Adriano - racconti e altro

La galassia di Madre - 6

Seduto nel giardino del loro alloggio, Matteo Kori beveva a piccoli sorsi una bibita fresca, un succo di frutta locale che, come si era assicurato, non conteneva alcun tipo di strana sostanza vagamente alcoolica, prodotta dalla fermentazione o altro. Gli aveva comunque causato altri fastidi, di natura più viscerale: un qualche problema di adattamento del suo organismo, forse, come a volte capita coi cibi esotici o stranieri (e non si poteva essere molto più esotici o stranieri di un pianeta alieno), ma il succo era buono e lui aveva perseverato e da un paio di settimane il suo intestino aveva fatto pace con la bibita. Adesso lo poteva gustare senza problemi, ma soprattutto senza rischiare ritirate nella ritirata, precipitose e imbarazzanti. Era un succo rinfrescante.

La sera calava dietro gli alberi, accompagnata dal suo coro di insetti strani, che si facevano sentire da una decina di giorni, ormai, ma che Matteo non era ancora riuscito a vedere, purtroppo. «Non ti perdi niente» aveva detto Indira, e probabilmente aveva ragione, ma era curioso. Sembravano cicale stonate, almeno all’orecchio, ma chissà cosa fossero poi di preciso... C’erano anche altri insetti, che gli orbitavano attorno alla testa da una mezz’ora almeno, ma che ancora non si erano avvicinati a sufficienza per pungerlo, ammesso che pungessero. Fastidiosi, ma non nocivi, in apparenza.

Fauna invertebrata a parte, però, si stava bene, lì in giardino. Il caldo del giorno era alle spalle, una lieve brezza soffiava di tanto in tanto, l’aria profumava di fiori sconosciuti e la voglia di studiare era lontana, qualcosa che apparteneva forse ad altri, ma non a lui, non a Matteo Kori. Apparteneva a Sharma, forse, che ancora doveva rientrare dalle lezioni o da qualsiasi cosa stesse facendo là fuori: a Matteo apparteneva il riposo, e il piacere di godersi quel luogo. Un luogo da sogno, al momento.

Era passato quasi un mese dal suo arrivo su Lakshmi ed era il Trentasette di Primavera, secondo il calendario del posto. Il calendario del posto, tra le altre cose, non prevedeva né mesi né settimane, e Matteo lo capiva a livello logico, ma le abitudini sono più dure a morire di uno scarafaggio e lui si ostinava a pensare e parlare in termini di settimane e mesi, ricevendo spesso occhiate strane dagli amici e dalla gente del posto. Erano semplici unità di tempo, erano brevi da pronunciare ed erano comode. Inoltre, esistevano anche in lakshmita. Perché non le avrebbe dovute utilizzare? Se c’erano le parole per descrivere quelle unità di misura, significava che anche su Lakshmi le avevano usate, un tempo, anche solo per abitudine e comodità. Perché non le avrebbe dovute usare lui?

Pignolerie linguistiche a parte, era primavera, ma a Matteo sembrava di più estate. Non quel tipo di estate afosa e soffocante, che spesso si trovava nella sua regione mediterranea, ma comunque estate, con trenta gradi di giorno e un sole che ti scuoiava come ridere, se lo sottovalutavi. Sharma aveva sorriso, quando glielo aveva detto, e aveva scosso la testa. «Tu non ti immagini neppure cosa sia l’estate da noi. Ma lo scoprirai, non temere. Scordati la vita all’aria aperta, nel futuro prossimo.»

Esagerato! D’accordo che la temperatura media del pianeta era superiore a quella terrestre, come gli aveva spiegato Bogdan durante il viaggio, ma Matteo non credeva che il clima, così a nord, potesse essere peggiore delle estati afose e soffocanti, che sperimentava così spesso a casa. Caldo, certo, su questo non aveva dubbi, ma di afa non se n’era ancora sentita e non pareva proprio un posto umido, o almeno non troppo. Sentiva con falsa e infondata sicurezza che l’estate non avrebbe costituito un reale problema, non per lui. Sharma era solo un mollaccione, in fondo. Gli insetti lo preoccupavano di più, perché in giro aveva visto esemplari dall’aspetto piuttosto inquietante, ma finora non si erano mai avvicinati a lui. Poteva augurarsi che continuassero così anche in futuro. Avrebbe preferito non prendersi una qualche strana malattia aliena, per una loro puntura o altro.

«Puzzi di Terra» gli aveva detto Indira, mentre studiavano nel parco della facoltà. «È per questo che ti stanno lontani. Ma non durerà molto. Mangi quello che mangiamo noi, bevi quello che beviamo noi, respiri l’aria che respiriamo noi, ti ricopri col polline dei nostri alberi e fiori... fra poco anche il tuo odore sarà cambiato e gli insetti lo capiranno. E a quel punto... buon appetito!»

Che ragazza d’oro! Sapeva sempre come farlo preoccupare. Speriamo di no, si disse, ripensando a quella discussione. Aveva già sperimentato e odiato le zanzare e i tafani terrestri, oltre a tutti gli altri sgradevoli insetti succhiasangue, e avrebbe preferito evitare quelli di Lakshmi, se gli era possibile. Sharma probabilmente avrebbe saputo consigliargli un qualche repellente o altro, quando si fosse reso necessario. Per il momento, però, preferiva godersi il privilegio ed evitare di ricoprirsi la pelle di schifezze maleodorante.

Una brezza fresca gli soffiava in faccia il profumo degli alberi e dei fiori, un odore molto diverso da quello a cui era abituato, ma a modo suo piacevole. Soporifero, quasi. In un orecchio ascoltava la lezione odierna di Storia della Letteratura Lakshmita, fermandosi di tanto in tanto per controllare le parole che non conosceva, nell’altro gli arrivavano le voci attutite di studenti che, come lui, avevano scelto di studiare in giardino. Studenti tranquilli, che ormai aveva imparato a riconoscere e che, dopo la curiosità iniziale, erano passati a un blando interesse verso di lui, per finire con l’attuale distacco da conoscenti superficiali. A Matteo andava benissimo.

Era curioso che esistesse già una storia della letteratura lakshmita, quando la colonia stessa era nata due secoli e mezzo prima, grossomodo. Doveva essere tutto merito del tipo di società che avevano costruito: troppo tempo libero, troppa gente che non sapeva come spenderlo e che credeva di avere qualcosa di interessante da raccontare... inevitabile che finisse così, con montagne e montagne di opere prodotte da cani e porci. I critici locali dovevano essersi divertiti parecchio, a scorrerle tutte e decidere cosa si potesse considerare letteratura, nel mucchio. Ma era una discussione che lasciava più che volentieri ad altri. In quel preciso momento, lo studio non era una priorità, ma solo qualcosa per riempire il tempo e dargli una parvenza di utilità.

Suoni piacevoli, profumi piacevoli, gusto piacevole del succo di frutta, vista piacevole del giardino, carezza piacevole della brezza serale: era quanto di più vicino alla beatitudine potesse immaginare, con tutti e cinque i sensi soddisfatti. E come ogni beatitudine, non sarebbe durata. Un suono di passi si avvicinò da sinistra, leggero, come se quella persona non volesse disturbarlo. Sarà Sharma che è rientrato, pensò Matteo, oppure Indira che viene a studiare con noi. La seconda ipotesi gli risultava più gradita, e non solo perché anche l’amica seguiva il suo stesso corso.

Quando girò la testa e vide il nuovo arrivato, però, capì di aver sbagliato su tutta la linea. Il ragazzo dai capelli mossi, il pizzetto e la tipica carnagione indiana, molto alto e molto magro, non era certo Sharma, ma gli occhi vagamente a mandorla potevano ricordare quelli di Indira, con una certa dose di fantasia perversa e se ci si voleva limitare alla forma delle palpebre. Nel complesso, però, era ciò che si poteva definire come “uno Sconosciuto”.

«Buonasera» disse Matteo, alzandosi in piedi. Come aveva potuto verificare di persona, sapevano essere alquanto cerimoniosi coi saluti, su Lakshmi, o almeno nella minuscola porzione di Lakshmi che lui aveva intravisto, ed era sempre meglio non rischiare di offendere qualcuno. Questa idra gli veniva dalla madre, che aveva trascorso la propria esistenza a scusarsi e ringraziare sul lavoro, per poi brontolare in privato, e Sharma l'aveva approvata. Indira apparteneva invece a un'altra razza.

«Buonasera» rispose lo sconosciuto, fissandolo come se stesse eseguendo una scansione completa, con gli occhi, della persona che aveva di fronte, ossia Matteo. Dalla testa ai piedi, dai piedi alla testa, comprimendo le labbra. Era piuttosto fastidioso.

Era alloggiato assieme a loro, quel tizio? Magari uno di quelli che si erano presentati in mucchio, il primo giorno, e che adesso Matteo non ricordava più? Non lo poteva escludere: quel volto non gli diceva nulla, ma era una cosa normale per lui. Fisionomista come un sacco di patate, aveva bisogno di vedere una faccia più e più volte, prima di memorizzarla. Era però moderatamente sicuro di non averlo mai visto. E poi cosa voleva da lui? Perché lo fissava in quel modo? Non aveva mai visto un terrestre? O era un qualche balordo che odiava gli stranieri?Bogdan e Sharma gli avevano assicurato che a Varshi non ce n’erano, tuttavia...

«Tu sei il terrestre che alloggia qui. Quello che studia letteratura» disse infine lo sconosciuto.

«Sì, sono io. E tu...»

Lo sconosciuto sorrise. «Sambuddho Chakravarty, secondo anno di diritto» disse, senza tendere la mano. Niente di strano, in questo: stringere la mano non pareva essere un’abitudine, lì. «Mi potresti aiutare con il seminario di Diritto interplanetario? Se non ti è di disturbo.»

Matteo lo fissò perplesso, e non solo per il suo accento. Tutti gli altri lakshmiti che aveva incrociato fino ad allora parlavano più o meno nello stesso modo; quel tizio, invece, aveva una pronuncia piuttosto bizzarra, non molto semplice da capire. «Mah... non credo di poterti aiutare, non so niente di diritto» gli rispose. «Come hai detto anche tu, io studio letteratura.»

«Sì, lo so» rispose paziente, come se stese parlando a un bambino. «Ma tu vieni dalla Terra e ci hai abitato per un periodo ragionevolmente lungo, a giudicare dalla tua età. Per una parte di quel tempo, poi, dovresti anche essere stato sufficientemente evoluto, da capire cosa ti accadesse attorno. Se è così, sei qualificato per aiutarmi. Se lo vuoi, ovvio.»

Matteo non era del tutto sicuro di capire cosa gli stesse accadendo attorno, né aveva mai creduto di capirlo mentre era sulla Terra. Riteneva però di essere abbastanza evoluto, come diceva quel tizio, da comprendere un linguaggio non proprio raffinato o educato, e quel tizio gli stava decisamente parlando in modo offensivo. O era solo una questione di dialetto, oppure di linguaggio colloquiale? Non lo poteva escludere. Avrebbe voluto che Sharma fosse lì con lui, in quel momento.

«Ritengo di essere sufficientemente evoluto, da capire cosa accada intorno a me, come dici tu» gli rispose, optando per una forma “cortese ma non troppo”, giusto per stare sul sicuro. «Non capisco però come questo possa esserti di aiuto, se studi diritto.»

«Te lo spiego io. Al momento sto seguendo un seminario sul diritto terrestre e, a quanto pare, le vostre leggi sono una zozzeria incomprensibile, in diversi casi. Se sai darmi qualche chiarimento, è tanto di guadagnato, ma in generale mi interesserebbe sapere perché esistano leggi simili. Tu ci sei nato, sul quel pianeta, e ci hai vissuto abbastanza a lungo: dovresti anche sapere come funzioni e, di conseguenza, perché servano quelle leggi. Giusto?»

«Ehm... sì, più o meno. Dipende dalle leggi, poi, ma...»

«Dipende, dipende, sì, come vuoi.» Chakravarty agitò una mano, come a scacciare la risposta di Matteo. Scacciò anche un certo numero di insetti. «Frega niente. Quel genialoide del professore che tiene il seminario si aspetta che noi capiamo le leggi, senza capire il pianeta. Meglio, non si aspetta che capiamo le leggi, ma solo che le impariamo e memoria. Un cretino, insomma. A me interessa di più capire perché voi terrestri vi siate inventati quelle leggi idiote, ma quello non fa parte del nostro seminario. Non sia mai che ci insegnino qualcosa! Sapresti spiegarmi un po’ di roba sulla vostra società? Sì o no, senza balbettare.»

«Sì, credo di sì» rispose Matteo, del tutto spaesato e spiazzato. Era la prima volta che gli capitava di parlare con un lakshmita come quello, così aggressivo e sbrigativo. Credeva che tendessero tutti al soporifero, come Sharma, e invece... Inoltre, sospettava che alcune delle parole usate da quel tizio fossero volgari, o quantomeno rientrassero nella categoria delle parolacce lakshmite, una categoria di cui non aveva conoscenza diretta, dato che Sharma non ne usava e a Indira non poteva chiederle. Si sarebbe vergognato troppo. Sospettava però che ogni tanto lei ne usasse qualcuna.

«Ottimo! Non ti preoccupare se mi dici anche qualcosa di sbagliato, non mi aspetto troppo da te. È solo che mi piace capire il perché delle cose, non solo imparare come siano fatte. Chiamami pure Chakra, a proposito: il nome intero è una rottura di palle e preferisco scorciarlo, che si fa prima.»

Matteo continuava a fissarlo perplesso. Da dove spuntava quel tizio? O quel Chakra, come aveva detto di voler essere chiamato. Meglio così, perché il nome intero era troppo lungo e poi lo aveva già dimenticato. «Puoi chiamarmi Matteo, allora» gli rispose, incerto. «Da noi si usa il primo nome, di solito.»

«Come qui le donne, capito. Sarà Matteo, dunque.» La sua voce aveva esitato sulla seconda t, come se non fosse sicuro della pronuncia corretta: Mat'tjeo, ne era uscito. Forse originario di una regione diversa, rispetto a Sharma e Indira. Sì, molto probabile, con quel suo accento sghembo.

Chakra trascinò una sedia accanto al tavolo a cui si era sistemato Matteo e sedette. «Avrei subito un po’ di roba da chiederti, se per te non è un problema. Lakshmi e Terra hanno un tipo di società parecchio diverso, a quanto ho capito, e diritti civili e penali sono del tutto diversi, per non parlare dei codici di procedura in entrambi i campi.»

«Sì, abbastanza diversi» rispose Matteo, sedendosi a propria volta. «Chiedimi pure e vediamo se ti posso aiutare. Se non vai troppo sul legale, magari potrei anche riuscirci.»

Parlarono per più di un’ora, mentre la sera si infittiva e il fresco aumentava. Aumentavano anche gli insetti, orbitanti attorno alla testa di Chakra, e Matteo si incantò a guardarli, per dare sollievo al suo cervello affaticato: un essere umano non era progettato per discutere così a lungo di furto e dell’idea di proprietà privata, a esso intimamente connessa. Era certo interessante esaminare come la Terra e Lakshmi fossero differenti, sotto questo aspetto, ma il diritto non era il terreno ideale, per rendere affascinante un’analisi di quel tipo. Aveva bisogno di una pausa.

L’insetto che gliela concesse, bloccando per un attimo il flusso di parole quasi inesauribile, e ormai anche quasi incomprensibile, che usciva dalla bocca di Chakra, fu una specie di libellula. Era lunga più o meno quanto un calabrone terrestre e pareva procedere, in un circuito attorno alla testa di Chakra, con leggere vibrazioni delle quattro ali che la reggevano. No, non leggera, si corresse: erano vibrazioni forti, ma così veloci che le ali sembravano ferme. Aveva vaghi riflessi bluastri, nelle luci artificiali del giardino, e non produceva alcun rumore.

«Cosa stai guardando?» chiese Chakra.

«Quello» rispose, indicando l’insetto.

Chakra lo vide e lo scacciò con la mano. «Un pishacha» disse. «Ormai è quasi la stagione, anche se il peggio arriverà in estate. Schiacciali pure, quegli esseri schifosi.»

«Un pisciàcia?»

«Pishacha» lo corresse. «È un insetto notturno, che succhia il sangue. Presente? Da voi ci sono zanzare e tafani, mi pare, e da noi ci sono questi schifi. E altre cose che vedrai. Sono una rottura di palle che non ti immagini, specie per chi è allergico. Io non lo sono, ma li odio lo stesso.»

«Ah...» Guardò l’insetto con un certo fascino, misto a una dose di disgusto. Se Indira aveva ragione e la sua apparente immunità agli insetti non sarebbe durata ancora a lungo, forse era davvero il caso di chiedere a Sharma un modo per tenerli lontani, finché era in tempo.

«Ti piacciono così tanto gli insetti, che continui a guardarli?» chiese Chakra, con più di una punta di disgusto nella voce.

«No, non particolarmente, ma sono curiosi. Non ci avevo mai fatto molto caso, tutto qui.» Anche perché non mi ero mai annoiato tanto su questo pianeta, prima d’ora, aggiunse tra sé e sé. L’idea di riprendere la discussione su diritto e sistema sociale terrestre lo spaventava più di quanto lo avesse fatto il suo primo viaggio spaziale.

«Oh, sì. Da piccolo mi divertivo a torturarli e infilzarli, come tutti i bambini. Adesso mi basta che si tengano lontani da me. Se non lo fanno, peggio per loro! Vorrà dire che qualcuno li dovrà raschiare da una parete.»

«Non li togli tu?»

«Perché?»

Matteo boccheggiò, in cerca di una risposta. Perché, in effetti? Sulla Terra non ci sarebbe stato nulla di strano: nel corso della propria vita, aveva spiaccicato più di un insetto e non ricordava di essersi mai preoccupato di cancellare gli indizi. Lì su Lakshmi, invece... pareva che tutti si preoccupassero di farlo. Non con gli insetti, forse, o almeno non vi aveva badato, ma tutti pulivano dove avevano sporcato, riordinavano dove avevano messo in disordine, risistemavano ciò che avevano spostato, e così via. Questione di responsabilità, aveva detto Sharma. O qualcosa del genere.

«Beh, credevo che voi... cioè, quando fate qualcosa, poi pensate anche a sistemare le conseguenze, no? Il mio compagno di stanza mi ha...»

«Parli del principio di responsabilità?» lo interruppe Chakra.

«Uhm... può darsi.»

«Se te ne ha parlato il tuo compagno di stanza, allora sì, sarà quello. È il compito di chi fa da balia a uno straniero, no? Insegnargli a vivere e dargli una bella mano di vernice lakshmita, così nessuno lo nota. È sconveniente che qualcuno la pensi in maniera diversa, qui da noi...» concluse, sorridendo.

«Non credo di seguirti.»

«Immagino di no, soprattutto perché io sono qui seduto, fermo, e non sto andando da nessuna parte. Ma lasciamo stare le battute. Il principio di responsabilità è qualcosa che noi abbiamo, proprio alla base del nostro sistema di diritto, ma che in apparenza manca da voi sulla Terra. Ci sarei arrivato col tempo, senza fretta, ma pare che tu voglia parlarne subito.»

«Beh, non è proprio che lo voglia...»

«Sì, sì, sì, non c’è problema. Dicevamo dunque che...»

«No, aspetta!» Questa volta fu Matteo a interromperlo, evento quanto mai raro per lui. «Lasciamo stare la responsabilità, per adesso. Come hai fatto a trovarmi? Ti ha mandato qualcuno o...»

«Stiamo parlando da più di un’ora e me lo chiedi solo adesso?» Chakra scosse la testa, trattenendo una risata. «Scoppio ritardato, eh? Non mi sorprende che tu sia un letterato.»

«Ci ho pensato solo adesso, ok» ammise Matteo. «A ogni modo, come hai fatto a trovarmi?»

«Non cercavo te nello specifico, ma solo un terrestre nei paraggi. Qui nella zona umanistica ce ne sono pochi e non avevo voglia di pescarne uno tra gli scientifici: ragionano per vie sbagliate. Un tuo compagno di alloggio, che frequenta il mio corso, ha detto che ce n’era uno qui e così sono venuto a cercarlo. Non è stato difficile trovarti, sai com’è. Nel caso tu non ti fossi accorto neppure di questo, tendi a dare parecchio nell’occhio, da noi.»

«Davvero?»

«Pelle pallida, vagamente bianchiccia, capelli di un colore insolito... sì, ti si nota parecchio. Il tipo a cui appartieni è alquanto distante da quello della maggioranza dei lakshmiti.»

«Davvero?»

Chakra sospirò. «Sì, davvero. Noi lakshmiti siamo quasi tutti di origine indiana, oppure est asiatica, se vogliamo seguire le antiche classificazioni terrestri. Tu, che secoli fa saresti stato definito di tipo caucasico, hai colori parecchio diversi dallo standard locale. Chiunque ti riconoscerebbe.»

«Ah, capisco...» Spiegazione plausibile, a pensarci. Che Matteo fosse cromaticamente diverso dalla maggioranza dei lakshmiti era un segreto nascosto in piena vista: lo aveva sempre sotto agli occhi, ma non vi aveva mai prestato reale attenzione. Almeno, non prima che qualcuno come Chakra gli facesse notare il dettaglio. Adesso, probabilmente, lo avrebbe notato di continuo.

A ogni modo, c’erano studenti di diritto, nel loro alloggio? Non lo poteva né affermare, né negare: di tutti quelli che gli si erano presentati, nei giorni successivi al suo arrivo, ne ricordava giusto una manciata, i più appariscenti o quelli che, per un qualunque motivo, avevano colto la sua attenzione. Tra loro non c’erano studenti di diritto, certo, ma tra gli altri poteva esserci di tutto. Avrebbe chiesto a Sharma, semmai.

«Sei ancora tra noi o sei volato su un altro pianeta?»

La voce di Chakra lo staccò dai suoi pensieri. «Ancora tra noi, suppongo» rispose Matteo. «Di cosa si stava parlando?»

«Di come ti ho trovato, ma prima ancora del principio di responsabilità. Prima ancora di quello, poi, si parlava di pishacha e di insetti in generale. Se vogliamo tornare ancora indietro, all’origine c’era un discorso sulle leggi terrestri relative a vari tipi di furto. A quali di questi argomenti ti riferivi?»

«Ehm... credo al principio di responsabilità.»

«Non c’è molto altro da dire. Spiegarti tutte le menate sul principio di responsabilità e su come sia alla base dell’etica della responsabilità, eccetera, eccetera, è compito del controllore che ti hanno assegnato, cioè il tuo compagno di stanza. Se non lo ha ancora fatto, puoi stare sicuro che lo farà. A ogni modo, se proprio sei curioso o se vuoi approfondire, puoi seguire un corso di educazione civica e non pensarci più. Ce n’è sempre qualcuno a disposizione degli stranieri.»

«E dici che mi servirebbe?»

«Con gli stranieri più duri di comprendonio, sì, torna sempre utile. Se pensi che sia il tuo caso, facci un salto. A ogni modo, non me ne può fregare di meno. Farti una idea di come funzioni da queste parti potrebbe anche salvarti il culo, un giorno, se sei testa calda. Affari tuoi, comunque.»

Per quanto parlasse di responsabilità, quel Chakra non sembrava una persona molto responsabile. E gli stava insegnando un numero elevato di termini discutibili. E gli aveva fatto perdere più di un’ora a parlare di cose che lui non capiva e che comunque non gli interessavano. Certo, confrontare Terra e Lakshmi era sempre utile e istruttivo, non lo poteva negare, ma confrontarle sul piano delle leggi non incarnava proprio la sua idea di discussione con cui spendere una serata piacevole.

«C’è qualche sedere in pericolo?»

Girarono entrambi la testa verso la nuova voce. Sharma, sorridente come sempre, doveva essere arrivato in spaventoso silenzio e adesso li fissava con un sguardo più che incuriosito. Lo circondava un odore particolarmente intenso e sgradevole, quasi vino rancido, e Matteo spinse indietro la sedia, arricciando il naso. Cosa aveva combinato il suo amico? Si era ubriacato?

«È solo uno spray per tenere lontani gli insetti, non temere» gli disse Sharma. «Credo che toccherà anche a te usarlo, tra non molto. Sempre che tu non voglia sfamare i nostri amici volanti.»

«I pisciàcia? No, grazie.»

«Pishacha» lo corresse Chakra di sfuggita, fissando il nuovo arrivato. «Stavo giusto mungendo un po’ il tuo collega, per farmi raccontare da lui come funziona la legge del suo pianeta. Ho un esame di Diritto Interplanetario da preparare, in un futuro non troppo remoto, e il docente in carica tende a spiegarlo con parti non convenzionali del proprio corpo, al posto di un banale cervello. È una brutta bestia, si sa, ma la dobbiamo affrontare.»

«Intento lodevole» rispose Sharma. «Ti prego solo di non insegnargli troppe parolacce, già che ci sei. Il tuo collega Lin Yutang, che alloggia qui con noi, mi ha parlato in più occasioni delle tue non convenzionali abitudini linguistiche. Devi essere il famigerato Chakra, giusto?»

Chakra allargò le braccia, sorridendo. «In persona. E riconosco che Lin Yutang non sa apprezzare le mie finezze retoriche. Ma si sa, nessuno è perfetto. Piacere di conoscerti, Sharma.»

«Il piacere è mio. Mi spiace di aver interrotto il vostro piacevole simposio, ma mi preparo ad andare in mensa, visto l’orario. Volete unirvi a me?»

Volevano. Ad aspettarli al solito tavolo trovarono Indira e una sua compagna di corso, che Matteo si sentiva quasi convinto di aver già visto, e probabilmente avrebbe anche dovuto conoscerne il nome, ma al momento non lo ricordava. Altro giro di presentazioni, mentre anche Chakra si univa al gruppo, poi si passò ai discorsi soliti su lezioni e docenti, su esami lontani ed estate vicina, insieme alle battute sull’odore insalubre di Sharma. «Arriverà anche il vostro momento» fu il suo anatema, seguito da una risata collettiva.

Tutto normale, tutto tranquillo, fino al ritorno in camera. Sharma e Matteo erano rientrati da poco nella propria stanza, dopo aver salutato gli altri tre elementi della tavolata e aver trascorso in termini generali una serata piuttosto piacevole. Sharma aveva lanciato qualche occhiata strana a Chakra, nel corso della cena, ma al momento Matteo non vi aveva badato. Vi badò in camera, quando l’amico riesumò il discorso, all’improvviso.

«Ti suggerisco di non passare troppo tempo con quel ragazzo» disse Sharma, mentre preparava il letto per la notte e attendeva il proprio turno per lavarsi, ancora avvolto dall’odore ributtante del suo repellente per insetti, ma forse anche repellente per umani.

«Perché?» bofonchiò Matteo, con la bocca piena di dentifricio e di spazzolino. La porta del bagno ne confuse ancora di più il suono, ma per qualche miracolo Sharma capì la parola e annuì.

«Perché non ha una buona reputazione» rispose. Fece una pausa, scosse la testa e ricominciò. «No, non è l’espressione corretta. Non ha buoni precedenti. È una brava persona, se sai come prenderla, se sai quando ascoltarla e quando ignorarla, ma potresti avere problemi se prendi sul serio tutto ciò che dice.»

«Cosa intendi?» Un altro bofonchio confuso.

«Ha idee molto particolari e spesso si diverte a prendere in giro i novellini. Non sto dicendo che tu sia un novellino,» si corresse subito, «ma da un certo punto di vista lo sei, o per lo meno è probabile che Chakra ti consideri così. Novellino del pianeta, insomma. Se ascolti le sue versioni dei fatti e gli credi, è possibile che tu ti faccia una idea sbagliata dell’ambiente e che tu finisca anche per agire in modo sbagliato. Credo che ti stesse parlando di qualche pericolo, quando sono arrivato stasera, o forse ti consigliava di fare qualcosa, giusto?»

Dal bagno non venne risposta, solo lo scorrere dell’acqua nel lavandino e vari rumori collaterali, di risciacquatura e simili, come immaginò Sharma. Attese paziente, accomodandosi su una sedia, per non infestare col repellente anche le lenzuola. Un paio di minuti dopo, la porta si aprì.

«Scusa l’attesa» disse Matteo, con la salvietta ancora in mano. «Dicevi di Chakra?»

«Di quello che ti stava dicendo quando vi ho interrotti. Spero non ti stesse consigliando qualcosa da fare, anche se non ne sarei sorpreso. Lin Yutang parla spesso di lui e mai bene. O meglio, come ti ho detto, ne parla con riserve.»

Matteo alzò le spalle. «Boh, stava studiando le leggi terrestri, per un qualche corso di diritto che non ho capito molto bene, e mi ha chiesto di aiutarlo con alcuni aspetti del funzionamento della società terrestre, per farsi una idea del perché ci fossero certe leggi o roba simile. Noioso, ma niente di difficile. Non è che lo stessi ascoltando molto.»

«Immagino.»

«E poi parla in un modo piuttosto strano e non ho capito tutto quello che mi diceva. La pronuncia era strana, più che altro, ma forse per voi è normale ed è solo un mio problema con la lingua.»

«Dipende. Non è originario di questo continente, almeno a quanto dice, e la sua parlata è in effetti la stessa usata nel continente sud, quello più popoloso. Da un certo punto di vista, quindi, il suo si può considerare l’accento ufficiale di Lakshmi, ma in pratica nessuno la pensa così. Si preferisce usare come accento ufficiale il nostro, perché è qui che si trovano i principali centri universitari, nonché la capitale e gli altri centri amministrativi. Se ti è più chiaro, la nostra è la lingua delle istituzioni, la sua è quella della gente comune. Alcuni amano dire che la nostra lingua nasce al sud e muore al nord, ma non so quanto vi sia di vero. Non sono un linguista, come saprai.»

Matteo annuì, anche se non aveva capito tutto. La geografia di Lakshmi gli era ancora sconosciuta, in gran parte: sapeva che esistevano quattro continenti e che i due più grandi erano anche quelli più popolosi e importanti, mentre gli altri due erano ancora piuttosto sottosviluppati, ma più in là non si spingeva. Non era mai stato molto interessato neppure alla geografia terrestre, figurarsi quella di un altro pianeta.

«Quindi Chakra viene dal continente sud?» chiese infine.

«Dovrebbe,» rispose Sharma, «ma la sua origine non ha importanza. È solo per spiegarti il motivo della sua parlata. Ha importanza il fatto che è meglio non ascoltarlo troppo e non prenderlo sempre sul serio. Possiamo essere suoi amici e non c’è niente di male in questo, anche Lin Yutang dice che è una brava persona, quando vuole, ma è bene ricordare che può anche non esserlo, quando vuole. È un semplice avvertimento, che potrai ascoltare o ignorare, come preferisci.»

«Ah, va bene. Ma in pratica cosa ha fatto?»

«Non è sempre una persona responsabile. È già stato sospeso una volta, l’anno scorso, proprio per questo motivo. Aveva ingannato un compagno di corso e aveva poi mentito per proteggersi: così ha detto Lin Yutang e così è riportato nei registri universitari, se vuoi controllare. Io ho controllato. E adesso, ti prego, ho proprio bisogno di usare il bagno e farmi una bella doccia. Questo odore sarà anche buono per tenere lontani gli insetti, ma è esiziale per noi umani.»

Matteo si spostò, l’asciugamano ancora in pugno e la faccia pensierosa. Sharma sorrise, passandogli accanto in un soffio di aria aromatizzata al vino rancido. «Volevo solo avvisarti, era una mia precisa responsabilità. Se sarai pronto, non dovresti aver problemi con lui.» Poi la porta del bagno si chiuse e Sharma sparì.

Matteo si avviò verso la scrivania e il letto. Erano vicini tra loro, così come vicini erano la scrivania e il letto di Sharma. In mezzo c’era la finestra, ancora socchiusa ma protetta da zanzariere, o da ciò che su quel pianeta aveva la funzione di zanzariera: non si era informato sul nome, ma era probabile che lo avrebbe dovuto fare, ormai, con gli insetti in aumento. Pishacha, pensò sorridendo. Un nome strano, un poco ridicolo. «Pishacha» ripeté a bassa voce. «Pishacha, pishacha» fino a che non fu quasi certo di aver capito la pronuncia corretta. O almeno, la pronuncia come gliel’aveva insegnata Chakra e che forse non era uguale a quella usata nel continente nord. Pazienza, si disse.

Si lasciò cadere sul letto e ricominciò ad ascoltare la registrazione della lezione, quella che stava ripassando quando Chakra lo aveva interrotto. Era stata una giornata lunga e faticosa, quella, e non la rendeva migliore il caldo, ma era stata anche una serata poco redditizia sul piano accademico, con tanto svago e poco studio, e lui non voleva restare indietro. Non così presto, almeno. Nell’orecchio aveva la voce del docente di Storia della Letteratura Lakshmita, ma nella sua testa doveva sgomitare con le parole di Sharma.

Cosa avrà voluto dire? E chi era quel Lin Yutang? Uno studente di chiara origine cinese, dal nome; un compagno di corso di Chakra, da quanto aveva capito. E magari Sharma glielo aveva presentato, come gli aveva già presentato altri studenti di altri corsi, incrociati in strada o in mensa, ma la sua memoria non sembrava voler funzionare molto, quando si trattava di nomi e facce. Magari avrebbe chiesto un parere a Indira, già che c’era. Ma forse, dopotutto, non era così importante.

Quando Sharma uscì dal bagno, fresco di doccia e profumato di nuovo, libero finalmente dalla nube al vino rancido che lo avvolgeva, Matteo era già addormentato, con la voce del docente che a poco a poco lo guidava negli oscuri regni del sonno. Sharma sorrise, gli sfilò il registratore dall’orecchio, con delicatezza, e lo posò sulla scrivania. Non gli sarebbe servito.

La mattina dopo, durante la pausa di una interessantissima e incomprensibile lezione di Filologia Lakshmita (incomprensibile per Matteo, almeno, che aveva già problemi col lakshmita moderno), la questione di Chakra tornò a galla, quando Matteo si girò verso Indira, che seguiva il corso assieme a lui, e le raccontò la discussione avuta con Sharma, la sera prima.

«Lin Yutang? È un tuo compagno di alloggio» rispose lei. «Non te lo ricordi? Ogni tanto si vede con Sharma, anche in mensa. Comunque non ne so molto di lui: gli ho parlato un paio di volte ed era più noioso di un insetto nocivo. Come tutti i dirittisti, del resto»

Matteo arricciò il naso. Dirittisti? C’era sempre qualche parola che non conosceva, su quel mondo. A occhio, dovevano essere gli studenti di diritto, o almeno gli sembrava che avessero qualcosa a che fare con loro, ma preferì non indagare. Era più che contento di sapere che, tra le altre frequentazioni dell’amica, poteva escludere gli studenti di diritto. Non gli piacevano, avevano tutti l’aria di stare a quattro o cinque metri dall’aria respirata dagli altri. Quelli sulla Terra, almeno; su Lakshmi non ne aveva incontrati a sufficienza, per farsi una opinione, ma qualcosa di strano lo dovevano pur avere. Perché Sharma lo avrebbe avvisato, altrimenti?

«E quindi non sai neanche per cosa sia stato sospeso l’anno scorso, immagino... Mi sarebbe piaciuto saperlo, ma Sharma non aveva voglia di parlarne. O almeno, non mi è sembrato che avesse voglia di parlarne» concluse, alzando le spalle.

«È possibile che non lo sappia di preciso» osservò Indira.

«Ha detto di aver controllato nei registri dell’università, per cui suppongo proprio che lo sappia.»

«Oh, d’accordo, hai vinto tu, come vuoi.» Indira allargò le braccia. «Guarda anche tu nei registri e sei a posto, no? Non vedo quale sia il problema. Secondo me ti stai facendo soltanto un sacco di seghe mentali, ma se davvero ti interessa, cercalo tu stesso. Più facile di così...»

Matteo ci rifletté, poi alzò di nuovo le spalle. «Mah, forse non è così importante. Piuttosto, tu ci hai capito qualcosa in questa lezione?» chiese, cambiando discorso. Cambiare discorso era la specialità che lo aveva salvato molte volte, quando non voleva parlare di qualcosa o quando si era cacciato in una brutta situazione. Non sapeva in quale delle due categorie rientrasse la discussione attuale, ma era certo che fosse meglio passare ad altro.

Indira rise. «Hai seguito finora e non ci hai capito niente?»

«Lo sia anche tu: non sono lakshmita, non parlo molto bene la lingua attuale e il lakshmita classico e la sua filologia non sono proprio una passeggiata. Non ci ho capito niente, se preferisci metterla in questi termini. Forse avrei dovuto studiare sanscrito, sulla Terra...»

Lei lo guardò divertita, ma anche perplessa. «Mi spieghi allora cosa ti sei iscritto a fare a un corso di filologia lakshmita, se non capisci niente? Non credi che sia stato alquanto idiota, da parte tua?»

Matteo cominciava a crederlo. «Sì, già,» cerco di giustificarsi, «ma è un corso che devo seguire per forza, prima o poi. È nel mio piano di studi, è obbligatorio per la mia laurea.»

Indira adesso lo guardava solo con compassione. «E seguirlo l’anno prossimo? O tra due anni? Ne hai solo uno da superare, di filologia, e puoi farlo benissimo più avanti, quando sarai più a tuo agio con la lingua. Perché lo hai messo subito?»

Matteo si sentiva profondamente idiota, mentre rispondeva. «Beh, perché era in programma tra gli esami del primo anno.»

«Dovevo fartelo io, il piano di studi» sospirò, coprendosi la faccia con una mano. «Vabbè, ho già capito che mi toccherà aiutarti chissà quante volte, con questa roba... Cerca almeno di seguire e fai finta di capire qualcosa, per favore.»

Quando lui stava per ribattere, nel tentativo disperato di recuperare un minimo di dignità e non farsi passare per lo scemo del villaggio, come invece si sentiva, il docente rientrò, chiudendo la porta. La pausa era finita, il magico mondo della filologia lakshmita li aspettava di nuovo.

E all’avviso di Sharma non pensava già più.