Adriano - racconti e altro

La galassia di Madre - 39

Nel suo piccolo e tranquillo appartamento di città, il dottor Vito Leonardi sognava. Era stata una giornata lunga e stancante, come lo sono quasi tutte le giornate, quando hai centonove anni e ancora non ti decidi ad abbandonare definitivamente i centri di responsabilità. Centri di responsabilità reali, sia ben chiaro: il simbolo formale della Poltrona lo aveva abbandonato, lasciandolo a quel povero fesso dell’attuale direttore Gemelos, ma il potere? Il controllo? La consapevolezza di essere l’uomo giusto al posto giusto, perno immobile attorno a cui il pianeta ruota, asse del creato, archimedeo punto di appoggio, palle varie? Quello no, non lo poteva abbandonare. Avrebbe significato perdere se stesso. Così era stata una giornata stancante, lunga e stancante, ma adesso sognava.

Sognava Madre. Sognava il suo viaggio su Madre, quando ancora il pianeta non si chiamava così, ma era solo un mondo abitabile, che la Terra aveva raggiunto per prima e su cui una spedizione, la prima spedizione, era incappata in un qualche piccolo e trascurabile problema, che l’aveva spazzata via senza lasciare tracce. Il più trascurabile dei problemi, appunto, anche se purtroppo nessuno sulla Terra aveva potuto appurare il come e il perché. Così era partita la seconda spedizione e a quella si era unito anche lui, lui Leonardi, allora Direttore dell’Ufficio per la Colonizzazione, la persona che amava considerarsi sobriamente come la più importante del pianeta, nonché in apparenza l’unica a saper svolgere ragionamenti logici, sempre secondo il suo modesto parere.

Per un dato valore di unirsi, almeno. Perché il suo corpo era rimasto al sicuro sulla Terra, mentre a partire era stata solo una copia della sua coscienza, salvata su un supporto esterno e consegnata nelle mani e nella valigia di un suo collaboratore di allora, il dottore Ian Portucci, haha, mai nome più adatto. Al ritorno della spedizione, Leonardi avrebbe poi recuperato le memorie accumulate nel supporto esterno, che era una scatoletta o poco più, e le avrebbe copiate all’interno della propria mente: sarebbe stato come se su Madre ci fosse stato davvero, ma senza tutti gli eventuali pericoli dell’esserci davvero. Così era avvenuto.

Era un meccanismo ottimizzato e utilizzato da tempo, per chi se lo poteva permettere e ne aveva la necessità. Era alla base del commercio interplanetario, sotto molti aspetti, e lo sarebbe rimasto fino a che le comunicazioni tra un sistema solare e l’altro non fossero migliorate a sufficienza da poter permettere messaggi in tempo reale a distanza di anni luce. Ancora non lo erano, né ci si aspettava che lo sarebbero diventate a breve. Così copiavi la tua mente, o il contenuto del tuo cervello e la tua personalità, ne realizzavi una simulazione pressoché identica all’originale ma senza quei fastidiosi limiti fisici e organici, e poi la spedivi a condurre le trattative al posto tuo, mentre tu te ne restavi in ufficio a continuare il tuo lavoro. O qualunque altra cosa tu facessi in ufficio.

Al ritorno della tua coscienza, o personalità simulata, o come preferivi chiamarla, bastava prendersi un’oretta o poco più, per studiare e assimilare tutte quelle memorie che tu stesso, o meglio la tua versione virtuale, aveva ritenuto importanti. E il viaggio era fatto, quasi in vestaglia e pantofole. E le trattative? Beh, le avevi condotte tu, dopotutto, un tu che non aveva bisogno né di mangiare, né di dormire, né delle altre caratteristiche che rendono umano e improduttivo un umano, incluse quelle fastidiose secrezioni ghiandolari volgarmente dette “emozioni”. Come poteva andare male qualcosa, se condotto in circostanze così ideali?

Leonardi aveva utilizzato lo stesso sistema, ma in una forma più radicale: invece di accontentarsi di una sinossi delle esperienze di viaggio, elaborata dalla propria versione virtuale, l’allora Direttore aveva voluto una integrazione completa delle memorie, per non perdere neppure il più piccolo dei dettagli, ma soprattutto perché non si sarebbe mai fidato di se stesso. Così aveva dormito, per tutta la durata della spedizione, e le memorie del suo doppio digitale erano state poi copiate e inglobate nulla sua coscienza originale, al ritorno della missione. Integrazione riuscita benissimo, tante grazie.

Così bene che ancora continuava a sognare di esperienze mai avute con quel corpo, o con qualsiasi altro corpo. Esperienze nel buio, nelle viscere di Madre. Come le stava sognando quella notte.

Aveva una inquadratura strana, quel sogno, l’inquadratura di chi è una scatoletta, trasportata in una valigetta da un ometto che sobbalza un pochetto mentre camminetta. Portucci, il dottor Portucci, il non compianto dottor Ian Portucci, dottore in quanto medico a differenza di Leonardi. Era buio, nel sogno, a parte le piccole luci degli uomini davanti a lui, e dietro di lui. Uno di loro era la sagoma inconfondibile dell’allora Comandante Hass, l’attuale ministro Hass, ed era stato soprattutto da lui che gli erano arrivate le altre informazioni sull’ambiente, informazioni che un inscatolato Leonardi virtuale non avrebbe mai potuto raccogliere, col un bagaglio sensoriale limitato solo a vista e udito.

Hass gli aveva raccontato che faceva caldo, là sotto, terribilmente caldo, e che il suolo era un poco cedevole sotto i piedi, quasi come camminare sulla gommapiuma, ma non proprio così elastico, non così morbido, era solo che non avrebbe saputo bene come definirlo. L’odore, poi... no, non lo potevi descrivere proprio. Aveva qualcosa di animale, ma animale era comunque la parola sbagliata. Era un odore vivo, questo sì. Un odore che non aveva mai sentito sulla Terra, per fortuna.

Così Leonardi aveva integrato quelle informazioni nel suo sogno, per quanto sia possibile integrare tatto e olfatto in un sogno, e adesso camminava a un’altezza improbabilmente bassa, sobbalzando, nel buio, al caldo e avvolto da un odore che il suo cervello aveva ricostruito come schifoso. Odore da pollaio, che una volta il Leonardi bambino aveva fiutato davvero, in una gita con la scuola, e non si era mai più riuscito a dimenticare. Non nei liquami in fondo alla mente, almeno.

Camminava al buio, o al quasi buio, e non c’erano suoni, a parte quelli dei loro passi, dei passi degli altri, se proprio si voleva essere precisi, e anche quei suoni erano attutiti, ovattati, come se stessero camminando su una morbida moquette, o un tappeto molto peloso, o qualcosa del genere. E sì, Hass gli aveva parlato anche di quello, e Leonardi lo aveva integrato alla meglio nel sogno. Che non era stato molto bene, come gli avrebbe potuto confermare uno qualunque dei partecipanti, ma nessuno di loro poteva assistere al sogno e così nessuna smentita sarebbe arrivata.

Poi ci fu l’incontro e lì Leonardi si svegliò. Perché era stato un incontro sgradevole, ancora più di quanto lo fosse stato nella realtà. Perché nel sogno di Leonardi ciò che vide camminare verso di loro fu sua madre, haha, che inconscio spiritoso, davvero. Sua madre, vecchia e malata come ricordava di averla vista per l’ultima volta, chissà quanti anni prima, in una stanza di ospedale. Ma non era in una stanza di ospedale, lì: era negli abissi di un mondo alieno, o nella sua ricostruzione onirica degli abissi di un mondo alieno, ed era buio, ed era caldo, e lei era nuda.

Così Leonardi si svegliò, nel suo piccolo e tranquillo appartamento di città. Ma non era tranquillo lui, anche se forse un poco piccolo sì, quell’aggettivo ci poteva stare, soprattutto se paragonato a un armadio come Andrea Hass, già comandante, ora ministro, e domani? Si passò la mano sulla faccia e la trovò sudata. Ma non c’era caldo, non lì, non in quella stagione. Quindi il caldo doveva essergli venuto da dentro. O dal sogno. Perché nel sogno faceva caldo, un caldo immaginato.

Quel sogno schifoso. Quello schifosissimo sogno schifoso. Ma come aveva potuto andarsi a sognare una roba del genere, eh? Con tutto quello che c’era, proprio sua madre? Sua madre vecchia e nuda? Sua madre nelle viscere di Madre? Chissà come sarebbe stato contento, quel vecchio depravato e incompetente di Freud! All’inferno anche Freud e tutti i sogni. Leonardi si alzò su gambe incerte, poi sedette di nuovo, tenendosi la pancia. Male. Molto male. Dove aveva messo le pastiglie?

Sul comodino, ovvio. Le prese, con acqua, e si calmò un poco. Non quanto avrebbe voluto, ma un poco sì. Il suo vecchio cuore malandato da vecchio continuava a battere come se avesse appena concluso una corsa o una qualche altra attività inutile di quel tipo, attività che ti fanno solo sudare e puzzare. E lui sudava, adesso, anche senza bisogno di correre, senza bisogno di caldo reale. Sudava.

Perché era il suo corpo che non funzionava più, ecco il punto. Se il corpo non funzionava più, anche la mente si perdeva dietro ad allucinazioni e fantasticherie. Squilibri chimici e palle varie. Dottore ma non medico, Leonardi lo sapeva: aveva accumulato anni di esperienza in un corpo malandato, ed erano stati più che sufficienti a insegnargli tutto ciò che doveva sapere sull’argomento. Tutto, sì, a parte l’unica informazione che sarebbe servita davvero. Come uscire da un corpo malandato?

Uscirne vivo, beninteso. Sapeva come uscirne in un altro modo, ma quell’altro modo non era di suo gradimento. Pure, prima o poi sarebbe successo. Non riusciva a immaginarsi un universo che non lo includesse in un ruolo di primo piano, ma forse doveva essere possibile, almeno in via teorica. Non lo voleva sperimentare, però. Non subito. Eppure.

Nel buio della sua stanza, seduto nel letto, Leonardi contemplava il nulla, ma anche gli eppure che si rotolavano dietro la sua fronte. Perché c’erano almeno due eppure a sua disposizione, se proprio lo avesse voluto. Il primo era un eppure già collaudato, anche se non ancora ben definito sul piano legale. Il secondo eppure, invece... beh, era stato collaudato anche quello, per certi versi. Collaudato da un suo stretto collaboratore, sebbene non fidato collaboratore, e anche il secondo eppure avrebbe sollevato alcune questioni legali, senza dubbio. Parecchie questioni, e le legali erano il meno.

No, solo il primo eppure. Il secondo non lo voleva neppure considerare, non lì, non al buio e non da solo. Salvare la propria coscienza e continuare a vivere come personalità virtuale, anche dopo la morte, era una soluzione non perfetta, certo, ma almeno collaudata ed efficace. Sarebbe stato anche divertente vedere le facce di tutti, all’Ufficio: proprio quando si erano illusi di potersi essere liberati di lui, ecco che gli spuntava davanti di nuovo, più spietato e insonne di prima! Ma il secondo eppure era da escludere. Sì. Escludere, dimenticare. Dopo che Hass era andato per l’ultima volta su Madre assieme alla moglie, vi era rimasto per quasi un anno e ne era tornato senza la moglie, persino uno come Leonardi si era dovuto porre qualche domanda. E aveva avuto qualche dubbio. Piccolo, ma lo aveva avuto. E se poi pensava alla figlia di Hass...

Tornò a seppellirsi sotto le coperte, ancora dolorante ma non più sudato. Sì, era comprensibile che il ministro Hass si fosse raffreddato parecchio sul conto di Madre. Umanamente comprensibile, per lo meno. Umanamente, però, era anche un avverbio che figurava di rado nelle riflessioni di Leonardi, soprattutto quando avevano a che fare col lavoro, o con ciò che lui percepiva come lavoro. Madre la percepiva come lavoro. Come molto più di lavoro. Come destino, se si poteva concedere una parola tanto scialba e mielosa, nonché troppo umana.

Il che lo riportava al sogno. E a quello che probabilmente aveva causato il sogno, o almeno la parte iniziale del sogno, cioè la camminata nel sottosuolo di Madre. Poi il sogno era degenerato, ok, come spesso succede coi sogni, ma il punto era un altro e quel punto era Madre. Il sospetto che aveva raggiunto Madre, il presunto ragazzino inviato dagli Isolazionisti, o almeno con forti legami con gli Isolazionisti. Con qualche Isolazionista, se proprio si voleva adottare la prospettiva più ristretta.

Cosa stava facendo, laggiù? Niente di particolare, secondo i rapporti ricevuti finora. Lavorava come ogni altro colono, non disturbava, non si muoveva, non parlava, non faceva propagando, niente di niente. Leonardi cominciava a pensare che, forse, sotto sotto, era anche possibile ipotizzare che con quel ragazzino fosse stato troppo paranoico, o almeno troppo sicuro che fosse stavo inviato là e non che fosse soltanto andato per mettersi al riparo ed evitare la galera, come era successo agli altri.

Proprio quel pomeriggio, poi, aveva finalmente ricevuto il rapporto di Timothy Sally, funzionario dell’ambasciata terrestre su Lakshmi, almeno per un dato valore di funzionario. Aveva interrogato il fratello del ragazzino, ragazzino a propria volta, un poco più vecchio e molto più tonto. Sosteneva di non sapere niente del fratello, né di tutto ciò che era accaduto sulla Terra alla sua famiglia. Ed era vero, almeno secondo Sally. Aveva misurato le sue reazioni, mentre il segretario Clofent lo faceva parlare, e le reazioni erano quelle di chi dice la verità, o almeno di chi dice qualcosa che è convinto essere la verità. Secondo il test, dunque, non aveva mentito: poteva avere detto scemenze, ma erano scemenze nelle quali credeva davvero.

Leonardi aveva sbuffato, davanti al rapporto. Non si era mai fidato molto di quei marchingegni, che invece piacevano tanto a Sally e agli altri della sua risma. Secondo il suo modesto parere, il modo migliore per valutare una persona era di stringerle la mano guardandola negli occhi. Chi ti stringe la mano con forza, fissandoti dritto negli occhi, magari con un sorriso sicuro, sta sempre cercando di fregarti. Per questo lui per primo stringeva sempre la mano con forza, guardando fisso negli occhi il suo interlocutore, con un sorriso sicuro. O almeno lo aveva sempre fatto, finché le sue articolazioni gli avevano permesso una stretta salda e convincente.

In quel caso specifico, però, probabilmente Sally aveva ragione. Quel fratello scemo che studiava su Lakshmi non ne sapeva niente. I messaggi interplanetari non sono proprio qualcosa che rimane a lungo segreto, anzi: non rimangono proprio segreti. Dal mittente al destinatario, devono attraversate così tante mani virtuali che soltanto uno scemo li userebbe per comunicazioni riservate. A meno che tu non sia parte del governo che li gestisce, oppure tu non disponga di un sistema di crittografia che sia veramente infernale. Oppure, Leonardi aggiunse nel profondo della propria mente, a meno che tu non voglia essere letto dai tuoi avversari.

C’erano stati messaggi dalla Terra a Lakshmi, ce n’erano in continuazione e a valanghe, ma solo tre o quattro erano stati inviati a quel cosiddetto fratello, qualunque fosse il suo nome, e due di quelli erano partiti proprio dall’Ufficio, da un neoassunto che aveva studiato su Lakshmi e lo conosceva. Niente dal fratello, niente da altri Isolazionisti, niente di interessante. No, non ne sapeva nulla. Per cui avrebbe dovuto cercare in altre direzioni.

Mentre rifletteva sulle altre direzioni, sepolto fino alla fronte sotto le coperte, un sonno che era più farmacologico che naturale lo prese e lo portò con sé altrove, in una terra priva di sogni. Riposò fino al primo mattino, per un dato valore di riposo.

In ufficio, il volto del Direttore Gemelos gli diede uno spiacevole benvenuto. Non perché portasse cattive notizie, ma semplicemente perché esisteva e si trovava proprio di fronte a lui. Leonardi non gli concesse più di un cenno infastidito con la mano, mentre si accasciava sulla poltrona e stringeva i denti, preparandosi a una nuova giornata di dolori e stanchezza.

«Cosa vuoi stavolta? Se è il rapporto dell’ambasciata su Lakshmi, sappi che l’ho già letto io ieri. Se aspetto te, muoio di vecchiaia qui alla scrivania. E di’ pure a coso, lì, Hobson, Hodgson o quello che è, che se non impara ad arrangiarsi da solo può anche cercarsi un lavoro come porcaro, ammesso che esistano ancora. Esistono ancora i porcari?»

George Gemelos si contrasse un poco, lombricosamente. «Non lo so, dottore. Comunque il nostro ambasciatore Joel Hobson voleva solo confermarci come la questione della quarantena si fosse già risolta nella indifferenza totale. Praticamente nessun lakshmita se n’è accorto, a parte qualche sede universitaria, che era interessata alla ricerca su Madre.»

«Oh, bene, vedo che era proprio necessario spedire un messaggio da un sistema solare all’altro per dirci quello che sapevamo già e che io stesso gli avevo anticipato sarebbe successo. Un esempio di efficienza e di sano sfruttamento delle risorse, eh?»

«Beh, sa, lei gli aveva ordinato di...»

«Lo so io cosa gli ho ordinato e non ho bisogno di te per ricordarmelo. Mi credi così rimbambito?»

Gemelos respirò a fondo e diede alla faccia la più convinta e convincente delle espressioni di chi è scandalizzato. Rimbambito lei? Giammai! È un fiore di gioventù, la mente acuminata di chi è nel pieno delle proprie forze! «So bene che lei è molto più pronto e preparato di me su queste cose. Ma non è di Lakshmi o dell’ambasciatore Hobson che volevo parlare. È della richiesta di trasferimento che ho ricevuto dal ministro Hass, sa. Per quel nuovo arrivato, quel planetologo, Stratos.»

Ah. Leonardi non ne sapeva nulla. Mentre Gemelos spiegava, il suo scontento per non esserne stato informato prima continuava ad aumentare fino a raggiungere l’orizzonte degli eventi, dove la massa dello scontento era così elevata da non permettere a nessun frammento di soddisfazione di sottrarsi e sfuggire. Alla fine, Leonardi era decisamente alterato.

«Quindi Hass vorrebbe spedire questo planetologo su Svarga, per studiare con... come hai detto che si chiama quel coso?»

«Professor Hu Chen. Ma non proprio a studiare con lui, non in senso stretto, perché non penso che il professor Chen insegni ancora. Più che altro, il Ministro propone di mandarlo là per approfondire le proprie competenze e migliorare la padronanza degli strumenti più recenti e innovativi nel suo campo, così da poter essere un...»

«Un valore aggiunto per l’Ufficio e tutto il settore di “inserire un nome a scelta”,» lo interruppe Leonardi. «La solita pappardella che usa sempre, quando gli salta in testa una idea balzana e vuole mettere il naso nei nostri affari. Com’è che si è interessato a questo planetologo?»

«Ecco, non so.»

«Sei inutile. Sparisci e mandami Vihersalo.»

Il Direttore Gemelos sparì e gli mandò il professor Vihersalo, capo del reparto di planetologia. Si sistemava i capelli con una mano, mentre entrava nell’ufficio, e nei gesti come nello sguardo aveva tutto il disagio di chi è stato convocato dal boss, anche se formalmente Leonardi non era proprio il boss, vero, ma le formalità le puoi impacchettare bene bene e cestinare assieme all’umido, grazie, e non sa perché lo abbiano convocato, ma sospetta di aver combinato qualcosa di male. Era una scena che Leonardi adorava sempre e di cui pensava che non si sarebbe stancato mai.

«Il direttore Gemelos,» sorrisino, sottolineando la d minuscola, «mi ha appena notificato la richiesta che il ministro Hass ha presentato per questo planetologo, uno dei tuoi planetologi...»

Vihersalo ascoltava sulla punta della sedia, quasi pronto a balzare per attaccare o fuggire, a scelta, con una preferenza per la seconda opzione. «Quale planetologo? Ce ne sono tanti...» disse, con tutta la poca nonchalance che riuscì a racimolare. Continuava a rassettarsi i capelli, come se nell’ufficio soffiasse la bora più potente degli ultimi due secoli.

«Quello nuovo, che è appena arrivato da Lakshmi, come si chiama... Stratos, già.»

«Ah, Stratos. Già. Il giovane. Ha presentato anche a me la richiesta di inviarlo su Svarga presso la fondazione del professor Chen, per un periodo di approfondimento, o roba simile.»

Leonardi sorrise al disprezzo con cui il nome di quel professore era stato pronunciato. «Sì, voglio ben sperare che la richiesta sia stata presentata anche a te, visto che è proprio dal tuo ufficio che mi è arrivata. Ma la domanda è: perché?»

«Perché cosa?»

Leonardi sbuffò. «Perché un ministro vuole spedire su Svarga questo tuo planetologo sconosciuto e appena arrivato. Cosa ha di tanto speciale? Anzi, cosa ha combinato

«Ma... niente, non lo so, saranno amicizie e...» Il dottor Leonardi lo fissava in silenzio. «Può darsi che abbia detto o fatto qualcosa che ha attirato la sua curiosità, non so, e...» Il silenzio si fece ancora più silenzioso. «Forse sarà stato che...» Il silenzio era prossimo a diventare rumore, raggiungendolo dal lato opposto. Vihersalo si arrese. «Gli studi sui giganti gassosi di Madre.»

«Ah. Studi sui giganti gassosi di Madre. Interessante. Com’è che io non ne ho sentito parlare?»

Vihersalo si contorse sulla sedia con tutta l’infelicità di chi vorrebbe trovarsi su un altro sistema solare, se possibile di una galassia differente. «Non pensavo che fosse il caso di disturbarla con una manciata di sciocchezze, sicuramente sbagliate. Ecco.»

«Non pensavi, già. Questo non mi giunge nuovo. Spesso non pensate, voialtri: deve essere, non so, il vostro stato naturale di esistenza. Mi pareva però di averti ordinato di inoltrarmi qualunque tipo di informazione o scoperta relativa al sistema solare di Madre, giusto? Qualunque tipo di risultato, senza distinzione tra corretto o errato, vero o falso. Oppure sono io che ricordo male?»

«No, non ricorda male. È solo che...»

«Parlami di questi studi sui giganti gassosi di Madre.»

Aaron Vihersalo gliene parlò. Seguì poi un periodo di silenzio piuttosto preoccupante, durante il quale Leonardi sedette rigido, con le mani intrecciate posate sulla scrivania e lo sguardo che fissava un punto da qualche parte sulla parete, più o meno accanto alla porta. Tic tac, tic tac. Gli orologi misuravano quel ritmo programmato al proprio interno, che in mancanza di meglio noi siamo soliti chiamare “tempo”, e Vihersalo attendeva una reazione, una qualunque, qualcosa di diverso da quel silenzio che non poteva non percepire come una minaccia. Era stato davvero così grave non parlare di quella ricerca svolta dal pivellino nuovo arrivato? Se avesse saputo anche il resto, allora...

«Strutture organiche nel cuore dei due giganti gassosi,» disse infine Leonardi.

«È il risultato a cui è arrivato questo Stratos, utilizzando un filtro che, hah!, definire porcheria è un grosso complimento. Immondizia, niente di che. Meglio dimenticarsene.»

«E naturalmente il risultato di questo studio è sbagliato. Così, come premio per la ricerca sbagliata, il ministro Hass ha deciso di mandarlo su Svarga, presso questo Chen, dove dovrebbe approfondire cosa, di preciso? Di cosa si occupa questo Chen? L’ho sicuramente già sentito, ma hanno tutti un nome così uguale, quelli...»

«Beh, filtri. Filtri ottici e soprattutto digitali, per analizzare e decomporre lo spettro delle emissioni di corpi celesti e... beh, tutta roba molto tecnica, non penso che la interesserebbe molto. Servono a studiare stelle e pianeti a una certa distanza, una distanza non eccessiva, sia chiaro, e capire quale sia la loro struttura interna sulla base della luce emessa o riflessa, sa.»

«Filtri.» Per quasi due minuti Leonardi rimase in silenzio, tamburellando le dita sulla scrivania, con un suono che Vihersalo avrebbe definito irritante, se avesse avuto il coraggio di dirlo a voce alta. Il che non corrispondeva alla realtà, ovviamente, per cui non li definiva e basta, sperando che presto si sarebbe interrotto. «Tu conoscevi già questi studi?» gli chiese infine Leonardi.

«Beh...»

«Avevi già provato anche tu a studiare questi giganti gassosi nello stesso modo?»

«Beh...»

«Se non ti sei miracolosamente trasformato in una pecora, sei pregato di rispondere sì, oppure no.»

Vihersalo respirò a fondo. «Sì,» disse. «È stato circa quindici anni fa, non ricordo di preciso. Solo un esperimento, niente di che. Non mi aspettavo molto da quei filtri e... beh, non lo ho ottenuto.»

«Strutture organiche al centro dei giganti gassosi.»

«Beh, se la si vuole proprio interpretare in questo modo, con parecchie libertà e stiracchiando quasi al limite i dati... sì, possiamo dire che l’impressione è quella.»

«E tu non me ne hai mai parlato.»

«Ho pensato che fosse un errore degli strumenti. Per sicurezza, comunque, ho rimosso tutti i filtri che avevano dato quei risultati, così da... ecco, per evitare che succedesse di nuovo.»

«E che filtri erano, questi?»

«I filtri Chen-Cohimbra,» mugugnò Vihersalo.

«Ah! Chen-Cohimbra. Che combinazione, eh? E li hai rimossi solo perché davano risultati che a te sembravano sbagliati, vero?»

«Beh, certo. Non volevo che i nostri ricercatori potessero lasciarsi ingannare da attrezzature di bassa qualità, capisce. Sarebbe stato un crimine contro la scienza.»

«E non ha niente a che fare con la rivalità che c’è sempre stata tra te e Jana Cohimbra, fin dai tempi dell’università, e con il modo in cui lei ti ha sempre battuto, o meglio oscurato, in ogni lavoro che avete svolto assieme, vero? Ma anche nei lavori che avete svolto separatamente, se è per questo. È stato solo per il bene della scienza, non per una ripicca personale, vero?»

«Er... sì. Per il bene della scienza. Ecco.»

Leonardi sospirò, afflosciandosi nella poltrona. Che omiciattolo insignificante! Incompetente, pure. Se solo gliene avesse parlato per tempo, come si era raccomandato di fare, adesso le cose sarebbero molto diverse. Ma coi se non si campava e Leonardi lo sapeva bene. Era andata così, punto. Ciò che invece era importante, al momento, era capire cosa avesse in testa Hass. Perché aveva pescato quel planetologo? Perché aveva saputo della ricerca, ovvio, altrimenti non avrebbe richiesto di spedirlo a perfezionarsi presso la fondazione di un tizio specializzato nella produzione di filtri.

Ma perché? Perché quel nuovo arrivato aveva scoperto, o riteneva di avere scoperto, che il nucleo di quei giganti gassosi era costituito da una struttura organica. E il ministro della difesa era interessato, ovviamente. E aveva deciso di spedirlo dove potesse approfondire le sue ricerche, che nell’Ufficio gli erano ostacolate da Vihersalo. E Hass aveva deciso tutto questo perché... Già, perché era stato su Madre. Più volte. E sospettava. E ipotizzava. E.

«Chi abbiamo dei nostri su Svarga, al momento?» chiese Leonardi, raddrizzandosi nella poltrona.

«Er... ecco, non saprei.»

«Sei inutile. Vai e autorizza pure l’invio su Svarga di questo ragazzotto, per motivi di studio, o quel cavolo che è. Ma non mandarlo da solo.»

«Chi altri devo mandare assieme a lui? Non abbiamo ricevuto richieste per...»

Leonardi allargò le braccia. «Sei capace di soffiarti il naso senza chiamare la mamma? Sì? Bene, mi fa piacere. Sei proprio un bravo bambino. Allora vedi di arrangiarti da solo: io ti ho dato un ordine e tu pensa a eseguirlo. Questo planetologo partirà, ma non da solo. Scegli pure il tuo leccapiedi più fidato, o quello che ti è più simpatico, e mandalo assieme a lui. E sparisci.»

Vihersalo sparì. Che mattinata stressante! Ogni giorno ce n’era una nuova e toccava sempre a lui risolvere tutto. Sì, Leonardi non poteva proprio immaginare come sarebbe sopravvissuto l’Ufficio per più di due ore, senza di lui. Ma non ci sarebbe stato bisogni di immaginarlo. Di certo non aveva intenzione di andarsene, né adesso né nell’immediato futuro, e neppure nel non immediato, se gli era concesso di dire la sua. E gli sarebbe stato concesso di dire la sua, con le buone o le cattive. La mano destra gli scese verso l’addome, come troppo spesso doveva fare negli ultimi tempi. Male.

Già, quello era il solo problema. Il corpo che non obbediva agli ordini. Il corpo che si ribellava, o si afflosciava, a seconda dei punti di vista. Il corpo che invecchiava, soprattutto. E si deteriorava. Non lo avrebbe sostenuto ancora a lungo, ma forse non era necessario che fosse a lungo. Forse bastava che fosse ancora per un poco e poi... Ma ai poi bisogna sempre pensare poi, giusto? Con un grugnito Leonardi si alzò, usando la scrivania come stampella di emergenza.

Camminò piano verso la finestra, adesso libero di potere arrancare senza occhi scrutatori e avvoltoi dei suoi dipendenti. Fuori, oltre i vetri, la giornata era diversamente bella, o nuvolosa con tendenza al peggioramento. Giornata squallida. Giornata deprimente. Non per lui. Il meteo non lo deprimeva mai: sarebbe stato stupido farsi deprimere dalla distribuzione di umidità nell’atmosfera terrestre. Il clima era quello che era, giusto uno sfondo su cui recitare gli eventi importanti. Nella maggior parte dei casi te lo potevi anche dimenticare; in tutti gli altri bastava ignorarlo.

La città si allungava verso nord, fin dove la scarsa visibilità della giornata permetteva di guardare. Una città moderatamente tranquilla, per adesso, almeno in superficie e almeno in quei campi che lo interessavano personalmente. Che si ammazzassero pure per qualche centesimo, se volevano: non lo riguardava. Era un problema del ministero dell’interno, forze dell’ordine, ciarpame vario. Ciò che lo interessava era altro e raramente lo potevi vedere da una finestra. E se lo vedevi da una finestra, era segno che le cose ormai erano degenerate troppo per poterle salvare.

Leonardi sospirò. Hass poteva diventare un problema. Scendere nel pozzo assieme a lui, su Madre, era stato un errore, a posteriori, ma a posteriori non aveva alcuna rilevanza: a posteriori sai sempre cosa sarebbe stato meglio fare, ma ormai non puoi più farci niente, perché è a posteriori e nel tuo posteriore lo hai preso, bello o brutto che sia. Ma per più di venti anni avevano lavorato assieme e portato avanti il progetto, di comune accordo o quasi. Adesso, però, il caro Hass aveva cominciato ad agire senza informarlo prima. Male. Molto male. O aveva sempre agito senza informarlo prima e soltanto adesso lui se n’era accorto? Questo sarebbe stato anche peggio.

Una fitta di dolore lo strappò alle sue riflessioni in parte oziose e in parte inconcludenti. Già, inutile perdere tempo tra mille domande. Il tempo era merce preziosa, per lui, e sprecarlo era peggio che arrendersi, peggio che cedere e lasciarsi portare via Madre. Guardò per un’ultima volta la città oltre i vetri, chiedendosi dove fosse finito quell’ultimo Isolazionista scappato, idra che aveva perso tutte le teste, tranne una, e proprio dall’ultima testa poteva ripartire. Ma anche quello Zeke Boodie, quale che fosse poi il suo nome vero, sembrava sparito, sfuggito di nuovo. Quindi, pazienza.

Impegni, impegni, lavoro. Rudra che proponeva una collaborazione, per sviluppare un nuovo tipo di lega che avrebbe dovuto dimezzare i costi delle navi: sul piatto poneva gli enormi giacimenti di metalli rari, che poi tanto rari non erano nella fascia di asteroidi del suo sistema solare, e chiedeva in cambio l’esperienza terrestre nel campo delle miniaturizzazioni e dell’intelligenza artificiale. Le reti neurali di ultima generazione, nello specifico, e la loro capacità di ottimizzare progetti nel giro di minuti, anziché ore. Offerta interessante, certo, e che apriva la strada a collaborazioni ancora più proficue tra i due mondi. Leonardi sedette a valutarla, esaminando pro e contro, studiando grafici e prospettive di guadagno, profitti e perdite, questo e quello, così e cosà.

Sì, quello era un campo che gli apparteneva di più. Dedurre cosa si nascondeva dietro la proposta X fatta dal pianeta Y, studiare in che modo poterla combinare con gli interessi terrestri e cercare così la strada più efficace per ribaltare la proposta X in una proposta W, da cui la Terra avrebbe profittato molto più del pianeta Y. Era un campo che conosceva, un campo in cui era nato e cresciuto, in cui i numeri erano solo la cortina di fumo dietro cui manipolare gli uomini che li manovravano. Perché il punto debole di ogni struttura era sempre lo stesso, gli uomini, e proprio per questo aveva lavorato anni e anni per estrometterli da ogni luogo sensibile, sulla Terra. Gli uomini non si sono evoluti per calcolare e decidere, ma per distrarre: mettiamo dunque gli umani bene in vista, sul palco, e lontano dai bottoni, lontano da dove le decisioni sono calcolate e prese.

A parte lui, ovviamente. Ma anche Leonardi conosceva i propri limiti, sebbene solo per sentito dire, e non si occupava direttamente dei calcoli, non rubava il lavoro alla pizia: lui ne interpretava solo i responsi, traducendoli per gli altri umani. Dietro, sullo sfondo, nascoste, le reti neurali di ultima generazione, che Rudra non avrebbe mai visto fino a che non fossero diventate di penultima o anche di terzultima generazione, raccoglievano dati, elaboravano dati, producevano dati, indicavano le vie ottimali, predicendone il corso. Leonardi traduceva i dati in informazione e agiva di conseguenza.

E tutto funzionava. Corpo a parte, ovviamente: quello, ormai, non funzionava più.

Il calendario gli ricordava che mancavano ancora dodici giorni alla data per il suo backup periodico della personalità, ma forse sarebbe stato il caso di anticipare. Attendere troppo tempo poteva essere dannoso e probabilmente sarebbe stato più saggio ridurre gli intervalli tra gli appuntamenti. Se mai qualcosa di male gli fosse accaduto, doveva sempre essere pronta la copia più aggiornata della sua personalità, in forma perfetta ancorché virtuale. Restare anche un solo giorno senza timoniere, senza una mano salda a dirigere il vascello, sarebbe stato un disastro per il pianeta. E l’unico timoniere di cui Leonardi si fidasse era Leonardi stesso. A volte.

«Dovresti tenere pronto un successore, per quando morirai. Una copia virtuale non ti servirà a molto e non ti servirà a lungo. Lo dovresti capire anche tu.»

Così gli aveva detto Andrea Hass, giusto tre mesi prima. E cinque mesi prima. E un anno prima. E indietro ancora, quasi regolarmente, nel corso degli ultimi dieci anni, da quando aveva smesso con la carriera militare, per buttarsi in politica, da un signorsì all’altro, hah! Aspetta e spera, soldatino, e sogna pure un mio erede, che magari, ohibò, potresti proprio essere tu, eh? Sogna, sogna, che tanto sognare non costa. Ma la mia poltrona non la vedrai mai, mai e poi mai.

Leonardi sorrise amaro, stringendosi l’addome. Era solo un uomo ed era un uomo solo, ma non per questo avrebbe ceduto, né al tempo né ai rivali. Aveva sempre una ultima carta, la più terribile, ma era anche pronto a giocarla, se necessario. Forse Hass lo sapeva, perché anche lui conosceva quella carta, la conosceva e la temeva, e forse proprio per questo si era pescato e selezionato quel cucciolo di planetologo, da allevare e utilizzare. Strutture organiche al centro dei giganti gassosi. Sì, sarebbe stato bene tenerlo sotto controllo. Non fermarlo, ma controllarlo. Perché chissà, magari gli avrebbe scoperto qualcosa di utile, consapevolmente o meno. Qualcosa di importante, anche? Qualcosa di importante, perché no: un uomo ha pure diritto a sognare, di tanto in tanto. E se era quel qualcosa che ipotizzava lui, che sospettava lui, allora...

Nel vuoto del suo ufficio, il dottor Vito Leonardi sorrideva. Sì, resistere ancora per un poco poteva essere fondamentale. Dolore o non dolore. Con una mano prese un’altra pastiglia. Ma quanto ancora avrebbe retto il corpo? Non lo sapeva, ma lo avrebbe dovuto scoprire. Nel bene o nel male, avrebbe dovuto scoprire i limiti del suo organismo. E magari prevenirli. Giusto per non farsi fregare.