’infelicità di Gemelos, contendente suo malgrado.

Tutto questo sarebbe stato già brutto a sufficienza, ma era solo una parte del problema. Una parte grossa, senza dubbio, perché tensioni diplomatiche tra Terra e Svarga non faceva felice nessuno, o almeno nessuno fornito di cervello e disposto a utilizzarlo, il che in effetti riduceva di parecchio il numero degli infelici sui due pianeti, ma per Gemelos era emerso un altro guaio proprio nel mezzo degli scambi cromatici tra le ambasciate. Era emerso proprio su Madre, dove operai o qualcosa del genere avevano trovato una pietra identica o quasi a quella che esisteva su Agni.

Era una pietra di probabile origine artificiale, gli avevano detto. Poteva dimostrare che tra Madre e Agni c’erano stati contatti, tre o quattro milioni di anni prima. Da Madre ad Agni, probabilmente, ma il contrario non poteva ancora essere escluso con certezza, non senza nuovi e più approfonditi studi che coinvolgessero entrambi i pianeti. E quello era il problema. Entrambi.

A Leonardi non piacevano aggettivi di quel tipo. Quando si parlava di Madre, sia come pianeta sia come sistema solare nel complesso, per Leonardi esisteva solo il singolare, da declinare sempre nel caso “Terra”, che non era forse un caso riconosciuto dai grammatici, ma era l’unico accettato da lui. Madre apparteneva alla Terra: nessuno dei mondi coloniali aveva alcun diritto di metterci il becco o altre parti della propria anatomia, reale o figurata che fosse. Ma un qualche circolo di studiosi su Agni continuava a premere sull’ambasciatore terrestre in loco, insistendo che fosse loro concesso il permesso di inviare un gruppo di ricercatori su Madre, per collaborare agli studi sul reperto appena trovato e blablabla, bene supremo della scienza e palle varie. Insistevano parecchio. Insistevano più o meno tutti i giorni, con la caparbietà di una zanzara femmina affamata.

E Leonardi non c’era. Lo avrebbero dovuto dimettere già da qualche tempo, almeno secondo quanto aveva comunicato la clinica in un primo momento. Poi c’era stato un secondo momento e la clinica privata dell’Ufficio aveva comunicato qualcosa di diverso, per alcuni meno piacevole, per altri più piacevole. Leonardi doveva essere trattenuto ancora per qualche tempo, causa varie complicazioni che erano sopraggiunte durante la prima fase della convalescenza. Niente di sorprendente, quando il paziente si aggirava attorno ai centodieci anni, ma non era quello il punto. Il punto era che Leonardi non sarebbe tornato ancora per un certo periodo e Gemelos, il direttore Gemelos, si sarebbe dovuto arrangiare da solo, con due pianeti a incalzarlo come cagnacci idrofobi. C’era da piangere.

Gemelos non piangeva, per il momento, ma contemplava depresso le possibilità che si aprivano nel suo futuro immediato. Il problema di Svarga era qualcosa che ormai travalicava qualsiasi limite le sue forze avessero. Era partito come denuncia dell’Ufficio nei confronti di uno studioso svarghiano, reo di essersi appropriato dei risultati delle ricerche di un dipendente dell’Ufficio stesso e averle poi pubblicate a proprio nome: non un caso da manuale, ma abbastanza comune e non preoccupante, da un certo punto di vista. C’erano precedenti ed erano quasi tutti favorevoli al denunciante. L’Ufficio avrebbe vinto in tribunale, oppure in un possibile accordo fuori dai tribunali. Solo che. Solo che era cresciuto, quel caso, si era ingrassato, gonfiato, aveva tracimato e adesso sembrava lanciato a tutta velocità per diventare un problema politico tra i due pianeti. Perché? Gemelos non lo sapeva.

Ne aveva discusso con Vihersalo, in quella che Bogdan Stratos avrebbe descritto allegramente come una riunione ad alto tasso di incapacità. George Gemelos non sapeva bene cosa ci fosse dietro alla scoperta, che implicazioni avesse e, se proprio si voleva andare al punto, perché contasse tanto. Per il prestigio, d’accordo. Per il principio, ok. Per imporre sempre e comunque la propria volontà, passi pure. Ma sotto sotto, voglio dire, se proprio ci pensiamo bene, se togliamo tutta la retorica e i vari addobbi, cosa ha di tanto importante? Vihersalo non lo aveva voluto dire. Aveva preso tempo, si era contorto in allusioni contorte, aveva svicolato in vicoli oscuri, aveva storto la bocca e riassettato la pettinatura, aveva fatto questo e quello, purché il questo e il quello non fossero rispondere.

Gemelos si era arreso. Era direttore, d’accordo, e questo lo autorizzava probabilmente a ordinare al professor Vihersalo di spiegargli cosa ci fosse dietro tutta questa storia dei giganti gassosi, ma alla fine aveva lasciato perdere. C’era il rischio che il planetologo capo gli rispondesse davvero. Così si era preso una piccola rivincita delegando a Vihersalo la questione della denuncia, in quanto era il suo settore a essere la vittima e quindi era cavolacci suoi, per la miseria. Delega non apprezzata, ma accettata con una smorfia.

Restavano Agni e la pietra. Gemelos aveva consultato il Governatore Rossi sulla possibilità, prima o poi, di accogliere sul pianeta una piccola delegazione di Agni, che voleva collaborare agli studi sul nuovo reperto. Maureen Rossi gli aveva abbaiato che non erano affari suoi, non era sua competenza, lei governava il pianeta, non perdeva tempo dietro ai sassi, quello lo faceva semmai la sua vice, ma in ogni caso non avrebbe accettato una delegazione neppure impanata o impagliata, non senza aver ricevuto un ordine esplicito dal Dottor Leonardi. Gemelos aveva sospirato e annuito. Più o meno la risposta che si aspettava. Direttore di nome ma non di fatto, semplice segnalibro del Grande Capo.

Qualche tempo dopo aveva consultato anche il vice governatore di Madre, Sonja D’Antona, che era archeologa e, come tale, forse meglio disposta ad ascoltare le richieste dei colleghi di Agni. Non era da escludere che fosse possibile rifilare a lei l’intera faccenda, o almeno così sperava Gemelos. Chi meglio della responsabile degli scavi su Madre, nonché degli studi delle rovine aliene, per risolvere il problema di un gruppo di studiosi che volevano indagare su uno strano reperto? Era chiaro che lei era la persona più indicata e si sarebbe fatta carico del fastidio, risolvendo un problema irrisolvibile per il direttore, se il direttore rispondeva al nome di George Gemelos.

Al termine del colloquio a distanza era chiaro che il problema non glielo avrebbe risolto lei. Sonja D’Antona gli aveva spiegato che sì, era stata lei a informare il centro di ricerca su Agni e sì, avrebbe continuato ad aggiornarli sugli sviluppi, fornendo loro tutti i dati che aveva il permesso di fornire. Il problema era accogliere una delegazione fisica. A quello non possedeva l’autorità per acconsentire, non senza un ordine esplicito del direttore dell’Ufficio per la Colonizzazione, che era la persona a cui spettava, in ultima istanza, la decisione su tutti gli accessi alla colonia terrestre. Se il direttore Gemelos avesse acconsentito ad autorizzare la spedizione di Agni, lei sarebbe stata più che felice di occuparsi poi dell’organizzazione concreta. Il responsabile sommo e indiscutibile, però, era lui, non lei. Almeno per un dato valore di indiscutibile.

Responsabile! Parola che Gemelos associava sempre a un significato molto specifico, ossia quello di persona che ha commesso un qualche reato. Dal suo punto di vista era la base su cui poggiava il suo altro significato, ossia quello di persona che si fa carico delle conseguenze di una certa azione. Parere che probabilmente non avrebbe convito un filologo, ma convinceva lui e tanto bastava, dato che era per l’appunto il suo parere. E lo chiamavano ad assumersi la responsabilità di qualcosa! Lui, che di tutte quelle storie di pianeti rivali non sapeva nulla. Lui, che avrebbe soltanto desiderato una quieta vita da pianta grassa in vaso, un lavoro epicureanamente nascosto, fatto di anonime posizioni di irresponsabilità totale, ombra pace e silenzio. Adesso gli chiedevano addirittura di autorizzare la spedizione di studiosi di Agni, i quali avrebbero investigato su una pietra, reperto di Madre, quando tutti sapevano che Leonardi avrebbe mangiato il cuore ancora pulsante di chiunque osasse mettere il dito più piccolo (ossia il mignolo, salvo malformazioni o incidenti) nel suo parco giochi privato.

Pure, era logico che lo chiedessero a lui. Era il direttore. Era il capo dell’Ufficio. Era la persona che possedeva la responsabilità di decidere il destino di pianeti. Di quasi pianeti. Destino in senso molto lato e retorico. Una persona molto importante, in ogni caso. Il vero problema era che quella persona molto importante era anche George Gemelos, persona molto inetta, ombra anonima di Leonardi.

E Leonardi era ricoverato. Quando lo avrebbero dimesso? Gemelos aveva chiesto, ma ancora non si poteva dire con certezza. Forse qualche giorno, forse un paio di settimane. Alla sua età, e nelle sue condizioni fisiche, la cautela non era mai troppa. Lo avrebbero dimesso soltanto quando il paziente fosse stato del tutto e clinicamente guarito. Non prima. Mai!

Gemelos apprezzava la dedizione alla causa di quel medico, ma poteva già piangerne il destino, che prevedeva quasi certamente la disoccupazione terminale, se stava negando il rientro in ufficio a un Leonardi cosciente e consapevole. Forse la soluzione migliore sarebbe stata di andare lui stesso alla clinica e interrogare l’oracolo di persona. Soluzione che lo terrorizzava, ma che probabilmente lo avrebbe alleggerito dalla pressione. Forse. Con parecchia fortuna. Ci andò così, a testa bassa e col capo coperto di cenere, un sabato pomeriggio che lo aveva visto attendere speranzoso il ritorno del suo padrone, come il cane fedele che si lascia morire sulla tomba e così via. Siccome il padrone non tornava, al cane fedele toccava corrergli incontro, scodinzolando.

Leonardi era solo, era cosciente ed esprimeva tutta la gioia di un cobra a cui qualcuno ha pestato la coda. O il corpo, se i serpenti erano considerati un blocco unico. Gemelos non lo sapeva, ma non gli sembrava una conoscenza di fondamentale importanza, al momento. Al momento era molto, molto più importante lo sguardo con cui il paziente assai impaziente lo accolse, all’ingresso nella stanza singola in cui era ricoverato. Era il genere di sguardo a cui sono probabilmente sottoposte le mosche impigliate in una ragnatela, mentre il padrone di casa si avvicina affamato.

«Cosa c’è?» cercò di ringhiare Leonardi, con una voce da palloncino sgonfiato. «Con tutto quel che sta succedendo in Ufficio vieni qui a perdere tempo da me, invece di lavorare? Ma che razza di un direttore saresti, eh?»

Il segnalino che hai messo tu sulla poltrona, gli avrebbe voluto rispondere Gemelos. Non lo fece: il suo istinto di sopravvivenza glielo sconsigliava di tutto cuore. «Sono venuto qui a trovarla solo per verificare il suo stato di salute, sa,» disse invece. «All’Ufficio non ci sono arrivate notizie precise e si era tutti un poco preoccupati, sa, con la sua assenza prolungata e i problemi...»

«Non siete neanche capaci di soffiarvi il naso da soli, voi. No, no, non si può continuare così. Non è ammissibile che mi tengano bloccato in questo letamaio, con tutto quello che ho da fare. Non posso permettere che questa cosa succeda di nuovo. Perché nessuno ha attivato una delle mie copie, eh? E io che le ho preparate apposta! Copie della mia personalità, per sostituirmi quando non posso. Ma in Ufficio nessuno le attiva, eh? Bravi, bravi! Siete un mostro di competenza, siete.»

«Lo sa che secondo la legge non possiamo...»

«Non potete cosa? Non potete pensare? Hah! Non c’è bisogno di una legge, per quello. Voi proprio non pensate mai, legge o non legge. Non siete stati progettati per pensare, voi.»

Gemelos respirò a fondo, ma non servì. Non sembrava esistere nei suoi polmoni un fondo che fosse fondo a sufficienza per seppellirvi tutto quello che Leonardi diceva. O cigolava, perché al momento la sua voce sembrava soprattutto quello. Il cigolio da vecchio catorcio arrugginito. Ma lo avevano operato all’intestino, no? Possibile che un intervento all’intestino ti riducesse anche la voce? Beh, considerato che in Ufficio molti concordavano sul fatto che Leonardi era una gran faccia da una certa parte dell’apparato digerente, sul piano figurato poteva esserci una connessione.

«Abbiamo avuto diversi problemi all’Ufficio, negli ultimi tempi, e nessuno ha pensato...»

«Nessuno pensa mai. Questo è il vostro problema. Comunque lo so già, mi hanno avvisato. Non tu, per carità, che eri troppo occupato a non pensare, lo so. Svarga, eh? Hanno ricominciato, eh? E si permettono di venirci a rubare le ricerche, pure. Ricerche su Madre. Non la sanno la legge, quella che piace tanto a te, eh? Li sistemo io. Aspetta che esca e li sistemo io.»

«E quando dovrebbero lasciarla uscire?»

«Subito, o sarà quella capra di un medico a uscire. A calci e dal retro. Mi tiene qui bloccato a letto, mentre incapaci come voi si contano le caccole, invece di fare qualcosa con la vostra inutile vita.»

«Beh, io ho avviato l’azione legale contro la fondazione Chen-Cohimbra. Il nostro ambasciatore e il suo collega di Svarga ne hanno già parlato più volte e c’è una certa tensione tra i pianeti che...»

«Sì, sì, posso immaginare cosa hai fatto. Hai scritto la letterina per Babbo Natale, eh? E adesso te ne stai li ad aspettare che Svarga ti porti i regali, eh? Continua così che andrai lontano, guarda. E quel planetologo, quel coso, è rientrato? Cosa ha detto del furto?»

«Dice Stratos, quello che abbiamo mandato su Svarga?»

«No, dico lo scheletro di mia nonna riesumato. Certo che dico quello che è andato su Svarga, visto che stiamo parlando di Svarga. Cosa me ne frega dei planetologi che sono andati da altre parti?»

«È rientrato ed è tornato a lavorare nel reparto di planetologia, presso il professor Vihersalo. Non so cosa faccia di preciso, ma se vuole glielo posso riferire dopo aver parlato con...»

«No, no, lascia perdere. I tuoi neuroni potrebbero sudare troppo. Lascia che se ne occupi il nostro reparto legale, per adesso, che uno come te farebbe solo danni. Tanto, finché non sarò tornato io, la sola cosa che potrete combinare sarà perdere tempo e farvi deridere da mezza galassia. No, no, non è possibile continuare in questo modo. Quando mi succede qualcosa, la più recente delle mie copie si dovrà attivare subito e prendere il mio posto, fino a che non sarò di ritorno. Per cosa perdo tempo a riprodurre la mia personalità, se poi nessuno di voi le usa? Siete inutili, davvero.»

George Gemelos chinò ulteriormente il capo. Sapeva già che sarebbe stato brutto, ma ciò che ancora non sapeva era quanto lo sarebbe stato. Molto. Molto peggio di quanto avesse ipotizzato. Starsene lì da solo in un letto di ospedale, senza nessuno da tiranneggiare... Quanto veleno aveva accumulato il vecchione? Quanto risentimento aveva ammassato la fetida mummia? Quanto sarebbe stato bello, sia per sé che per il mondo, strangolarlo col cavo del catetere? Dopo averlo strappato con forza dal punto in cui era infilato al momento, per sottolineare il concetto. Orribile carcassa imbalsamata.

«Cos’è poi questa storia di una nuova pietra trovata su Madre, eh? Altra gente che pretende di darci ordini e venire a ficcare il naso nei nostri affari, eh? Vedi di spiegarmelo per bene, che quella scema della Rossi non sa neanche da che parte ha la testa. Non che tu sia meglio, per carità.»

Gemelos spiegò. Avevano trovato una pietra, forse di origine artificiale, in apparenza scolpita, che era quasi identica a una trovata più di dieci anni prima su Agni, eccetera eccetera. Da Agni erano già arrivare richieste di autorizzazione per una spedizione scientifica, che voleva unirsi ai ricercatori su Madre per studiare assieme il reperto. Leonardi ascoltò in silenzio, con l’espressione di chi sta solo facendoti un favore ascoltando quello che dici, perché tanto sa che sono tutte cazzate.

«Tutto qui?» chiese alla fine. «E tu magari hai già dato il permesso, eh?»

«No, non ho ancora dato il permesso, perché...»

«Non ancora, eh? Stai pensando di autorizzarli, incapace che non sei altro, vero? Ma sì, perché no? Portiamoci altra gente su Madre, già che ci siamo. Più gente c’è e più bestie si vedono, vero? Sotto con una vagonata di ficcanaso, che se ne vanno in giro a frugare e spiare ovunque. Tanto cosa vuoi che sia, non c’è niente di interessante da vedere, no? Ma bravo, bravo!»

Gemelos pensava che sì, in effetti non è che ci fosse molto di interessante da vedere su Madre. Solo le rovine, se appartenevi alla categoria di persone che le trovava interessanti, e anche in quel caso il pianeta offriva poco da vedere, se non eri archeologo e possedevi svariati permessi. Che poi, suvvia, diciamolo pure: erano solo quattro sassi consumati ed erosi. Lui non ci avrebbe perso il sonno. «Era mia idea autorizzare magari un piccolo gruppo, per manifestare buona volontà e, non so, migliorare i nostri rapporti con Agni, che in fondo è il pianeta abitato più vicino a Madre, e...»

«No. Tu non li autorizzi. Non autorizzi un bel niente. Madre è affare mio. Tu sei solo un oggetto, un segnaposto. Vedi di non dimenticartelo. Tu prendi ordini e li esegui, perché quando pensi, credi o ti inventi qualche idea sono solo cazzate. Io decido e tu obbedisci. Per questo sei il direttore.»

Gemelos era abituato a essere trattato così. In linea di massima. Generalmente. Grossomodo. Lo era per costituzione e per abitudine, forzata abitudine, accumulata negli anni all’Ufficio, soprattutto da quando era stato promosso a direttore. Tutti i dialoghi con Leonardi si svolgevano allo stesso modo, col vecchiaccio che ordinava e lui che obbediva. Sempre. Incessantemente. E mai che la carcassa gli avesse mostrato un minimo di rispetto, un frammento smangiucchiato di umanità. In via del tutto teorica, Gemelos poteva anche ipotizzare che in passato, un passato distante forse un secolo, doveva essere esistita anche una qualche forma di educazione nella vita di Leonardi. Magari non molta, una leggera patina appiccicata sopra la sua intelaiatura, una mano di lacca o qualcosa del genere. Giusto per dare l’impressione che, no? Se mai c’era stata davvero, però, era chiaramente evaporata con gli anni, o si era essiccata, o altro ancora. Rimaneva solo un carapace coriaceo, in parte naturale e in parte artificiale, che si muoveva, parlava e ordinava.

Aveva mai contemplato altre forme di vita come qualcosa di diverso da oggetti da prendere a calci o a cui dare ordini? Aveva mai avuto amici? Familiari? Qualcuno? George Gemelos fissava il letto e il teschio coperto di pelle che spuntava dalle lenzuola, faccia dove quasi nulla suggeriva che ci fosse ancora qualcosa di vivo là dietro. Era un vecchio, un vecchione, un vecchiaccio, dal corpo in lento disfacimento e uno spirito rinchiuso in una casa marcia, che urlava e non voleva morire. Sempre che uno spirito esistesse, cosa su cui Gemelos dubitava, ma in qualche modo bisognava pure chiamare il miscuglio di reazioni chimiche e cattive abitudini che fa funzionare il corpo: spirito pareva un nome buono come un altro. E quello di Leonardi si aggrappava con unghie e denti a qualsiasi cosa, pur di non lasciarsi spazzare via dall’entropia e dagli anni. Lo avrebbe anche potuto compatire, il direttore, se solo quella mummia non fosse stata un così gran pezzo di merda.

«Sono il direttore perché obbedisco ai suoi ordini, lo so,» rispose poi, voce bassa e capo chino. «È il modo in cui funziona l’Ufficio: lei ordina e noi obbediamo.»

«Stai facendo dell’ironia? Credi di essere spiritoso, eh?»

«No. Obbedisco. Eseguo gli ordini.»

Leonardi lo fissò ancora un poco, incerto e infastidito da qualcosa che non riusciva a vedere. Forse un effetto collaterale di tutta quella roba che gli iniettavano. Hah! Incompetenti di medici. Tenerlo lì bloccato, con tutto il lavoro che si accumulava e dipendenti deficienti che chissà cosa combinavano, con le loro teste vuote. Anzi, non vuote, che vuote sarebbe stato bene. Piene di gas intestinali erano. Solo peti potevano produrre, quei crani. Liquidò in malo modo il facente funzione di direttore, che gli aveva appestato anche troppo l’aria, poi chiuse gli occhi e si abbandonò sul cuscino. Era stanco. Forse sarebbe stato davvero meglio esaminare altre possibilità per il futuro. Qualcosa per cui non gli sarebbero serviti ospedali e medici, tanto per cominciare.

Gemelos uscì nella luce grigiastra di un pomeriggio nuvoloso. L’incontro con Leonardi era stato più o meno il solito, piacevole come essere cinghiati a morte mentre si è seduti sulla tazza del gabinetto. No, forse era stato un poco peggiore rispetto al solito, perché di solito gli ordini glieli dava da dietro la scrivania, il che almeno garantiva una certa autorità e rispettabilità al tutto, su un piano formale. Essere insultati e trattati come immondizia da un omino bloccato in un letto di ospedale, con mezzo intestino rifatto e più rattoppi di un catorcio passatista, era una esperienza del tutto diversa, e non un cambiamento in meglio. Decisamente no. Era stata una pessima idea passarlo a trovare.

Era stata una pessima idea anche entrare all’Ufficio, anni e anni fa, così come erano state pessime molte altre idee successive, che nel complesso avevano formato la sua vita ed erano diventate lui, il direttore Gemelos. Un coacervo di pessime idee, se proprio la si voleva mettere così. Ne aveva però ricavato qualcosa, da quella visita. Un indirizzo, una via, un ordine. Un comando. Cosa fare? Ma è ovvio: obbedire. Sempre sia lordato il nome del grande dottore.

No. Il pensiero lo colse così improvviso da inchiodarlo sul marciapiede. Poca gente attorno a lui, un traffico scarso o nullo in zona, tutto tranquillo, tutto pacifico. Tranne che nella sua testa. No.

Aveva riflettuto parecchio sulla richiesta di quel centro studi di Agni, nel corso degli ultimi giorni. Aveva riflettuto parecchio anche sul problema di Svarga, la denuncia presentata contro quella loro fondazione, il professore ladro e tutto il resto, ma quelli erano problemi legali, problemi complessi, che avrebbero tirato dentro più o meno di tutto e minacciavano di diventare troppo grandi non solo per le capacitò di Gemelos, ma anche per la sua immaginazione. Meglio ignorarle, finché si poteva, e lasciare ad altri il compito di portarle avanti. Ma il problema di Agni era più semplice. A misura di uomo. Comprensibile. C’era un istituto di ricerca, sorto attorno alla pietra trovata su Agni. Studiarla era lo scopo che si era assegnato. Non un grande scopo, d’accordo, ma c’era di peggio nella galassia e in fondo non danneggiavano nessuno, a parte forse se stessi. Ma adesso avevano trovato una pietra quasi identica su Madre: l’istituto chiedeva di poterla studiare, ritenendo che fossero collegate e che si potessero ottenere risultati migliori da una collaborazione. Tutto semplice, logico.

Gemelos sarebbe stato disposto a dare il suo consenso. Non ci vedeva nulla di male. Avrebbe dato il suo consenso, se fosse dipeso solo da lui. Ma c’era Leonardi e Madre era affare suo. Tocca Madre e Leonardi toccherà te: era praticamente il motto non detto e non scritto dell’Ufficio. O almeno uno di tanti motti. Ne trovavi più o meno in ogni cassetto, se li volevi cercare, e ogni reparto aveva pronto un motto da spacciare come il motto. Dettagli. Il punto era che Leonardi non voleva autorizzare la spedizione e lui sarebbe stato costretto a obbedire e fare altrettanto, perché erano gli ordini del capo. E se solo avesse disobbedito agli ordini del capo...

Gemelos sedette su una panchina. Cosa sarebbe successo se avesse disobbedito agli ordini del capo? Seriamente, cosa sarebbe successo? Cosa gli avrebbe potuto fare Leonardi, se avesse ignorato il suo ordine? Cacciarlo dall’Ufficio, certo. Farlo licenziare. Rovinargli qualsiasi futura prospettiva di un lavoro in quel campo e in qualsiasi altro campo in cui Leonardi potesse mettere mano. Idea terribile e minacciosa, almeno per un giovane che avesse ancora tutta la vita davanti.

Ma per un quasi settantenne, solido sul piano economico e desideroso solo di un posto tranquillo, il più possibile lontano dai riflettori? Era davvero così terribile anche per lui? Era una minaccia così minacciosa? Con estrema sorpresa, Gemelos si accorse che no, non lo era. Disobbedire a Leonardi? E perché no? Cosa gli sarebbe potuto succedere di tanto brutto? Una carriera rovinata? Ma alla sua età che carriera poteva avere, ormai? Gli restava ancora poco e comunque la pensione sarebbe stata la benvenuta. Vita tranquilla, magari fuori città, senza responsabilità, senza pensieri: questo avrebbe dovuto spaventarlo? Questa sarebbe dovuta essere la frusta per tenerlo in riga?

Esplodiamo, si disse. Se proprio Leonardi si divertiva a insultarlo e maltrattarlo, tanto valeva dargli almeno una ragione valida. Disobbedirgli. Prendere i suoi preziosi ordini e stracciarli. Distruggerli. Mi urli in faccia che sono un deficiente? Bene! Da deficiente mi comporterò. Contento? Che poi, se ci pensava proprio bene, e Gemelos adesso ci stava pensando proprio bene, non era poi neppure così certo che una punizione qualunque ci sarebbe stata. Sì, Leonardi era grande, temuto, terribile. Certo. Ovvio. Ma era vecchio, e solo. L’Ufficio non gli obbediva più come una volta, c’erano brontolii e grugniti ovunque, c’erano scricchiolii, tremiti, un oceano di pressione che si accumulava sopra e tra i dipendenti, irrequietudine soffocata che era sempre a un passo dall’esplodere. Chi meglio di lui lo sapeva? Lui che era direttore dell’Ufficio? Ribellarsi contro Leonardi era il sogno proibito di tutti. Cosa sarebbe successo se proprio lui avesse acceso la miccia?

Nulla, forse. Perché era una miccia piccola, in fondo, e poi non è che gli sarebbe piaciuto finire nel mezzo di chissà quale rivoluzione. Voleva una vita tranquilla e pacifica, Gemelos, e l’avrebbe avuta in due modi: obbedendo sempre e comunque, oppure ribellandosi una volta e facendosi cacciare. La prima via non sembrava avere funzionato molto bene, finora. Perché non tentare la seconda?

Rimase ancora per un poco sulla panchina a crogiolarsi nella umidità, poi si alzò e ripartì. Camminò piano, senza fretta, e per gran parte del tempo non uscì dal proprio cranio, mentre i piedi seguivano la rotta abituale e lo portavano verso il palazzo dove aveva sede l’Ufficio. Entrò salutando. C’era un messaggio ad attenderlo: proveniva da Agni e portava la firma dell’ambasciatore. Non era neppure necessario aprirlo per sapere cosa gli avrebbe detto, ma Gemelos lo aprì ugualmente e il contenuto non lo sorprese. Solita storia, solita solfa. Sempre il centro di ricerca, che insisteva con la richiesta, e l’ambasciatore sollecitava una risposta dall’Ufficio per poter chiudere una buona volta il fastidio, nel bene o nel male. Gemelos lo avrebbe accontentato. Ne aveva appena parlato con Leonardi, no?

Forse stava facendo un errore o forse la cosa giusta. Per un dato valore di giusto, almeno. Nel pigro abbraccio della poltrona, il direttore si concesse una blanda riflessione sull’aggettivo, tanto spesso usato a sproposito, secondo il suo modesto parere. Giusto è tutto ciò che è conforme allo jus, ossia all’insieme delle leggi in vigore al momento. Quasi nessuno, però, lo utilizza più col suo significato originario. Adesso è soltanto un modo per etichettare la propria opinione e coprirla con una patina di rispettabilità, farla suonare come se fosse oggettiva, seria, imparziale, legittima, pepperepè. Non è giusto ciò che è conforme alle leggi, ma ciò che io arbitrariamente ritengo sia migliore in una data circostanza. Non più rispetto delle regole (se mai c’era stato davvero), ma puro arbitrio santificato.

Gemelos sospirò. E lui, cosa riteneva fosse giusto? Obbedire agli ordini di un vecchio che, sul piano strettamente legale, non possedeva alcuna autorità per ordinargli qualcosa? Perché Leonardi oggi non aveva più un rango preciso nell’Ufficio. Aveva trasceso i ranghi. Un tempo ne era stato lui il Direttore, ma adesso era formalmente un consulente anziano, rimasto in ossequio ai meriti e alle sue grandi conquiste. Un posto onorario, privo di potere legale. Eppure ordinava. Eppure comandava.

Era giusto? Era, e basta. Ma il direttore era Gemelos, adesso. Non lo aveva mai voluto, non avrebbe mai accettato l’incarico se fosse dipeso soltanto da lui. Ma gli era stato ottriato, il dottor Leonardi in persona glielo aveva scaraventato sul groppone e adesso era il ruolo suo, che non lo volesse o che lo odiasse. Era tecnicamente la suprema autorità dell’Ufficio. Secondo la legge, beninteso. Quindi la decisione di ignorare Leonardi era giusta. Anzi, non di ignorarlo: di opporsi direttamente a lui, alle sue fisime da vetusto. Era giusto, se lo si intendeva nel senso originario del termine.

Ma in fondo erano tutte seghe mentali, a cui si dedicava per rinviare il momento della scelta. Tutto era molto semplice, mortalmente semplice: obbedire a Leonardi e negare l’autorizzazione ad Agni, oppure disobbedire a Leonardi e concedere l’autorizzazione ad Agni. Tutto il resto non contava, era solo fumo negli occhi, aria fritta, perdita di tempo, cazzeggio spudorato e tremolante. Era il tempo di scegliere. Decidere. E forse uccidere la propria carriera. Sempre che ne avesse una.

Oh beh, si muore una volta sola. Tanto vale farlo col botto. George Gemelos, direttore dell’Ufficio per la Colonizzazione terrestre, si schiarì la gola, si sistemò meglio sulla poltrona e cominciò, con la voce più salda che sapesse trovare, a dettare la risposta all’ambasciatore terrestre su Agni. Avrebbe concesso all’istituto di ricerca il permesso di inviare una spedizione su Madre, per unirsi agli studi locali sulla pietra appena trovata. E poi, vada come vada.

Quella notte dormì bene, per la prima volta da anni. Dormì inaspettatamente bene. Niente pensieri, niente incubi, niente acidità di stomaco, niente di niente. Pace, solo pace. Aveva osato l’inosabile, sfidato l’insfidabile (ammesso e non concesso che esistesse una parola simile), aveva schiaffeggiato la guancia smunta e ammuffita di Leonardi e adesso... Adesso era tranquillo. Lo sarebbe rimasto a lungo, una volta che il sommo capo avesse scoperto la sua ribellione? Probabilmente no, ma adesso era adesso e al poi avrebbe pensato poi. E adesso era in pace.

Era ancora in pace il mattino seguente, quando rientrò all’Ufficio. Tutto era identico al giorno prima e a mille altri giorni prima, eppure tutto sembrava diverso. Più fresco. Più leggero. Più bello? Non esageriamo. Definire bello il palazzo dell’Ufficio sarebbe stato un crimine contro il buongusto, uno dei pochi punti su cui tutti i dipendenti fossero concordi. Tuttavia... Sì, Gemelos si sentiva di poter osare anche una menzogna e definirlo bello, in quel preciso momento. E forse era una delle ultime volte che lo avrebbe visto. Forse nel giro di un paio di settimane al massimo si sarebbe ritrovato sul serio nella casetta di campagna che sognava, solo con tutta la tranquillità di una vita pubblica ormai conclusa. Era un bel sogno, un sogno che valeva la pena di coltivare. Perché non sarebbe durato. Il destino o chi ne faceva le veci, ma a volte anche le feci, aveva in programma altro per lui. Che lui lo volesse o meno.