Adriano - racconti e altro

Tsukuyomi e l'albero della luna

Tsukuyomi, detto anche Tsukiyomi o Tsukiyumi, è il dio giapponese della luna. Fratello di Amaterasu, dea del sole, nella mitologia “ufficiale” presentata nel Kojiki e nel Nihonshoki è descritto inizialmente come una delle tre divinità maggiori, gli ultimi e più grandi figli del demiurgo Izanagi, ma di fatto troverà spazio in un singolo mito, raccontato solo nel Nihonshoki, mentre a dividersi la scena nella sezione mitica di entrambe le opere saranno poi Amaterasu e Susanoo, dapprima col conflitto che li divide e in seguito con le attività che svolgeranno direttamente o faranno svolgere ad altri sulle isole giapponesi. Di Tsukuyomi, invece, non si parlerà più.

Sulla sua natura di divinità lunare non ci sono dubbi: è già il nome a definirlo in questi termini. La parola tsuki significa “luna” in giapponese moderno, mentre tsuku è la sua versione più arcaica, che ancora si può trovare usata quando è la prima parte di un composto. Più aperto è il dibattito sul significato della seconda metà del nome, ma in genere si tende a ricondurre yomi alla parola yo, che significa “notte”. La variante yumi, invece, può benissimo essere la parola giapponese che significa “arco” e avrebbe perfettamente senso associata alla luna: non è certo raro trovare la falce di luna paragonata a un arco, almeno tra le popolazioni che conoscono l’arco1.

Possiamo poi aggiungere che l’espressione tsukuyo (月夜), che significa “notte di luna”, era attestata già nel Manyōshū, antologia poetica compilata verso la metà dell’VIII secolo, dove peraltro si può trovare anche l’espressione tsukuyomi wotoko, usata come appellativo lirico per indicare la luna. Che Tsukuyomi fosse associato alla luna, insomma, mi sembra fuori discussione. Il suo effettivo raggio di azione, poi, poteva essere più ampio, perché alla luna sono spesso assegnati poteri anche sulla vegetazione, sulle acque e sulle donne, tra le altre cose, ma questo è un discorso a parte: il punto di partenza era la sua identificazione con la luna.

Qualche dubbio è stato avanzato sul suo sesso. Come vedremo a breve, in una versione della sua nascita il Nihonshoki ci dice che Izanami e Izanagi avevano destinato Tsukuyomi a sposarsi con Amaterasu, per regnare assieme nel cielo. Nella mitologia ufficiale, Amaterasu è donna, quindi Tsukuyomi non può essere che uomo. Storie più antiche, tuttavia, ci suggeriscono che il sole fosse maschio, all’inizio, e negli anfratti della mitologia giapponese non mancano figure solari maschili, per quanto i testi canonici le abbiano spazzate sotto il tappeto, per lasciare spazio all’antenata della famiglia imperiale. Considerato che il nome di Tsukuyomi termina per “mi”, un suffisso che indica spesso (ma non sempre) il genere femminile nei nomi propri giapponesi, soprattutto nell’antichità, c’è chi ha ipotizzato una mitologia pre-Kojiki in cui Amaterasu era l’uomo e Tsukuyomi la donna. Nella versione ufficiale e definitiva è il contrario, ma è comunque giusto menzionare anche questa possibilità di ruoli invertiti. Vediamo però questa mitologia ufficiale.

Il Kojiki ci racconta che Tsukuyomi sarebbe nato dalle abluzioni di Izanagi, di ritorno dalla terra impura dei morti, Yomi no Kuni, dopo il suo tentativo fallimentare di recuperare la moglie morta di parto, Izanami. Lavandosi l’occhio sinistro, Izanagi avrebbe prodotto Amaterasu; lavandosi l’occhio destro, avrebbe prodotto Tsukuyomi; Susanoo sarebbe nato invece mentre si puliva il naso. Tutto molto semplice e lineare sul piano simbolico, fin qui: sole e luna sono gli occhi del demiurgo, mentre il suo soffio sarebbe l’impetuoso Susanoo, associato a vento, tempeste e altri fenomeni di quel genere. Un poco diverso è il discorso per il Nihonshoki, visto che ci propone più varianti della nascita di queste tre divinità.

Nella prima versione, Tsukuyomi e gli altri nascono quando Izanami è ancora viva e vegeta, per cui sono generati in modo normale, senza bisogno di abluzioni purificatrici o altro. In questa storia, Tsukuyomi nasce per secondo, dopo Amaterasu, ed è descritto come una divinità luminosa, ma non tanto quanto la sorella. I genitori decidono dunque che dovrà diventare il consorte di Amaterasu e condividere con lei il dominio sul cielo. Fin qui niente di strano: sole e luna sono spesso fratello e sorella, a volte anche marito e moglie. Molte mitologie, poi, introducono anche un motivo per spiegare il fatto che non compaiono assieme nel cielo e così sarà anche per il Giappone, come vedremo più avanti. Che Tsukuyomi avrebbe dovuto sposare la sorella è parimenti normale, a modo suo. Fratello e sorella che diventano marito e moglie sono un motivo ricorrente in diversi miti e leggende giapponesi: rappresentano un modello di coppia primordiale e gli stessi demiurghi, Izanami e Izanagi, erano fratelli e sposi. In antico giapponese troviamo anche la parola imose, che significava sia “fratello e sorella”, sia “marito e moglie”2, anche se è meglio non interpretarla come una dichiarazione di incesto: è solo una raffigurazione di due metà che si completano.

Nella seconda versione, presentata subito dopo, a generare i tre figli è il solo Izanagi, anche se la moglie non è ancora stata descritta come morta. In questa storia, Tsukuyomi nasce quando Izanagi impugna con la mano destra uno specchio di rame bianco, anche se non sono indicati i dettagli precisi di come questa nascita sarebbe avvenuta. Allo stesso modo, Amaterasu era nata invece da uno specchio di rame bianco impugnato con la mano sinistra. Entrambi i figli sono luminosi e a loro è subito assegnato l’incarico di governare il cielo. Non si fa cenno a matrimoni. In seguito Izanami muore, c’è la katabasis fallimentare di Izanagi, la fuga dal regno dei morti e infine la purificazione rituale, durante la quale Izanagi genererà un gran numero di nuove divinità.

Arriviamo così alla terza versione della storia, dove Amaterasu nasce dal lavaggio dell’occhio sinistro e Tsukuyomi da quello dell’occhio destro, proprio come nel Kojiki. Con una differenza: a Tsukuyomi non è assegnato il governo del cielo, condiviso con la sorella, ma il governo delle distese del mare, con le loro ottocento maree. Niente di strano: la luna che controlla il mare non è certo una idea rivoluzionaria, anzi3. L’acqua in generale e il mare nello specifico rientrano nello stesso campo semantico a cui appartiene la luna, almeno nel linguaggio mitico: anche prima di conoscere i dettagli delle maree, che ci fosse una qualche relazione tra luna e acqua era chiaro alla maggior parte delle popolazioni che vivevano presso un mare e questo si rispecchia nei miti che raccontavano.

In una quarta versione, cui si accenna brevemente dopo una nuova variante della discesa nel regno dei morti e delle abluzioni purificatrici di Izanagi, a Tsukuyomi è affidato il dominio sul cielo, in compagnia di Amaterasu. Sarà proprio in questo ruolo che lo troveremo in scena subito dopo, nel solo mito in cui abbia un qualche ruolo. È il mito di cui ho già parlato a proposito della nascita dell’agricoltura in Giappone, per cui qui gli dedicherò poco spazio, per non ripetermi troppo.

Amaterasu convoca Tsukuyomi e gli assegna il compito di andare a cercare la dea Ukemochi, di cui aveva sentito parlare e che si trovava sulle isole giapponesi. Tsukuyomi obbedisce, scende dal cielo, raggiunge Ukemochi e riceve un’accoglienza a suo parere disgustosa. La dea infatti vomita cibi diversi a seconda della direzione in cui guarda, poi offre il tutto al suo ospite, come un banchetto appetitoso disposto su cento vassoi. Tsukuyomi si arrabbia per quello che lui considera un insulto, estrae la spada e uccide Ukemochi, poi torna in cielo e fa rapporto alla sorella. Quando Amaterasu scopre l’accaduto, si infuria col fratello, litigano e da allora non si guardano più in faccia, pur continuando entrambi a vivere in cielo. Per questo sole e luna non compaiono più assieme, ma si mostrano solo separati.

La storia continua, ma di Tsukuyomi non si parla più. Non riapparirà più in nessun altro mito. Che esistesse un qualche tipo di culto dedicato a lui lo sappiamo dal norito recitato in occasione del Minazuki no tsukinami no matsuri, ossia la celebrazione regolare del sesto mese. Qui leggiamo che le varie offerte rituali erano presentate sia allo Aramatsuri no Miya, sia allo Tsukuyomi no Miya, cioè al santuario dedicato a Tsukuyomi e collocato all’interno del recinto sacro del grande santuario di Ise, di cui costituisce una sorta di annesso. Lì riposava il suo spirito, tecnicamente.

Curiosamente, ma forse non troppo, troviamo anche una variante di questo mito in cui Tsukuyomi non compare proprio. È contenuto in un frammento superstite dello Ise fudoki e ci presenta la storia di Ukemochi in una prospettiva piuttosto diversa. Parlandoci di un santuario che in seguito sarebbe stato noto come Ikafu Jinja e che nel Fudoki è indicato come 稲生社, cioè santuario della nascita del riso, il compilatore del testo ci racconta una versione piuttosto diversa del mito che avevamo già letto nel Nihonshoki: il mito della dea Ukemochi e dell’origine del riso. Ecco la storia.

“Si dice nei registri di questo tempio, attingendo dal Fudoki. Nell’edificio principale alloggiava l’augusto Nae Ōkunimichi4, nell’edificio occidentale la dea Jishuhime5, mentre nel terzo edificio divino una divinità del tuono6. Tanto tempo fa, quando il cielo e la terra erano giovani, Amaterasu Ōkami e Ōkunimichi, discutendo tra loro, si dissero così: «Noi dovremmo scendere dal cielo sulla terra ricca di vita e diventarne i sovrani. Facciamo aumentare i suoi abitanti!» Questo dissero. A quel tempo, la dea Ukemochi fece nascere il riso dentro la propria pancia. Una persona che frequentava il cielo lo raccolse dicendo così: «Prendiamolo e portiamolo in dono!» Questo si disse. Allora Amaterasu Ōkami gioì di questo e disse: «Questa cosa, dunque, dovrà diventare il cibo che le persone visibili mangeranno.» Così è detto.”7

Come vediamo, in questa storia manca proprio la figura di Tsukuyomi, che nel Nihonshoki era stato inviato sulla terra da Amaterasu per cercare la dea Ukemochi. Manca anche l’episodio dell’omicidio di Ukemochi, dal cui cadavere nasceranno i cinque cereali e altri prodotti della terra, più il baco da seta e alcuni animali. Qui si dice solo che il riso nasce nel ventre di Ukemochi, senza spiegazioni ulteriori, come se fosse qualcosa di spontaneo. Potrebbe anche esserlo: in altri miti, infatti, vediamo che le divinità del cibo sono caratterizzate da piante commestibili che spuntano dal loro corpo, anche quando sono ancora vive e intere. Qui sembra accadere lo stesso a Ukemochi, o almeno manca ogni riferimento alla sua morte, nonché all’assassino.

C’è poi una sconosciuta “persona” (人) che trova il riso, lo raccoglie e lo porta in cielo. È il ruolo che nel mito raccontato dal Nihonshoki è affidato al misterioso Amekumabito, inviato da Amaterasu a controllare se Ukemochi fosse davvero morta, dopo il litigio con Tsukuyomi. Sono due figure diverse, oppure coincidono? Nel complesso, la storia raccontata nel Fudoki ci si presenta come un rifacimento piuttosto particolare di quella raccontata dal Nihonshoki: forse sono due varianti dello stesso mito o forse la spiegazione è un’altra, a noi ignota. Interessante è però notare come il ruolo di Tsukuyomi, in cielo accanto ad Amaterasu, sia qui stato assegnato a Ōkunimichi, chiunque sia questa divinità. Solo perché era la divinità principale del santuario di cui si sta parlando? Chissà.

Che il mito di Tsukuyomi e Ukemochi, così come contenuto nel Nihonshoki, fosse noto e diffuso in più zone del Giappone ce lo dimostra il frammento di un altro Fudoki che espande l’episodio, come vedremo a breve. È strano dunque che nella storia contenuta nello Ise fudoki, provincia dove un santuario di Tsukuyomi era attestato, non vi si faccia alcun riferimento, preferendo invece introdurre personaggi extra. Che in cielo ci sia una sorta di “coppia regnante”, di per sé, non è anomalo: è in linea con quanto troviamo sia nel Kojiki che nel Nihonshoki, almeno nella fase successiva alla cacciata di Susanoo. Se Amaterasu sembra essere una sovrana autonoma durante la lotta col fratello turbolento, in seguito fa la comparsa al suo fianco il dio Takamimusubi, rubandole la scena in più di una versione: la decisione di “portare ordine” sulle isole giapponesi, infatti, a volte sembra presa da lui soltanto, con Amaterasu che rimane a guardare.

È possibile che questo Ōkunimichi sia un altro nome di Takamimusubi, oppure un kami che si è fuso con lui strada facendo. Già nei testi “ufficiali” è usato a volte il nome Takagi al posto di Takamimusubi, soprattutto nella seconda parte del periodo mitico, quando passiamo al mito della cessione del paese e alla discesa sulla terra di Ninigi, il “nipote divino”, erede sia di Amaterasu che di Takamimusubi. Il frammento dello Ise fudoki ci dice che Ōkunimichi era la divinità principale di quel santuario, ma non ci è dato sapere quale fosse di preciso il suo rango divino in una prospettiva più ampia. Grande a sufficienza da eclissare Tsukuyomi nell’unico mito in cui fa qualcosa, a quanto pare. Tutto ciò che possiamo dire per certo è che, ai tempi di Ukemochi e della nascita del riso, secondo lo Ise fudoki in cielo governavano assieme Amaterasu e Ōkunimichi, anziché Amaterasu e Tsukuyomi, come invece ci raccontava il Nihonshoki. Questo è quanto.

Sia come sia, accanto a questo unico episodio contenuto nella mitologia “ufficiale”, esiste un’altra briciola di storia in cui compare Tsukuyomi, come accennavamo in precedenza. È un frammento dello Yamashiro fudoki, ma è un frammento che non racconta nuovi eventi: aggiunge solo qualche dettaglio in più alla vicenda che ci è già nota. Non è molto, ma bisogna sapersi accontentare. La storiella toponomastica raccontata in questo frammento, infatti, si svolge mentre Tsukuyomi era in missione per conto della sorella Amaterasu e si stava recando da Ukemochi. Ecco cosa leggiamo nel frammento in questione.

“Si dice nel Fudoki di Yamashiro. L’augusto Tsukuyomi obbedì agli ordini ricevuti da Amaterasu Ōkami. Discese a Toyoashihara no Nakatsukuni8 e si diresse verso il luogo della divinità Ukemochi. Strada facendo, c’era un sacro albero di katsura9. L’augusto Tsukuyomi, a un tratto, si fermò appoggiandosi a quell’albero. Il luogo dove si trovava quell’albero, oggi, è chiamato villaggio di Katsura.”10

Come la maggior parte delle storie raccontate nei Fudoki, anche questa serve a spiegarci l’origine di un nome. Conoscere l’origine dei nomi locali era una fissa della corte imperiale di Yamato, a quanto possiamo vedere, e tutti i Fudoki provvedono a raccontarci per filo e per segno come un certo luogo, monte, lago, villaggio o altro abbia ottenuto quel particolare nome. Qui ci troviamo nello stesso episodio presentato nel Nihonshoki: Amaterasu ordina a Tsukuyomi di andare in cerca di Ukemochi e il fratello obbedisce. Rispetto a quanto sapevamo già, il Fudoki aggiunge solo il dettaglio che, strada facendo, Tsukuyomi si prende una pausa, appoggiato a un albero di katsura. Non sappiamo cosa accadrà in seguito, ma presumibilmente quello che già possiamo leggere nella cronaca del Nihonshoki. Significa che nella provincia di Yamashiro quel mito era conosciuto, mentre abbiamo qualche dubbio in più per quanto riguarda la provincia di Ise, come visto poc’anzi.

Sia come sia, strada facendo Tsukuyomi fa una sosta e si appoggia a un albero. A un albero di katsura. Perché proprio di katsura? Per dare un nome al villaggio, d’accordo, ma sembra curioso che sia stato scelto proprio Tsukuyomi per questo lavoro, dato che non appare in nessun’altra storia. C’era forse un qualche motivo per andare a rispolverare proprio lui, coi milioni di kami disponibili per un ruolo da comparsa in un episodio irrilevante? I Fudoki non si fanno molti problemi a mettere in scena divinità di cui non sappiamo alcunché, perché sono semplici nomi che appaiono in una storiella per spiegare la toponomastica del territorio. Nel migliore dei casi, erano divinità note solo alla gente che abitava nei dintorni. Qui invece è stato scelto proprio Tsukoyomi. Perché? Perché esiste un collegamento tra l’albero di katsura e la Luna, ovvio.

Questa almeno è la mia ipotesi. In Cina esisteva una leggenda, secondo cui sulla Luna cresceva un gigantesco albero di katsura. Un albero speciale, robusto a sufficienza da resistere ai colpi di ascia di chi cercava di abbatterlo. In un’altra versione, l’albero sulla Luna era un albero dell’immortalità, aveva foglie rosse come il sangue e mangiare un suo frutto cambiava radicalmente il corpo umano. In altre storie, l’albero aveva caratteristiche diverse, ma in ogni caso c’era un albero sulla Luna, secondo i cinesi. I giapponesi hanno ricevuto questa storia e hanno fissato la forma dell’albero: era un katsura. Non sappiamo di preciso quando sia arrivata in Giappone, ma nello Ise monogatari troviamo un riferimento a questo albero di katsura: è in una poesia contenuta nel settantatreesimo racconto, aneddoto o come lo vogliamo chiamare11. Non è l’unico esempio letterario.

Ancora prima, nel sesto volume del Manyōshū troviamo un passo quasi uguale, che recita “tsuki no uchi no katsura no gotoki imo wo ikaniseru” (月の内の桂の如き妹をいかにせる), che di nuovo ci parla di un albero di katsura sulla Luna. Col Manyōshū siamo alla metà dell’VIII secolo, ricordiamo, per quanto riguarda la data di redazione, ma le poesie che contiene possono essere molto più antiche e in certi casi risalirebbero fino al IV secolo. L’VIII secolo, comunque, ci pone nella stessa epoca dei Fudoki, il che può essere più che sufficiente per noi. Nel più tardo Genji monogatari, infine, troviamo l’espressione katsura no kage, letteralmente “l’ombra del katsura”, che è utilizzata col significato di “luce della luna”: nel periodo Heian, dunque, l’idea dell’albero sulla Luna era così accettata in campo letterario da essere ormai un sinonimo del satellite stesso.

Il legame tra la Luna e l’albero di katsura mi sembra abbastanza chiaro. L’origine della leggenda è cinese, a quanto pare, ma è antica a sufficienza da avere avuto tutto il tempo di essere introdotta in Giappone per comparire in testi dell’VIII secolo in una forma già metabolizzata e adattata, diversa da quelle cinesi. Non è certo un caso raro. Abbiamo visto altre leggende e storie di origine continentale che sono state incorporate nel folklore giapponese senza il minimo problema, prima tra tutte la leggenda di Urashima Tarō, contenuta anche nel frammento di un altro Fudoki, il Tango fudoki, ma anche il motivo della fanciulla cigno è stato assimilato e fuso con la tessitrice celeste già nota in Giappone. Che Tsukuyomi, divinità lunare, sia il protagonista di una storia in cui compare un albero di katsura proprio perché quel tipo di albero è collegato alla luna, dunque, non mi sembra una ipotesi troppo azzardata.

Che sulla Luna esistano figure e personaggi di ogni tipo è qualcosa che appartiene al folklore di mezzo mondo, come minimo. Ogni popolo può vedere la Luna in cielo e ogni popolo può notare le macchie sulla sua superficie. Che forma hanno? Da cosa sono causate? Le risposte a queste domande sono legione. C’è chi vi vede un uomo e chi una vecchia, chi un coniglio e chi una rana o altri animali, chi impronte di fuliggine e chi bruciature. Per ognuna di queste immagini esistono più miti delle origini, che ci spiegano come siano nate in illo tempore, usando l’espressione tanto cara a Mircea Eliade. Se alcuni cinesi vi vedevano un albero, chi siamo noi per criticarli, quando anche il nostro Dante Alighieri, seguendo la tradizione della sua epoca, immaginava “Caino e le sue spine” nelle macchie lunari, menzionandole sia nel ventesimo canto dell’Inferno, sia nel secondo canto del Paradiso? A ognuno il suo, dopotutto.

Riassumendo, antiche leggende cinesi parlavano di un enorme albero sulla Luna. In Giappone non troviamo una storia corrispondente che ci spieghi l’origine di questo albero, ma che la storia cinese fosse nota è chiaro a sufficienza, dato il numero di espressioni in lingua giapponese in cui troviamo un legame tra luna e albero. Una cosa che possiamo attribuire ai giapponesi è di avere fissato il tipo di albero: è un katsura, mentre i cinesi lo descrivevano in modo diverso, a seconda del racconto. In un frammento di un Fudoki, una divinità si appoggia a un albero di katsura. Un sacro albero di katsura, peraltro: il testo è molto chiaro, parlando di yutsukatsura12. Chi poteva essere scelto per questo ruolo, se non Tsukuyomi, dio della luna? Che sia stata usata proprio la sola storia a noi nota in cui Tsukuyomi compare e fa qualcosa, poi, non mi sembra affatto strano: era una storia in cui il dio scendeva sulla terra, dopotutto. Si poteva trovare una occasione migliore per dare un antefatto mitico al nome di un villaggio? Suppongo di no.

Sia come sia, ecco tutto ciò che abbiamo su questa figura nella mitologia giapponese. Il Kojiki ci racconta una versione della sua nascita, poi non ne parlerà più. Il Nihonshoki ne racconta quattro e aggiunge un breve mito in cui Tsukuyomi scende sulla terra, incontra e uccide Ukemochi, la dea del cibo, quindi litiga con la sorella Amaterasu: in seguito non si parleranno più e il nostro dio svanirà dalle storie. Lo Yamashiro fudoki aggiunge qualche particolare al mito di Tsukuyomi e Ukemochi, ma come abbiamo visto non è granché: rafforza la connessione tra l’albero di katsura e la luna, ma poco altro. Un norito ci informa che l’altare di Tsukuyomi, annesso al grande santuario di Ise dedicato alla sorella Amaterasu e in subordine a Toyouke, divinità dell’agricoltura e del cibo, riceveva offerte in occasione delle cerimonie del sesto mese; offerte e norito erano riciclate anche per le cerimonie del dodicesimo mese. Tutto qui.

Esistevano un tempo altri racconti su Tsukuyomi? Forse, ma in questo caso non si sono conservati fino a noi, per un qualche motivo. Che sia sparito quasi subito dal gruppetto dei tre grandi fratelli, per lasciare il palco ad Amaterasu e Susanoo, non è poi così strano. La stessa cosa accade anche coi tre figli di Ninigi, il “nipote divino”: a nascere nel mezzo di una ordalia del fuoco sono Hoderi, Hosuseri e Howori13, ma il secondo figlio è soltanto un nome, privo di storia. Sarà la contesa tra Hoderi e Howori a occupare l’ultima parte del primo libro del Kojiki, mentre del terzo fratello non si parlerà più. Nel Nihonshoki avviene la stessa cosa, con minori differenze cosmetiche: i nomi dei fratelli sono leggermente modificati, per esempio, e la loro storia è raccontata nell’ultima parte del secondo libro, ma per il resto poco cambia.

Come abbiamo visto, l’eclissi di Tsukuyomi era cominciata almeno fin dal frammento dello Ise fudoki in cui si accenna alla vicenda di Ukemochi, ma con una coppia diversa a governare il cielo: non Amaterasu e il fratello Tsukuyomi, ossia il sole e la luna, ma Amaterasu e il misterioso Ōkunimichi. Che fine ha fatto il nostro dio? La luna ha un peso notevole nell’immaginario giapponese, poetico e non, e la troviamo citata in più componimenti giapponesi di quanti una persona sana di mente potrebbe avere mai voglia di leggere. Nonostante questo, la divinità che la dovrebbe rappresentare è sparita dalla circolazione, ricordata solo in pochi frammenti sparsi qui e là. Un fatto piuttosto curioso.

Una ipotesi avanzata per spiegare questa strana situazione è che la figura di Tsukuyomi sia stata “assorbita” da Susanoo. Esistono punti di contatto tra i due kami, senza dubbio. Quando Izanagi spartì il dominio tra i suoi tre figli principali, esistono versioni del mito in cui la signoria sul mare è assegnata a Susanoo, come nel Kojiki, ma nel Nihonshoki troviamo una variante in cui è Tsukuyomi a ricevere questo incarico, come abbiamo visto. Se il Nihonshoki ci racconta che fu Tsukuyomi a uccidere la dea del cibo, dal cui cadavere sarebbero poi nati i cinque cereali e altri beni necessari all’umanità, il Kojiki assegna questo ruolo a Susanoo. La luna, nel bene o nel male, è associata spesso al regno dei morti, ma nella mitologia giapponese “ufficiale” sarà Susanoo alla fine a ricevere questo ruolo, comparendo come signore di Ne no Kuni, il paese delle radici, nella saga di Ōnamuchi/Ōkuninushi. Susanoo è spesso associato anche al controllo delle acque per irrigare i campi, nonché al dominio sulla vegetazione, due ruoli che lo fanno sconfinare nel campo di azione della luna, soprattutto nell’immaginario mitico. Non dimentichiamo poi il conflitto tra Susanoo e la sorella Amaterasu, dea del sole, ben più grave del semplice litigio di questa col dio della luna.

È dunque possibile che Tsukuyomi sia svanito, perché Susanoo ha assorbito la sua figura? Possibile sì, almeno a livello di ipotesi di lavoro; che questa proposta corrisponda anche a come si siano svolte effettivamente le cose, però, è tutto un altro paio di maniche. La sola certezza è che Tsukuyomi, dio della luna, non ha trovato spazio nella mitologia e nel folklore giapponese, pur avendo cominciato la propria carriera come una delle tre divinità maggiori nei miti “ufficiali”, raccolti dal Kojiki e dal Nihonshoki. Anche nei miti “ufficiosi”, raccontati nei Fudoki, abbiamo visto che lo spazio a sua disposizione è davvero minimo, ancora più se lo paragoniamo ad Amaterasu e Susanoo, nati assieme a lui. Neppure i norito, che a volte contengono qualche variante di miti famosi14, ci forniscono informazioni utili sul suo conto. Tsukuyomi è sparito, la luna si è eclissata. Possiamo formulare ipotesi sul perché, ma una risposta precisa non la possediamo. Questo è tutto.

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NOTE

1 - Un’altra tipica associazione “mitica” della luna è quella con le corna bovine, molto diffusa in area mediterranea, ma non sembra avere riscosso grande successo in Giappone. Non nella mitologia ufficiale, quantomeno.

2 - Ma il significato più antico è probabilmente quello di “fratello e sorella”, dato che in giapponese arcaico imo significava “sorella” (detto dal fratello), mentre se era “fratello” (detto dalla sorella). Il moderno imōto, “sorella minore”, deriva proprio dall’arcaico imohito, letteralmente “persona (hito) sorella (imo)”, anche se in giapponese arcaico quella parola non faceva distinzione tra maggiore o minore. Versione maschile di imohito era ovviamente sehito.

3 - È davvero necessario ricordare la figura di Ecate nella mitologia greca, che era associata alla luna ed esercitava il proprio potere sugli inferi, sul mare e sul cielo stellato? Questo solo per fare un esempio noto a tutti.

4 - Divinità di cui non sappiamo alcunché. C’è chi ha provato ad accostarlo a Ōkuninushi, per la somiglianza del nome, ma mi sembra un paragone piuttosto campato per aria: Ōkuninushi è un kunitsugami, una divinità terrestre, e i suoi miti sono legati alla terra e in parte al sottosuolo. Non ci sono storie in cui interagisca direttamente con Amaterasu, che invece è amatsugami, divinità del cielo per eccellenza, in quanto manifestazione del sole. Più ragionevole mi pare l’ipotesi di accostarlo a Takamimusubi, divinità che in effetti collabora con Amaterasu al progetto di ottenere il dominio sulle isole giapponesi e fondare l’impero di Yamato, cosa di cui discuteranno proprio in questa storia.

5 - Presumibilmente un qualche genius loci, dato che il nome la identifica come “signora del territorio” (地主姫).

6 - Indicata solo come 雷電神. Considerato che il primo carattere significa “tuono”, il secondo “fulmine” e il terzo “divinità”, possiamo tranquillamente identificarlo come un dio del tuono e delle tempeste, chiunque fosse di preciso. In un santuario dedicato al riso, un dio delle tempeste fa sempre comodo per irrigare i campi.

7 - Contenuto nel Sangokuchishi (三国地志) parlando dello Ikafu Jinja.

8 - 豊葦原中國, ossia il paese (國) centrale (中) della piana (原) rigogliosa (豊) di canne (葦), un altro nome per indicare il Giappone nelle storie mitiche, di solito in contrapposizione al mondo celeste di Takamagahara e al mondo ctonio di Yomi no Kuni.

9 - Dovrebbe essere un siliquastro giapponese, Cercidiphyllum japonicum. A volte è tradotto anche come albero di Giuda. Così dicono i dizionari, quantomeno: le mie conoscenze di botanica sono nulle e non saprei riconoscere questo albero neppure andandoci a sbattere contro. Ho tenuto il nome giapponese perché necessario a dare un senso alla storia, che doveva raccontare l’origine del nome del villaggio, ossia Katsura.

10 - Contenuto nel decimo libro dello Yamashiro Meishōshi (山城名勝志), di Ōshima Takeyoshi.

11 - “Tsuki no uchi no katsura no gotoki”: così troviamo scritto nella poesia, ossia “simile al katsura nella Luna”.

12 - Nel testo originale è scritto 湯津桂, dove i primi due caratteri sono usati con valore fonetico e corrispondono al termine yutsu, 斎つ, che in giapponese classico indicava qualcosa di consacrato e purificato.

13 - Tutti e tre i nomi cominciano proprio col carattere 火, fuoco, che in giapponese arcaico era ho, mentre oggi è hi

14 - Il norito dello Hishizume no matsuri, la cerimonia per la pacificazione del fuoco, ci conserva ad esempio una versione alternativa della storia della morte di Izanami, mentre lo Izumo no kuni no miyatsuko no kamuyogoto ci fornisce una versione alternativa del mito del kuni yuzuri, la cessione del paese alle divinità celesti, gli amatsugami