Adriano - racconti e altro

La galassia di Madre - 8

Il calendario locale segnava il giorno sessantuno di Primavera, quando Matteo si svegliò. O almeno, quando una parte del cervello di Matteo riemerse a uno stato larvale di coscienza: il resto di lui era ancora impegnato a galleggiare da qualche parte, o forse a veleggiare da qualche parte. Non gli era molto chiaro. Non era neppure chiaro che giorno fosse, ma era un dettaglio di poca importanza, al momento. Qualcosa gli diceva che sarebbe diventato un dettaglio rilevante, di lì a poco, ma adesso non lo era e questo bastava. Sì, poteva bastare.

C’era qualcosa intrappolato dentro la sua testa, che sbatteva contro le pareti per uscire. Qualcosa, o forse molti qualcosa. Magari sarebbero scappati, aprendo gli occhi. Sì, giusto, aveva senso: apro e li faccio uscire. Sollevò le palpebre con vaga circospezione e la luce di metà mattina gli conficcò due spilloni incandescenti nel cervello. Cervello! Ecco cos’era che batteva, dentro il cranio. Mal di testa, sì. E non solo uno: ce n’era una collezione completa, dalla a alla zeta, a giudicare dal dolore.

E mentre una parte di Matteo continuava placida a veleggiare nel caldo mare del nulla, rigirandosi nel letto, la parte che stava tentando di svegliarsi resistette eroicamente alla luce del sole, sbatté tre o quattro volte le palpebre a scopo difensivo e cominciò a guardarsi attorno, mantenendo la testa sul cuscino, in via del tutto cautelare: poteva essere pericoloso sollevarla, al momento. Si poteva anche aprire in due, per quel che ne sapeva. O in tre. O in quattro. O così via.

Gah, ma cos’aveva quella mattina? Perché stava così da schifo?

Perché era mattina, giusto? Il letto di Sharma era vuoto e dalla finestra entrava parecchia luce. Il che significava mattina, o anche pomeriggio. No, mattina. Tarda, ma pur sempre mattina. Glielo diceva l’inclinazione della luce e glielo confermava il fatto di essersi appena svegliato. Perché lui non si svegliava mai di pomeriggio, giusto? Giusto? Si rigirò con un grugnito, cercando altri indizi.

La sedia. La sua sedia. Era coperta di vestiti, ammassati secondo la migliore tradizione studentesca e non solo. Il primo strato, quello di superficie, doveva includere gli ultimi vestiti indossati, o gli ultimi vestiti rimossi, per essere più precisi. Erano passabilmente eleganti, quantomeno per un dato valore di eleganza, un valore non troppo pretenzioso, e li aveva usati per qualcosa di diverso dalle lezioni. La festa, sì! No, non festa: la serata al centro culturale, quella dove aveva dovuto aiutare, come paggetto. Sì, il paggetto. Ecco.

Il ricordo aggravò per un momento il mal di testa, ma soprattutto gli fece riemergere un vago senso di vomito, che se n’era rimasto tranquillo fino ad allora, aspettando forse il proprio turno per entrare in scena. La serata al centro culturale, a cui si erano presentati tutti i suoi amici e conoscenti. Ieri, giusto? Sì, ieri. Che era il sessanta, quindi un festivo, o almeno un giorno senza lezioni. Quindi oggi non era un festivo, ma un normale giorno di lezioni. Perché lui era ancora a letto, a metà mattina?

Perché dopo, dopo lo spettacolo, erano andati da qualche parte, a festeggiare. Un locale nei paraggi, che conosceva Chakra. No, un locale che Chakra conosceva, non era il locale a conoscere Chakra. Forse. C’erano più o meno tutti, a parte Sharma e qualcun altro, che però al momento non ricordava e probabilmente non avrebbe ricordato neppure dopo. E cosa aveva fatto in quel locale?

Bevuto, ovvio. Bevuto parecchio, a giudicare dal suo stato attuale. Bevuto come un cammello dopo tre mesi nel deserto, probabilmente. E adesso si sentiva come qualcosa che nel deserto era rimasto a morire, avvizzendo a poco a poco sotto il sole. E oggi era giorno di lezioni, e Sharma si era alzato per andarle a seguire. Lui no, lui era rimasto a letto. Ottimo. Tentò di sollevarsi, per sistemarsi in una posizione seduta o qualcosa di simile, ma una certa qualità basculante, che la stanza assunse di colpo, gli suggerì che forse era opportuno muoversi con maggiore cautela. C’erano ancora diverse cose mobili dentro il suo cranio e voleva evitare che lo sfondassero, per uscire.

Seduto sul letto, bene. Esaminò la stanza con maggiore attenzione, da posizione più vantaggiosa, e sì, era proprio metà mattina di un giorno di lezioni. Tarda mattina, forse. L’ora di pranzo ormai non doveva essere molto lontana, anche se era lontana l’idea di mangiare, almeno per lui. Il suo stomaco si stava annodando su se stesso, in modo alquanto spiacevole, e dubitava che avrebbe accettato con entusiasmo l’introduzione di cibi o altre sostanze. Pareva invece molto probabile che, di lì a poco, si sarebbe espresso a favore di una espulsione di sostanze. No, non di lì a poco: eccolo...

Arrancò fino al bagno e collassò in ginocchio davanti alla tazza del gabinetto, quasi come colto da un improvviso e irresistibile impulso religioso. Il che poteva essere considerato vero, dato che ebbe il tempo e il fiato per bofonchiare alcune divinità, mentre vomitava a un ritmo di andante maestoso. Il modo migliore per cominciare una giornata, poco ma sicuro. Il migliore in assoluto, almeno nelle sue condizioni attuali, sarebbe stato vomitarsi addosso nel letto, ma anche questo non era male. Sì chiese di nuovo cosa fosse successo la notte prima, ma scoprì di non avere una particolare voglia di scoprirlo. In ogni caso, si ripromise che non sarebbe più successo. No, basta. Stop. Chiuso.

Fidarsi di Chakra! Lo conosco io un bel posto, aveva detto. Venite con me, ci penso io alla festa di fine spettacolo, per il nostro paggetto. E ci aveva pensato sì, poco ma sicuro. Più che una festa, gli aveva fatto la festa, a giudicare dalle sue attuali condizioni. Avrebbe avuto voglia di arrabbiarsi, ma al momento era solo stanco. E si era appena svegliato, fra l’altro...

Quando sentì di potersi fidare del proprio organismo, Matteo abbandonò la posizione di preghiera di fronte alla tazza e si spostò verso lo specchio. Un momento della verità, da un certo punto di vista. Un punto di vista dalla pessima visuale, oggettivamente. Esaminò a lungo il riflesso della propria faccia, ma non fu un bell’esaminare. Occhiaie? Trovate, di un violastro sottile. Segni del cuscino sulle guance? Eccoli, bene impressi nel rossore generale della pelle. Capelli in ogni direzione? Fatto anche quello. Non che potessero andare poi in molte direzioni, essendo ancora abbastanza corti, ma avevano fatto del proprio meglio, nel loro piccolo. Complimenti.

Appena alzato e già sembrava rigurgitato da un cane. Che giornata fantastica lo attendeva! Si lavò alla meglio, maneggiando il cranio con cautela, perché qualcosa al suo interno continuava a battere contro le pareti, poi si asciugò con delicatezza ancora maggiore, infine si sentì grossomodo pronto per affrontare di nuovo la propria stanza e verificarne le condizioni.

Meno brutte del previsto. La sua porzione era un disastro, ma in questo non differiva molto dal suo solito: Sharma era quello ordinato, preciso, al limiti dell’ossessivo compulsivo, mentre Matteo era palesemente di una razza diversa. Decise comunque di rimuovere i pantaloni scaraventati sopra la scrivania, perché sembravano eccessivi persino in quel caos esiodeo, proprio come probabilmente era eccessivo il calzino bianco, che dondolava sulla lampada. Il resto poteva restare così come era, almeno provvisoriamente.

Uno scrupolo lo spinse comunque a riordinare il materiale lasciato nelle posizioni più stravaganti, sulla sedia, con più di una punta di paura, ma non identificò segni evidenti di ciò che potesse essere accaduto la notte precedente. Niente macchie, niente strappi inquietanti, niente altro. In altri termini, niente di grave. Non era rientrato con oggetti altrui, ammesso che su quel pianeta esistesse qualcosa come un “oggetto altrui”, e non si era portato souvenirs inquietanti, raccolti o estirpati lungo la strada, nell’impeto della ubriachezza più molesta. Buon segno.

Trovò però l’avviso che gli aveva lasciato Sharma, prima di uscire. “Non ti ho svegliato, perché non mi sembravi nelle condizioni di poter assistere a una lezione. Ci vedremo più tardi in mensa, alla solita ora, oppure nel tardo pomeriggio, se non sarai riuscito ad alzarti prima di allora.” Quando la voce finì di recitare il messaggio, Matteo si sedette di nuovo sul letto, fissando il vuoto.

Che fare, adesso? Non era nelle condizioni di seguire una lezione, su questo Sharma aveva ragione in abbondanza, ma non si sentiva neppure nelle condizioni di affrontare un pranzo. Non certo un pranzo lakshmita, che conteneva più spezie della stiva di un galeone, inviato dalla Compagnia delle Indie. Minestrina in brodo terrestre, da malato? Forse sì, forse quella l’avrebbe potuta trattenere nello stomaco, ma le probabilità di trovarla in mensa erano inferiori a quelle di essere colpito da un meteorite, mentre ti stai lavando i denti. Poteva comunque passare di là, per farsi vedere dagli amici e dimostrare di essere ancora clinicamente vivo.

Si alzo, si mosse verso i vestiti, poi riconsiderò l’ultima affermazione. Era davvero sicuro di volersi far vedere dagli amici? Gli amici che lo avevano visto devastato la notte prima e che, forse, avevano assistito a chissà quali cose l’ubriachezza poteva averlo indotto a fare. Non aveva molta esperienza in fatto di scene vergognose, compiute mentre si è in stati alterati di coscienza: si era ubriacato solo una volta, in precedenza, ed era stato dopo il diploma, assieme ai compagni di classe. Sbornia lieve, quella, perché poteva ricordare gli eventi della serata ed erano piuttosto tranquilli, a parte quando aveva vomitato nella doccia.

Le bevande lakshmite erano una bestia differente. Poteva essere successo di tutto. Sharma non c’era ed era male, perché altrimenti lo avrebbe fermato di sicuro: era la sua balia, di fatto, e una balia non avrebbe certo permesso al suo protetto di ubriacarsi fino al vuoto totale di memoria. Giusto? Invece Sharma non c’era ma Chakra sì, e Chakra non era certo il tipo da farsi problemi a riguardo. Sharma lo aveva pure avvisato, no?, che Chakra poteva essere una brutta compagnia? Quindi...

Qualcuno bussò.

Chi poteva essere? Gli amici erano tutti a lezione, per quel che ne sapeva, a parte forse Bogdan, che stava lavorando ala tesi per la specializzazione. Non aveva mai capito se questo lo esentasse dalle lezioni o se proprio non ci fossero più lezioni per lui, ma il lavoro per la specializzazione era la sua scusa standard e Matteo era pronto ad accettarla. Non si sarebbe certo messo a fare la predica a uno più vecchio di lui, ormai prossimo alla fine degli studi. Che fosse Bogdan alla porta? Possibile. Era stato presente alla festa della notte precedente e poteva aver deciso di passare a vedere come fosse ridotto il compagno terrestre. Non una prospettiva incoraggiante per l’autostima di Matteo, ma utile: poteva prepararlo psicologicamente, nel caso avesse combinato qualcosa di molto imbarazzante.

Forte di questa considerazione, si alzò e aprì la porta. L’apparire del volto di Chakra, con la barbetta che incorniciava il suo solito sogghigno, lo affondò all’istante. Giusto per continuare bene quella fantastica giornata.

«Buongiorno! Appena svegliato? Spero di non averti scaraventato io giù dal letto.»

Matteo sospirò. Era sempre necessario un sospiro, prima di cominciare una discussione con Chakra, qualunque fosse l’argomento. Dopo la notte scorsa, poi... «No, non mi hai svegliato tu. Ero in piedi già da una mezz’oretta.» Il che era parzialmente falso, dato che di tempo in piedi ne aveva trascorso ben poco e i venti minuti scarsi dal risveglio erano stati spesi per la maggior parte coricato o seduto, ma per uno come Chakra non valeva la pena di sprecare tempo coi dettagli o con la verità.

«Niente lezioni, vero? Me l’aspettavo, dopo la nottata di ieri... Non dovresti bere così tanto, se sai di non reggere l’alcool. Alcool in senso figurato, è ovvio,» aggiunse. «I prodotti dei nostri frutti non contengono necessariamente o esclusivamente quello.»

«Sì, me l’avete già spiegato» rispose stanco. «Ma...»

«Posso entrare, oppure sono condannato a rimanere qui in castigo, davanti alla porta? Non temere, non mi scandalizzo se la tua camera è una porcilaia.»

Matteo l’avrebbe lasciato fuori molto volentieri, ma al momento non aveva né la voglia, né la forza per discutere. Meglio lasciarlo fare, concludere in fretta quella visita e tanti saluti. Tornò a sedersi sul proprio letto, mentre Chakra entrava e si guardava attorno senza parlare, ma con l’espressione di chi si sta divertendo parecchio. Era davvero così buffa la camera? «Dunque?» chiese infine, mentre il suo visitatore non richiesto rimaneva in silenzio.

«Bene, bene,» disse Chakra, appoggiandosi al muro di fronte a Matteo. «Immagino che sia stata per te una serata molto educativa, quella di ieri. Hai avuto, come dire?, un assaggio molto più diretto di Lakshmi, invece della versione edulcorata che, ne sono certo, il tuo caro amico Sharma ti rifila ogni giorno. Prima lo spettacolo nel tuo centro culturale, poi fuori a ubriacarti...»

«Non mi sono ubriacato volontariamente.»

Il sorriso di Chakra si accentuò. «Oh, ma questo non ha alcuna rilevanza. Volontariamente o meno, tu ti sei ubriacato ed è questo il punto. Lo hai fatto tu.»

«Non ne sono del tutto sicuro,» bofonchiò Matteo, guardando in un’altra direzione. Che cosa voleva Chakra? Cosa era venuto a fare da lui, quella mattina? Deriderlo? Il mal di testa stava tornando alla carica, dopo una breve pausa.

«Vedo che non ti è molto chiaro come si sia svolta la serata, ma non mi sorprende. Prima di tutto, però, potresti trovare utile bere questo.»

Ciò che gli porse Chakra poteva essere una qualunque bibita locale, per come si presentava. Il fatto che fosse in un contenitore alquanto anonimo e privo di decorazioni non testimoniava a suo favore, ma era anche vero che, per quanto aveva visto lui, i lakshmiti non parevano dare molta importanza al modo in cui i prodotti si presentavano. Matteo lo prese con sospetto. «Cosa sarebbe?»

«Un antidoto. Immagino che tu ne abbia bisogno.»

La temperatura attorno a Matteo scese di parecchi gradi. «In che senso un antidoto, scusa?»

Chakra allargò le braccia, ridendo. «Risparmiati pure le mutande, per adesso, non ci sono veleni di mezzo. È solo un nome, niente di che. Se vuoi scendere nei dettagli, allora sappi che è una bevanda preparata per aiutare a metabolizzare i resti delle tossine che si attardano nell’organismo, dopo una robusta e allegra sbevazzata di prodotti locali.»

«Tossine?»

«Quelle contenute negli alcolici prodotti con frutta locale, come ben sai. Anche l’alcool normale lo è, in fondo: velenoso per l’organismo e da smaltire a poco a poco. Presente? Questo ti aiuta a fare la stessa cosa, ma con ciò che trovi nelle nostre bevande. In pratica, pensala come una cura efficace per i postumi della sbronza. Persone più esperte o più sagge di te se ne procurano una prima di bere, o anche subito dopo, nel peggiore dei casi. Ne trovi facilmente ovunque ci siano alcolici.»

«Ah... grazie.»

«Con un poco di fortuna, ti aiuterà a snebbiare il cervello, così capirai ciò che è veramente successo, ieri notte. Ne avrai bisogno, se vorrai sopravvivere qui per quattro anni.»

Matteo bevve, torcendo un poco la faccia per il sapore aspro. «Lo so già cosa è successo,» disse poi. «È successo che mi sono fidato di te e mi hai fatto ubriacare.»

«Hah, e qui ti sbagli. Tu ti sei ubriacato; io ho solo assistito allo spettacolo.»

«E tu allora potevi fermarmi, no?»

«Potevo, certo» rispose Chakra, con una calma gioviale che ispirava il lancio di oggetti contundenti, «ma non l’ho fatto. Non l’ho fatto io e non lo ha fatto nessuno dei presenti, anche se erano tutti tuoi amici, o quantomeno conoscenti. Bizzarro, vero? Siamo rimasti tutti a guardarti, mentre ti ubriacavi, e nessuno ha mosso un dito, anche se probabilmente tutti sapevano che cosa sarebbe successo a chi non è abituato alle nostre bevande e non sa neppure come prepararsi a berle. Non ci avevi pensato, eh? Ti eri fermato a dare la colpa a me, giusto?»

Matteo lo fissava, senza sapere come rispondere. Era vero, in effetti. Se ci fossero stati soltanto loro due, allora sarebbe stato tutto molto semplice: Chakra lo fa bere per bastardaggine, o per godersi lo spettacolo, e il giorno dopo Matteo può sfogare il suo giusto furore su di lui. Ma non erano soli. Con loro c’era stata anche Indira, al locale, e Bogdan, e tutti quegli altri dell’alloggio e dei corsi. Eppure, nessuno era intervenuto. Lo avevano lasciato bere, fino presumibilmente a collassare. Perché?

«Il gatto ti ha mangiato la lingua, vero?» disse Chakra. «In un altro tipo di società, in effetti, è facile che qualcuno dei tuoi amici avrebbe cercato di fermarti e indurti a tornare a casa, vista la piega che la tua serata stava prendendo. Qui, invece, nessuno si è mosso. Tutti sapevano che non avresti retto, tutti sapevano che il giorno dopo saresti stato ridotto così, molti probabilmente sapevano che tu non conoscevi antidoti o altri modi per resistere alle tossine delle bevande, o almeno per espellerle più in fretta, tutti sapevano che quelle tossine possono essere letali, in grande quantità, eppure nessuno si è mosso. Come me lo spieghi, eh? Tutta colpa di Chakra?»

Matteo non se lo spiegava. Osservò il compagno, a bocca aperta, e non sapeva cosa rispondergli. Ci doveva essere un elemento a lui ignoto, in tutto questo, ma proprio perché era ignoto non riusciva a immaginare cosa potesse essere. Si sentì stanco, molto più stanco di quanto fosse legittimo sentirsi, a quell’ora del mattino.

«Vuoi un indizio?» riprese Chakra, sempre sorridendo, anche se sarebbe stato difficile trovare tracce di allegria in quella smorfia. «Il tuo amico terrestre, Stratos o come si chiama, era lì con noi, ma non ti ha fermato. Ha l’aria di essere una persona seria e sulla Terra sarebbe intervenuto, ne sono certo, ma qui no. Ed è qui da sette anni, giusto? O erano otto?»

«Sette. Bogdan è qui da sette anni. Alla fine di questo tornerà a casa.»

«E lo farà di corsa, suppongo, a giudicare dalla sua faccia. Non credo che ne sentirà la mancanza, a meno che sulla Terra non muoia di fame, ovvio.»

«Andrà a lavorare presso l’Ufficio per la Colonizzazione, ha detto.»

«Pezzo grosso, dunque. No, non sentirà molto la mancanza di Lakshmi, o almeno non della società. È possibile che sentirà la mancanza di qualche suo abitante, questo sì, ma non certo del pianeta nel complesso. Non sembrava molto allegro, mentre ti ubriacavi, eppure non si è mosso.»

«E gli altri erano allegri, invece?»

Chakra scrollò le spalle. «Indifferenti, semmai. Rispettavano la tua scelta di ubriacarti, qualunque potesse esserne il risultato finale. La responsabilità era soltanto tua, in fondo.»

«Ha qualcosa a che fare col principio di responsabilità, giusto? Quello che hai cercato di spiegarmi un’altra volta, o forse era Sharma che ha cercato di spiegarmelo, non ricordo.»

«Corretto. Il principio di responsabilità, che possiamo formulare così: sei libero di fare qualunque cosa tu voglia, purché ti assuma la piena responsabilità dell’azione e sia pronto a pagarne tutte le conseguenze, prevedibili o non prevedibili. Bello, vero?»

«Quindi, se qualcuno decide di buttarsi da un palazzo, voi state a guardare, perché è una sua scelta e la responsabilità è solo sua?»

«Corretto di nuovo. O almeno, questo è quanto previsto dall’etica ortodossa, ma è possibile che non tutti siano così rigidi nel seguirla, soprattutto quando si tratta di un amico. Se tu fossi stato davvero in pericolo di morire, a causa della tua mancata conoscenza di qualcosa, allora è probabile che uno o due fra gli spettatori avrebbe deciso di fermarti. Forse.»

«Ma...»

«Orrendo, vero?» sorrise Chakra. «Ma è logico, da un certo punto di vista. Responsabilità e libertà sono due facce di una stessa medaglia e l’una implica la presenza dell’altra. Se vuoi essere libero, allora devi anche essere responsabile di ciò che fai con la tua libertà; per esserci una responsabilità, però, deve esserci libertà di agire. Sono i due pilastri del nostro fantastico mondo, vedi?»

Matteo vedeva, più o meno. Da un certo punto di vista, aveva senso; da un altro punto di vista, era totalmente folle, almeno per lui. «Quindi è per questo che mi hai portato a bere in quel locale? Per darmi una dimostrazione pratica di come funzioni la vostra società?»

«Certo che no! Siamo andati in quel locale, per bere assieme e finire la serata in allegria. Visto che la tua balia personale non ci ha seguiti, però, ne ho anche approfittato per insegnarti qualcosa che ti servirà, se vorrai rimanere a lungo su Lakshmi. Così hai potuto provare la vera filosofia lakshmita: fai quel che vuoi, ma poi cazzi tuoi. Dubito che Sharma te lo avrebbe insegnato così.»

«Ma Bogdan non è lakshmita, quindi...»

«Non è lakshmita, ma ha vissuto qui per sette anni. Anche lui ha avuto una balia, per assimilarsi alla nostra società, e anche lui è passato attraverso questo... shock culturale, chiamiamolo così. Direi che ha lasciato fare, per il tuo bene. Prima impari certe cose e meglio riuscirai a vivere tra noi.»

«Ah, fantastico...» Matteo non sapeva se deprimersi o arrabbiarsi. Lakshmi era una società ideale, ti offriva liberamente tutto ciò di cui avevi bisogno, ti garantiva un tenore di vita che, sulla Terra, solo in pochi si sarebbero potuti permettere. Perché allora doveva infilarci anche quell’assurdità etica, se di etica si poteva parlare? Sembrava una società schizofrenica: da un lato si cura di te, dall’altro se ne frega e ti lascia crepare, se così decidi o se sbagli qualcosa. Che senso aveva? Alla fine decise di chiederlo.

«Hai descritto la situazione, ma hai trascurato di unire i puntini e vedere che cosa ne sarebbe uscito» gli rispose Chakra, adesso stranamente serio. «Lakshmi è un mondo che crede fortemente in roba come la libertà individuale e così via. Tutto ciò che ti serve per vivere è a tua disposizione, in ogni luogo e in ogni momento: non hai bisogno di lottare, faticare o lavorare per ottenerlo, o anche solo per mantenerti in vita. Sollevato dai tuoi bisogni, puoi dedicarti interamente a ciò che vuoi fare. Sei libero, insomma. Lakshmi si preoccupa di garantirti la libertà, ma poi esige che sia tu a gestirla, così come ti pare e piace. Qualunque cosa farai con questa libertà, poi, saranno solo cazzi tuoi. Perché è la tua libertà, non quella di un altro. Capisci?»

«Ma ci sono comunque leggi, non è che sei proprio libero di fare tutto ciò che vuoi, no?»

«Ci sono leggi, certo, altrimenti non ci sarebbe il mio corso di laurea» sorrise Chakra. «Queste leggi sono state disegnate per favorire il più possibile la società e sono sempre aperte a modifiche, o così predica il vangelo secondo Lakshmi. Le leggi ci sono: se vuoi, le segui, e se non vuoi, non le segui. In entrambi i casi, però, ci saranno conseguenze, positive o negative, che tu dovrai accettare.»

«Scusa se te lo dico, ma lo trovo folle.»

«Oh, ma ancora non siamo arrivati al meglio! Pensarla in questo modo, fermarsi a valutare con cura i pro e i contro, prima di fare qualsiasi cosa, non è certo un’abilità innata. Noi lakshmiti dobbiamo impararla fin da bambini, più o meno come addestreresti un cane: per poter godere al massimo delle nostre libertà e soddisfare così il nostro innato egoismo, dobbiamo prima imparare a utilizzare quei cosiddetti doni. Non è una pratica piacevole e non sempre riesce.»

«Immagino che con te non sia riuscita.»

Chakra sorrise. «Da un certo punto di vista puoi metterla così. A ogni modo, noi lakshmiti siamo addestrati fin dalla nascita, per cui non abbiamo problemi. Nel caso di uno straniero come te, o il tuo amico Stratos, dovrà imparare sul campo a districarsi nella nostra giungla di responsabilità e di libertà, anche se da un adulto ci si aspetta almeno che abbia la maturità e il buonsenso per capire il meccanismo. Per facilitare il compito, comunque, vi è sempre assegnata una balia, all’inizio, che ha il dovere di facilitare la vostra assimilazione. Sharma è la tua, un tipo molto serio e responsabile, come avrai verificato.»

«E Lakshmi è così da sempre?»

«Sempre è un termine molto relativo, qui. È così da poco più di due secoli, ossia dal tempo della sua fondazione. L’insegnamento ufficiale è che la società lakshmita è stata costruita in questo modo, in segno di ribellione alla società terrestre. I capi tra i primi coloni ritenevano che fosse una società di irresponsabili, basata sul “colpa tua, io non c’entro, non volevo, sono solo una vittima”, eccetera. Se sia vero o meno, non te lo so dire, ma è quanto ci insegnano fin da bambini. A ogni modo, è proprio per approfondire questo aspetto che io mi sono dedicato al mio campo di studi e adesso mi diverto a sfruttare un autentico terrestre non ancora assimilato, per capire il più possibile delle differenze tra i due mondi. Mi aiuterà a capire perché il mio pianeta funzioni così e come si possa eventualmente migliorare.»

Matteo sospirò. Avrebbe avuto bisogno di molto tempo, per assimilare tutte quelle idee, e avrebbe soprattutto avuto bisogno di una mente più lucida. Il presunto antidoto di Chakra gli stava dando qualche beneficio, questo era vero, ma si sentiva ancora parecchio distante dalla normalità. Sempre che una normalità ci fosse. Quel brevo sguardo al cuore di Lakshmi lo riempiva di dubbi.

«Hai qualche commento da fare?» chiese Chakra, fissandolo con un sorriso molto diverso da quello di Sharma. Probabilmente stava cercando di valutare gli effetti delle sue rivelazioni, ammesso che ve ne fossero. Avrebbe dovuto mettersi in coda e aspettare parecchio, per questo.

«Un solo commento,» rispose Matteo. «Mi è venuta fame.»

«Sorprendente vederti già conscio, dopo ieri sera. È stato un miracolo, oppure è intervenuto qualche potere molto meno santo, a buttarti già dal letto?»

Indira era a tavola assieme a una compagna di corso, di cui Matteo non ricordava mai il nome, ma che doveva essere Mei qualcosa, o giù di lì: palesemente di origine cinese, anche se aveva una tinta un poco troppo scura per l’idea che lui aveva dei cinesi, era una tizia che parlava poco e tendeva a farsi dimenticare facilmente. Da lui, almeno.

«Non sono del tutto convinto di essere conscio, ma almeno mi sono svegliato» rispose Matteo. Si sedette, salutando con un cenno del capo la presunta Mei qualcosa.

«Merito mio, che gli ho dato una spolverata» disse Chakra, sedendosi accanto. «Il nostro povero, piccolo emigrante non conosceva neppure l’esistenza di disintossicanti, per quando ti imbottisci di bevande per grandi. La mamma non glielo ha mai spiegato, a quanto pare.»

«Fortuna che ha un amico come te, a portarlo sempre sulla cattiva strada...»

«Conoscere le cattive strade è indispensabile, per poter percorrere le rette vie.»

«Sicuro di non avere sbagliato facoltà, dirittista? Ti avrei visto bene in quella di filosofia, saggio come sei,» lo stuzzicò Indira.

«Potresti rivolgerti a un buon oculista, allora. Credo che la tua vista abbia bisogno di qualche rapido intervento correttivo, se è così che ti sembro.»

«A proposito di filosofi,» intervenne Matteo, che aveva già assistito a un numero sufficiente di botta e risposta tra Chakra e Indira, per sapere che nessuno dei due avrebbe concesso all’altro l’ultima battuta, se non per pura esasperazione (nel qual caso a cedere sarebbe stata Indira). «Sharma non si è fatto vedere, ancora? Mi aveva lasciato un messaggio, dicendo che sarebbe stato qui...»

«Già stato e già andato» rispose Indira. «Ancora qualche minuto e saremmo andate pure noi. Ormai è quasi ora della prossima lezione.»

«La prossima volta sarà meglio che non facciate bere così tanto il nostro amico terrestre, allora, o si sveglierà direttamente per cena,» disse Chakra, ghignando.

«Ha fatto tutto da solo, non sono certo stata io a dirgli di bere. Scusa, ma è vero» aggiunse, notando l’espressione di Matteo. «Deve essere stato lo stress di quello spettacolo al centro culturale, oppure i suggerimenti che ti dava qualcuno.»

«Gli spiegavo soltanto i nomi dei cocktails, non lo invitavo a provarli» commentò serafico Chakra.

Ha fatto tutto da solo. Matteo continuava a risentire il commento di Indira, così uguale a quanto gli aveva spiegato Chakra, ma allo stesso tempo così innocente. Ha fatto tutto lui, la scelta è stata sua, la responsabilità è stata sua. E noi lo abbiamo lasciato fare, perché era libero di farlo: questo era il commento non detto, ma che le parole dette proiettavano ovunque.

Fai quel che vuoi, ma poi cazzi tuoi: così Chakra aveva riassunto l’etica lakshmita. Matteo aveva sperato che non fosse vero, eppure lo era. Stranamente, Chakra aveva detto la verità, mostrandogli il retro della facciata bella di Lakshmi. Respirò a fondo, riordinando i piatti sul vassoio.

«Pensiamo a mangiare, che è meglio,» disse.

«Ci sarai a filologia, questo pomeriggio?» chiese Indira, poco dopo.

«Credo di poter fare presenza, ma dubito che riuscirò a capirci qualcosa.»

«Ah, di solito ci riesci? Dalle tue lamentele e dalle tue richieste di aiuto, mi sembrava proprio di no. Sbaglierò io, che vuoi che ti dica.»

Matteo sospirò, senza rispondere. «Ti apprezzano proprio tutti, vero?» disse Chakra, sottolineando il commento con una pacca sulla schiena. Matteo si fece stoico e sopportò in silenzio.

«Cosa è successo?» chiese Mei qualcosa, quasi sussurrando. Indira glielo spiegò, non proprio in un sussurro, concludendo con un «Bogdan e Chakra, quel tizio lì, lo hanno dovuto portare in camera di peso. Non si reggeva più,» che non servì ad accrescere l’autostima di Matteo, né a migliorare il colore del suo volto, che virava di nuovo verso una tinta vinaccia di puro imbarazzo.

«La gioventù è il momento giusto per comportarsi da scemi, no? Non c’è nulla di male nel coprirsi di vergogna, di tanto in tanto. Aiuta a crescere più forti,» disse Chakra, allargando le braccia e quasi colpendo un altro studente, seduto lì accanto. Mei qualcosa lo guardò storto, Indira scosse la testa.

Il pomeriggio di lezioni fu duro e, proprio come aveva preannunciato, Matteo riuscì a fare poco più che pura presenza. Si impegnò a seguire e prese anche qualche appunto, ma il suo cervello pareva non voler funzionare a dovere. Un poco di movimento e una buona, ottima notte di riposo, priva di vomito o altri brutti regali, lo avrebbero probabilmente rimesso a posto. Sì, quella era una giornata sprecata, nessun dubbio, ma da un certo punto di vista era anche stata una giornata utile. La notte di bevute gli aveva permesso di imparare più di quanto avrebbe desiderato, sia su Lakshmi sia su suoi abitanti. E forse, ma molto forse, per questo avrebbe dovuto ringraziare Chakra.

Quella sera, rientrando dalla mensa assieme a Sharma, pensò più volte a come avrebbe potuto affrontare l’argomento della responsabilità, per chiedere al compagno maggiori dettagli. Era la sua balia, in fondo, ed era lui che lo avrebbe dovuto educare al retto modo di vivere su Lakshmi, in base a quanto detto da Chakra. Eppure... eppure non riusciva a parlarne. La notte di bevute e il discorso di Chakra avevano cambiato qualcosa, sia in lui sia nel modo in cui guardava Lakshmi. All’inizio gli era apparso come un mondo utopico, ma adesso cominciava a sospettare che non fosse poi così bello, dietro la facciata. Non del tutto. Non sempre. Potevano esserci spine, disseminate ovunque, e avrebbe dovuto stare sempre molto attento a non pungersi, o peggio.

Bogdan. Ne dovrei parlare con Bogdan. Anche lui ci è passato e capirà di sicuro quello che intendo, meglio di quanto lo possa capire un lakshmita. Sì, sarebbe stata probabilmente una buona idea: il parere di un terrestre, che aveva già vissuto lì per sette anni, aveva un grosso peso, per lui. Bastava trovare il momento e lo stimolo giusti, per sollevare l’argomento con lui.

«Qualcosa non va?» gli chiese Sharma.

«Tutto a posto, direi. Magari un po’ stanco, sai com’è: dopo questa giornata...»

«O dopo la nottata di ieri. Sì, capisco. Farai meglio ad andartene subito a dormire, invece di stare a studiare come al solito. Renderai di più domani, se oggi risolvi tutti i tuoi problemi.»

La sera era calda, ma non troppo umida, e le strade sembravano piene di gente. Anche i parchi erano affollati, e Indira gli aveva spiegato che era normale, in quel periodo, e succedeva perché l’estate era vicina. «Non avremo molte altre occasioni per starcene all’aperto, più avanti,» aveva aggiunto. «Meglio approfittarne adesso.» Meglio approfittarne, giusto. Approfittarne e riposare, finché se ne ha il tempo. Prima che la tua libertà ti spinga a fare altre scemenze, mentre gli amici stanno seduti e ti fissano, perché la responsabilità è tua.

«Sì, penso proprio che me ne andrò a letto subito, se non ti dispiace» disse. Quella notte fu la prima volta che senti nostalgia della Terra, in più di due mesi di tempo terrestre. Nostalgia di casa, di un mondo che sapeva capire. Un mondo che non nascondeva tagliole, in mezzo ai prati fioriti.