Adriano - racconti e altro

La galassia di Madre - 55

Hideki Einarsson uscì dall’ambasciata terrestre verso metà mattina in una giornata nuvolosa ma non troppo, in quella terra di nessuno stagionale in cui l’estate si prepara a sgomberare l’alloggio, dopo aver litigato parecchio col proprietario, e l’autunno è già arrivato, ma deve ancora disfare i bagagli e decidere in quale ripostiglio nascondere tutti i souvenirs imbarazzanti che si è portato dalle vacanze. Un periodo di umidità in transumanza, in cui si passa dall’afa soffocante alla nebbia appiccicosa; un periodo di temperature accettabili e cieli color candeggina usata; un periodo, anche, su cui soffiano in prevalenza venti da nordest, a volte forti, più spesso moderati, quasi mai davvero molesti.

Era un buon clima per camminare, nel complesso, almeno quando non pioveva, e Hideki camminò, senza fretta, osservando spesso il traffico degli insetti e ignorando il più possibile il traffico umano. La ricercatrice universitaria con cui aveva parlato due giorni prima gli aveva spiegato, con dovizia di particolari e un tono da moscone, che la migrazione verso sud di molte specie di insetti volanti si stava avvicinando e si sarebbe svolta a intervalli regolari nel corso di un mese: uno spettacolo molto interessante, lo aveva definito, e lui era intenzionato a osservarlo il più possibile da vicino. Non che si aspettasse di poter imparare chissà cosa su possibili usi strategici o militari che Svarga intendeva fare della presunta civiltà di insetti, ma nel corso dei mesi era arrivato a poco a poco ad apprezzare le forme di vita locali per quello che erano, non solo per gli usi che forse se ne potevano fare, e il fenomeno della migrazione sarebbe stato istruttivo.

Più istruttivo dell’incontro che gli toccava quella mattina, perlomeno.

L’ospedale sorgeva in un quartiere tranquillo di Guan Yu, in parte zona residenziale e in parte istituti di ricerca e sviluppo. Più altre cose, su cui Hideki non si era informato, perché non lo interessavano. Di ospedali in effetti ce n’erano almeno tre, per quanto ne sapesse lui, e uno di quelli era riservato agli stranieri: non perché esistesse una qualche forma di segregazione, ma solo perché i non nativi di Svarga tendevano a farsi ricoverare per cause molto più creative rispetto a chi aveva speso tutta la propria vita su quel pianeta, ed era pertanto utile trattarli separatamente, per garantire loro cure più rapide e nel complesso migliori. E limitare eventuali imbarazzi, talvolta.

L’ospedale per stranieri era la meta della sua camminata odierna.

Lo raggiunse quando proprio non poteva più tirarla per le lunghe strada facendo e non erano rimaste distrazioni a cui dedicarsi. Non c’erano insetti, in zona, e il vento stava passando dal moderato al forte, con punte di freddo che sembravano senzienti, capaci di infilarsi in ogni varco concesso dai vestiti. Sì, era decisamente meglio entrare, ormai. Hideki entrò con un sospiro.

Il paziente che cercava era al secondo piano, o così lo informarono all’ingresso. Stanza singola, per gentile concessione della fondazione Chen-Cohimbra, che richiedeva stanze singole per tutti i suoi dipendenti, temporanei o stabili che fossero. Hideki alzò le spalle. Ogni istituto aveva le sue manie: l’Ufficio per la Colonizzazione era anche peggio, per certi versi, ma non era importante. Importante era sbrigare al più presto la pratica-visita e tornare poi alle cose che contavano davvero. L’incarico di controllore per il planetologo era ormai alla frutta e la frutta si stava rivelando una prugna, con analoghi effetti sulla parte terminale dell’apparato digerente.

Bogdan Stratos era sveglio, o almeno aveva gli occhi aperti. Era disteso con tutta la scioltezza di un manico di scopa nel suo letto singolo di una stanza singola: testa leggermente rialzata, flebo a fargli compagnia, collo bendato a mummia, faccia di chi accoglierebbe con entusiasmo una estinzione di massa che distruggesse almeno il novantanove per cento delle specie viventi sul pianeta. Non diede segno di accorgersi del visitatore, quando entrò e sedette accanto al letto. Rimbambito dai farmaci, con ogni probabilità, ammesso che fosse possibile rimbambire ulteriormente una persona che aveva già dimostrato tutto il proprio rimbambimento naturale aggredendo un grosso insetto velenoso in un parco popolato dallo sciame dei suoi colleghi.

Hideki Einarsson scosse la testa. Non aveva avuto difficoltà a credere alla notizia, quando avevano comunicato all’ambasciata del ricovero urgente di un cittadino terrestre. Perché non avrebbe dovuto crederci? Era il genere di comunicazioni che ricevevano tutti i giorni, in ambasciata. Ciò che invece gli risultava difficile da capire era il perché, ma in fondo anche questo poteva essere spiegato senza troppi problemi. Frustrazione, voglia di sfogarsi, infantilismo, stupidità innata: pesca pure il motivo che preferisci e appiccicalo all’azione. Il risultato sarà un planetologo in un letto di ospedale, con la faccia un poco gonfia e gli occhi da merluzzo morto di stenti.

«Dunque le notizie sulla tua dipartita erano piuttosto premature,» disse, dopo che quasi due minuti erano passati, senza che il paziente avesse dato alcun segno di aver notato il visitatore. Non aveva voglia di tirarla in lungo, Hideki. Il suo compito era verificare le condizioni del fesso, scoprire le sue eventuali intenzioni per il futuro prossimo e poi tanti saluti, di ritorno in ambasciata. Il ministro Hass si era dichiarato sicuro che Stratos avrebbe deciso di tornare sulla Terra ed era sua intenzione spedirlo poi su Madre, una volta discussa la strategia migliore per studiare da vicino il nucleo dei giganti gassosi. Restava solo da sentire il parere del diretto interessato.

Il diretto interessato si girò finalmente a guardare il visitatore, senza cambiare espressione. «Se sei venuto qui a fare lo spiritoso, puoi anche tornare da dove sei venuto. Grazie,» disse Bogdan, anche se “sussurrò” sarebbe forse un verbo migliore per descrivere la sua azione. Qualunque cosa gli fosse successa, e in qualunque modo lo avessero curato, la sua voce sembrava fuori servizio: al suo posto c’era un bisbiglio alquanto rauco, da vecchio fumatore in fase terminale, oppure da personaggio che ama rintanarsi in stanze buie nelle storie dell’orrore, a seconda delle preferenze.

Hideki sorrise. «Bene, ho ottenuto la tua attenzione. Sai già quando dovrebbero dimetterti?»

«No. Non mi hanno detto niente. Non che abbia molto da fare, comunque.»

«Quello che hai o non hai da fare è affare tuo e dipende da te. Comunque ti consiglio di evitare per il futuro di assumete atteggiamenti aggressivi verso gli insetti locali. Servirà a risparmiarti non solo problemi di salute, come quelli che hai adesso, ma anche problemi legali, come quelli che potresti ancora avere. I problemi legali sono peggiori, credimi pure sulla parola.»

«Problemi legali? Perché, ho danneggiato una proprietà della fondazione, cadendo sul loro prezioso sentieri di ghiaia?» Dalla bocca di Bogdan uscì un verso che, in altre condizioni di salute, sarebbe forse stato uno sbuffo sarcastico; in quelle particolari condizioni, invece, suonò come un vecchio che si prepara a espellere un cospicuo grumo di catarro in una direzione a caso.

«No, non hai danneggiato una proprietà della fondazione Chen-Cohimbra. Non che io sappia, per lo meno. Hai però assassinato un insetto e questo, a seconda della specie, delle circostanze e di tutta una lista di altre cose da considerare, potrebbe costarti fino a un massimo di cinque anni di carcere. Per adesso. Esiste però una proposta di legge di aggravare questo reato, ma non so a che punto del suo iter parlamentare sia arrivata. Credo ancora piuttosto lontana, per adesso.»

L’espressione di Bogdan finalmente cambiò, seppure non in meglio. «Stai scherzando, vero? Non sono dell’umore giusto per spiritosaggini e battute varie, grazie.»

«No, non sto scherzando. Mi sono documentato proprio dopo aver ricevuto in ambasciata la notizia del tuo ricovero. È mio dovere come funzionario, sai. Uccidere un insetto è considerato omicidio, anche se il termine non è proprio felice e c’è una proposta per adattarne uno migliore, non essendo un uomo a essere ucciso, ma un insetto. Entomicidio, mi pare, o qualcosa del genere. Tutti dettagli linguistici che non hanno rilevanza, al momento, ma che potrai approfondire in seguito presso una qualsiasi università locale, se ne avrai voglia. No, direi che non ne hai voglia.»

La faccia di Bogdan aveva continuano a scurirsi, pur senza raggi solari ad abbronzarla. «No, non ne ho decisamente voglia. Non ne ho voglia adesso e non ne avrò voglia dopo.»

«Oh, non importa. A ogni modo, qui su Svarga prendono molto sul serio gli insetti, per cui è meglio che ti ricordi di trattarli bene. Spiaccicarne uno non è trattarli bene. Spiaccicare un insetto quando il resto dello sciame è nelle vicinanze, poi, non solo non è trattarlo bene, ma è stupido.»

«Lo sciame.»

«Lo sciame, sì. Ti risparmio i dettagli sulla specie, perché non mi sembri nelle condizioni fisiche o psicologiche per poterli apprezzare, ma sappi che la tua azione è stata più o meno equivalente a far cadere un nido di vespe e poi restare nei paraggi, per vedere cosa succede. Quel particolare tipo di libellula svarghiana, o pseudolibellula come sarebbe più corretto descriverla, non è paragonabile a una vespa terrestre, altrimenti adesso saresti probabilmente morto, ma ha comunque un carattere un po’... fumantino, diciamo così. Ed è molto protettiva.»

«Fantastico.»

«Su un piano prettamente entomologico sì, lo è, ma capisco che per una sua vittima il discorso può essere un poco diverso, soprattutto a caldo.»

Di nuovo lo sbuffo sarcastico malriuscito. «E quindi cosa farò, passerò dall’ospedale alla galera, per avere schiacciato una pseudolibellula, pseudovespa o quello che è?»

«No, ne abbiamo discusso con le forze dell’ordine e si sono dimostrate comprensive. Ritengono che tu sia già stato punito a sufficienza dai parenti della vittima e non ci sia bisogno di aggravanti della pena. A meno che tu non voglia ripetere il tuo gesto, sia chiaro, nel qual caso ci saranno aggravanti molto spiacevoli. E poi comunque la fondazione non ha sporto denuncia contro di te.»

Questo impiegò un certo tempo a depositarsi nella coscienza di Bogdan, o in qualunque altro posto certe notizie si vanno a depositare. «Denuncia.»

«Denuncia, sì. La legge svarghiana sugli insetti è alquanto complicata, per non dire bizantina, e di difficile comprensione, ma un legale dell’ambasciata mi ha aiutato a decifrarne le parti peggiori e pare che il proprietario del terreno su cui è avvenuto l’omicidio, o entomicidio, insetticidio, come lo preferisci chiamare, abbia diritto a denunciare l’assassino, soprattutto se la vittima appartiene a una specie di insetti per cui è stata preparata una struttura abitativa su quel terreno.»

«Mi stai prendendo in giro?»

«No, sto solo cercando di spiegarti cosa preveda la legge svarghiana a questo proposito, ma non mi chiedere perché funzioni così o chi abbia fatto la legge: non lo so. Se proprio sei interessato, però, ti posso mettere in contatto con un legale dell’ambasciata e potrai discuterne con lui.»

«Grazie, ma non me ne può fregare di meno.»

«Comprensibile. Ti consiglio comunque di non toccare altri insetti finché resti su Svarga: eviterai di farti nuovamente del male e soprattutto ti risparmierai possibili e spiacevoli beghe legali. È un fatto che i visitatori scoprono molto presto e di solito non dimenticano.»

«Oh, non li toccherò di sicuro. Non ho nemmeno intenzione di restare su Svarga, se è per questo.»

«Ah, hai deciso cosa fare da grande? Bene.»

«Voglio andarmene da questo pianeta di merda.»

«E tornare sulla Terra, al caro, vecchio Ufficio, per lavorare assieme a Vihersalo, giusto?»

«Lavorare assieme a Vihersalo preferirei evitarlo, se possibile, ma all’Ufficio ci dovrò tornare per forza, no? Ho accettato apposta di non pubblicare la mia scoperta, per far contento Leonardi.»

«E ottenere l’accesso a Madre, nonché i mezzi per studiare direttamente i nuclei dei giganti gassosi, non dimentichiamo. Beh, per questo dovrai attendere ancora un poco, come abbiamo già discusso in precedenza. Ora come ora, anche il dottor Leonardi è in ospedale, esattamente come te, anche se le sue condizioni sono più gravi e anche la sua stanza è ben diversa da questa.» E allargò un braccio a includere l’ambiente piuttosto scialbo e malinconico che li accoglieva.

«Posso immaginare. Grave quanto?»

«Questa è una informazione riservata, spiacente. Diciamo comunque che ne avrà per un pezzo e non è previsto che possa riprendere il proprio posto a breve termine. Non di persona, almeno.»

«Perché ci sono alternative al tornarci di persona?»

«Ci sono alternative, sì.»

«Ed è una notizia riservata, giusto?»

«Per certi versi. Comunque non è questo il punto. Formalmente, il Direttore Gemelos potrebbe darti tutte le autorizzazioni che ti servono e concedere anche l’uso di tutti gli strumenti che ti servono, se così dovesse decidere. Di fatto, però, sappiamo entrambi come stiano le cose: senza Leonardi, tutto è fermo. Anche se... Anche se.»

«Anche se cosa? Altra informazione riservata?»

«No, ma lavori in corso. A ogni modo, se sei deciso a tornare sulla Terra subito dopo le dimissioni dall’ospedale, mi attiverò per prepararti il viaggio. E informare chi di dovere,» aggiunse sorridendo.

«Tornerai indietro anche tu?»

«No, io ho ancora lavoro qui. Magari verrà la tua amica, ma la decisione è sua e, francamente, non mi interessa quale sarà, né in un caso né nell’altro.»

Bogdan annuì. Ovvio. Hideki Einarsson, famigerato funzionario di ambasciata, era stato spedito dal ministro Hass, faceva rapporto al ministro Hass e si interessava solo a quello che interessava sempre il suddetto ministro Hass. Anna Lindtner non era tra queste cose. «A me basta farla finita con questo pianeta, che non mi ha portato nulla di buono, e poter proseguire le mie ricerche.»

«Le proseguirai, questo è quasi certo. Incerti sono i tempi, semmai, specie col tuo amico professor Chang che ha cominciato la sua campagna per i mondi coloniali, ma in fondo potrebbe tornare tutto a tuo favore. Immagino che il dottor Leonardi vorrà sapere il più possibile su questi giganti gassosi, prima che mezza galassia venga a metterci il naso.»

«Staremo a vedere.»

«Allora buona visione.» Hideki si alzò. «Avvisami quando saprai il giorno in cui ti dimetteranno e io ti prenoterò il viaggio di ritorno. Dopodiché te la sbrigherai tu all’Ufficio. Salvo imprevisti, nel giro di un mese la situazione dovrebbe cominciare a normalizzarsi, laggiù, e sarà più facile parlare dei tuoi progetti per il futuro prossimo. E se poi non dovesse normalizzarsi... Ci penseranno altri, il problema non sarà comunque nostro, giusto?»

Bogdan non era proprio d’accordo, ma non rispose. Lasciò che il visitatore se ne andasse, poi tornò a contemplare il vuoto della parete di fronte. Muzafar Chang, il suo caro tutore, aveva almeno avuto il buon gusto e il buonsenso di non passarlo a trovare, ma gli aveva spedito un messaggio giusto il giorno prima. Condoglianze, pronta guarigione, palle varie. Lo aveva spedito dalla stazione di Yi-Wu, in cima all’ascensore spaziale, almeno secondo i metadati nel messaggio. Glielo aveva spedito mentre si preparava a partire per Rudra, dove avrebbe tenuto le prime conferenze sulla sua scoperta rivoluzionaria. La sua scoperta: sua di Bogdan, non di Muzafar.

Era anche stato l’unico a farsi sentire, dalla fondazione, e subito la cosa gli era sembrata strana. Ok, non aveva familiarizzato molto con gli altri ricercatori e ok, probabilmente qualcuno doveva anche sentirsi un poco in imbarazzo per il furto (o almeno così si augurava Bogdan), ma nessuno? Proprio nessuno? Neppure uno straccio di messaggio, una visita di pura cortesia, il tirapiedi di un qualche professore spedito in missione giusto per levarselo dalle palle per cinque minuti?

Proprio nessuno. Bogdan Stratos era in ospedale da almeno tre giorni, per quanto potesse ricordare, e in quei tre giorni aveva ricevuto soltanto una visita di persona: Hideki Einarsson, che era appena uscito. Anna gli aveva spedito due messaggi, vero, ma ancora non si era vista. In altre circostanze lo avrebbe trovato fastidioso, quasi offensivo. In quelle particolari circostanze, invece, gli confermava solo che non c’era più posto per lui sul pianeta. Pensiero un poco drastico e forse eccessivo, sì, ma più che motivato secondo il suo modesto parere.

Entrando nella fondazione Chen-Cohimbra, mesi fa, aveva pensato di essere arrivato in paradiso. Un paradiso non molto bello e dalle vivande discutibili, d’accordo, ma un paradiso della ricerca, per lui. Si era sbagliato. Vero, aveva fatto progressi, scoprendo nuovi particolari che all’Ufficio non gli sarebbe stato possibile scoprire, e aveva riprodotto le strutture organiche con un modello che era il più preciso possibile, basandosi solo su una osservazione dall’esterno. Da un certo punto di vista, lo doveva accettare come un passo avanti, un miglioramento, un qualcosa di positivo.

E Muzafar gli aveva fregato tutto. Col benestare del professor Hu Chen, nella migliore delle ipotesi; la sua complicità diretta nella peggiore. Alla faccia della delusione.

Era sempre perso in vaghi pensieri deprimenti e propositi di vendetta ancora più fumosi, quando il sonno farmacologico ebbe la meglio e lo portò con sé nel magico mondo dei sogni chimici che sono colonna sonora di ogni soggiorno in ospedale, soprattutto se ti hanno ricoverato col corpo imbottito di tossine aliene. Nella parentesi onirica vide scene, persone e cose troppo confuse per poter tentare di ricondurle a elementi reali, ma in fondo non aveva importanza: erano rigurgiti del cervello, né più né meno, e avevano lo stesso valore di un peto sonoro o un rutto potente, anche se essere immagini tendeva a ricoprirle di una patina più seria e poetica rispetto a emissioni gassose intestinali, almeno agli occhi di chi è incline a volerla cercare. Fosse come fosse, Bogdan si svegliò verso sera e nella sua stanza trovò due persone. Probabilmente reali.

«Ben svegliato,» disse una delle due persone, con una voce che gli ricordava quella di Anna. Poteva anche essere Anna? Difficile capirlo, quando sei ancora mezzo intontito e mezzo addormentato, e i tuoi occhi sono coperti da due strati di nebbia. Bogdan bofonchiò qualcosa in risposta.

«Credo che non sia ancora molto sveglio,» disse la seconda persona, che invece sembrava essere un uomo, o almeno una variante sul tema. «Forse è meglio passare dopo.»

«Se passiamo dopo, l’orario delle visite sarà finito. Vediamo se si sveglia davvero, prima; se non si sveglia, torneremo domani, magari, oppure gli lasceremo un messaggio.»

Frammenti di coscienza sgomitavano dentro al cranio di Bogdan per attirare la sua attenzione. Non ne attirarono molta, troppo forte l’effetto degli antibiotici, ma ne attirarono a sufficienza per dare un calcio alla porzione di cervello deputata al riconoscimento di sagome sonore e visive: la persona di apparente sesso femminile era Anna Lindtner, sì, mentre quella maschile... Chi era? Il suo amico, il tizio che si chiamava in un modo o in un altro? Probabile. Possibile. Qualcosa.

«Bere,» disse, in un linguaggio vagamente più comprensibile rispetto al suo primo tentativo. Aveva la lingua che non era proprio secca, ma sembrava foderata con qualcosa di sgradevole. La lettiera di un gatto, forse, o i calzini di spugna di un atleta dopo la gara. Qualunque cosa gli iniettassero con le flebo, prima lo faceva addormentare e poi lo svegliava in condizioni fisiche da catorcio arrugginito. Una terapia fantastica, davvero: da raccomandare al proprio peggiore nemico.

No, al peggiore nemico no, decise poco dopo. Non era abbastanza sgradevole e invasiva. Per il suo peggiore nemico ci voleva qualcosa che includesse l’aggettivo “gastrico” e se possibile “rettale”. In quel caso sarebbe stata molto più appropriata. Però era sgradevole, poco ma sicuro. Fastidiosa. Era anche un poco preoccupante, tutto sommato, perché...

Un bicchiere apparve, pieno di acqua. «Non so se è quello che volevi bere, ma è quello che c’era,» gli disse Anna. «Soddisfatto o rimborsato?»

Bogdan bevve, sollevandosi un poco. La gola continuava a fargli un male schifoso, probabilmente per tutte le punture che aveva nel collo, ma il sapore esiziale stava sparendo. Spariva sempre, dopo averci bevuto sopra, il che era tutto sommato un bene. Passare una intera giornata con quello schifo in bocca sarebbe stato...

«Sei sveglio, allora? O preferisci che passiamo domani?»

Bogdan si prese un altro breve intervallo per rimescolare i proprio neuroni e schierarli in ordine di battaglia, o almeno per riorganizzare le idee e prepararsi psicologicamente a sopportare visitatori. Ci stava perdendo la mano. Dopo avere trascorso un numero non ben precisato di giorni da solo, salvo un medico e qualche infermiera di passaggio, era come se avesse perso l’abitudine a dialogare. No, togliamo pure il “come se”: aveva perso l’abitudine e i farmaci non aiutavano.

«Tu comincia pure a parlare, se vuoi,» disse. «Io poi ti raggiungo quando riesco.»

«Non ti chiedo come stai, perché posso immaginare la tua risposta,» cominciò Anna. «A seconda di quanto sei lucido, mi diresti “male”, oppure “coricato”, giusto?»

«Qualcosa del genere, probabile.»

«Ti dirò allora che sei stato decisamente stupido ad attaccare briga con uno sciame di insetti. Cosa ti è saltato in testa? Non è un gesto che mi sarei aspettata, da te.»

«Essere coperto di punture non è un gesto che io mi sarei aspettato da una specie di libellula.»

«Non sulla Terra, d’accordo, ma qui non siamo sulla Terra, nel caso non te ne fossi accorto, oppure te lo fossi dimenticato. Quelle che si vedono nel giardino della fondazione sono una specie velenosa e dal temperamento non facile. Non aggressive, se lasciate stare, ma terribilmente difensive e non amano che un membro del loro gruppo sia assassinato. Mi pareva di averti detto di starci attento.»

«Probabilmente non ti stavo ascoltando.»

«Sicuramente non mi stavi ascoltando. Hai la brutta tendenza a non ascoltare mai le persone, se non parlano di te o di qualcosa che ti riguarda direttamente.»

«Comunque la fondazione ha deciso di non sporgere denuncia, il che è un problema in meno per te, non trovi?» intervenne la seconda persona, che aveva assunto la forma di Fung Mei anche agli occhi diversamente lucidi di Bogdan. «Il professor Hu Chen ha giudicato che tu fossi in uno stato mentale non facile, dopo gli ultimi giorni, e in ogni caso eri già stato punito a sufficienza dalle punture.»

«Che generoso. Penso che gli regalerò un rotolo di carta igienica, per ringraziarlo.»

Fung Mei lo guardò perplesso, poi si girò verso Anna, che alzò le spalle. «È fatto così, non badarci. Ha un senso dell’umorismo tutto suo. Per fortuna. Saremmo costretti ad abbattere molti esemplari di homo sapiens, se fosse contagioso.»

«Beh, ma assassinare un insetto è un reato piuttosto grave,» disse Fung. «Poi ci sono molte possibili attenuanti e aggravanti, per cui ogni processo diventa sempre una confusione terribile ed è meglio evitarne, se si può. Mi pare che il gesto del professor Chen sia stato molto magnanimo.»

«Forse è meglio parlare di altro,» disse Anna, notando il curioso modo in cui la faccia di Bogdan si spostava da un pallido-confusione verso un rosso-rabbia. «Ti hanno detto per quanto ne avrai? Non sono arrivate notizie, alla fondazione, e siamo un po’ preoccupati, perché le pseudolibellule hanno un veleno che può causare spiacevoli effetti collaterali nel sistema nervoso.»

«Fantastico. Hai altre buone notizie da darmi? Comunque no, per adesso sembra che mi abbia solo tolto la voce, ammesso che tu possa dire “solo”. Parlare sopra il sussurro è una fatica.»

«Non lo definirei proprio sussurro, a dire il vero: potresti doppiare un gessetto sulla lavagna, più che altro. Comunque nessuna data per le dimissioni?»

«Ancora no. A ogni modo, quando mi dimetteranno tornerò a casa. A casa sulla Terra, dico. Ne ho già avuto più che abbastanza di questo pianeta, grazie tante.»

«Tornerai a lavorare con Vihersalo? Mi sorprende.»

«Provvisoriamente, in attesa che mi mandino a esaminare direttamente il nucleo dei giganti. A fare da compagnia a quella manica di beoti con pettinature da deficienti non ci resto, stai tranquilla.»

«Spera che non ti ci mandino di persona a esaminare direttamente il nucleo dei giganti gassosi, per liberarsi di un rompiscatole come te.»

«Spiritosa. Comunque all’Ufficio ci tornerò solo temporaneamente.»

«Potresti restarci più di quanto pensi. Lo sai che per adesso il dottor Leonardi ha problemi di salute e non si può occupare dell’Ufficio, vero? Ogni progetto esterno che riguarda il sistema di Madre è e resterà in sospeso per tutto il prossimo mese, come minimo.»

«Ma alla fine si ripartirà e stavolta sarò io a pubblicare i risultati della mia ricerca.»

Anna guardò Fung Mei, che fissava la parete, palesemente a disagio. Avevano discusso del furto che Muzafar Chang aveva compiuto ed erano arrivati alla conclusione di evitare l’argomento, in futuro. Fung faticava a credere che Muzafar, persona rispettata e rispettabile, avesse rubato e pubblicato un lavoro altrui, spacciandolo per proprio, e Anna non riteneva che valesse la pena di arrivare al litigio per Bogdan, che in fondo non era poi così simpatico. Inoltre, come si sarebbe conclusa la storia non era affare suo: aveva svolto il lavoro che le avevano assegnato e al resto pensassero pure Leonardi, Vihersalo o chi per loro, fosse anche il soprammobile Gemelos. Sospirò.

«Buona fortuna per la tua ricerca, allora. Ti consiglio però di non sfogare le eventuali frustrazioni su altri insetti, né qui né su Madre, quando ci arriverai. Come dovresti aver capito da solo, è pericoloso per la tu salute.»

«Non ho sfogato le mie frustrazioni sugli insetti.»

«In questo caso, come mai avresti schiacciato una pseudolibellula?» chiese Fung Mei. «È un punto su cui c’è discreto interesse, soprattutto da parte di chi ne studia il comportamento e l’interazione con gli umani. Sappiamo che ne hai schiacciata una e da questo è partita l’aggressione, ma anche il tuo atteggiamento al momento dell’assassinio potrebbe avere la sua rilevanza, per capire meglio la loro psicologia. Potrebbero essere state innervosite dalle tue secrezioni ormonali, non so.»

Bogdan lo osservò come se fosse una curiosa specie di zecca appena scoperta tra le dita di un piede. «Come ho già spiegato al medico, ho schiacciato un insetto che continuava a ronzarmi attorno alla testa. Tutto qui. Potrei essere stato un poco più aggressivo del normale, dato il periodo di stress che stavo e sto tuttora attraversando, ma questo non fa di me un pluriomicida, nonché sterminatore di poveri, piccoli insetti indifesi. Soprattutto perché non sono né piccoli, né indifesi.»

«Ma è stato teorizzato che possono percepire la natura dell’aggressività di un assalitori, fiutando o “assaggiando” in altri modi gli ormoni secreti dal suo corpo. Una testimonianza chiara e precisa in merito potrebbe essere molto preziosa, da parte tua, per ampliare la nostra conoscenza degli abitanti originari del pianeta. La comunità scientifica di Svarga te ne sarebbe grata.»

Anna Lindtner trattenne il fiato e si preparò al peggio. Poi continuo a prepararsi al peggio, ma senza trattenere il fiato, perché la reazione di Bogdan si stava facendo attendere parecchio.

«Penso che la comunità scientifica di Svarga abbia già ottenuto molto più di quanto meritasse da me e non vedo perché dovrei contribuire ancora. Sarebbe magari il caso di restituire il maltolto, prima di chiedermi altro. Non trovi? Comunque, tempo che mi dimettano e non mi avrete più tra i piedi: contenti? Dovrete succhiare da qualche altro straniero, cari i miei scienziati svarghiani.»

«Penso che la tua posizione sia piuttosto ingiusta, non credi?» disse Anna. «Accusare tutti, solo per le colpe di un singolo. Voglio dire, capisco la tua frustrazione, ma resta comunque un atteggiamento non corretto. E poi vedrai che provvederà il dottor Leonardi a farsi sentire, non appena il suo stato di salute lo consentirà: chi ha fatto un torto a un membro dell’Ufficio ne pagherà le conseguenze.»

Bogdan scelse di non rispondere. Non era una buona idea litigare, non col mal di testa che gli stava salendo. Non aveva neppure senso, mal di testa o meno. Tempo una manciata di giorni, magari un paio di settimane, e Svarga sarebbe stato un pessimo ricordo dietro di lui. Perché sprecare tempo ed energie a discuterne, soprattutto se con gente che non voleva né ascoltare né capire?

Non lo sprecò. «Va bene, non importa, sia come sia. Il mio lavoro qui è finito e non ha senso restare ancora, non quando posso tornare all’Ufficio e magari convincere qualcuno a lasciarmi continuare i miei studi in un altro posto e con altri mezzi. Ne ho già parlato anche con Einarsson e pure lui è d’accordo. Comunque, questo riguarda solo me: tu fai pure come preferisci.»

«Certo che farò pure come preferisco, senza bisogno che me lo conceda tu,» rispose Anna Lindtner, nel modo meno sgarbato che le riuscì. «Non sono venuta qui a farti da dama di compagnia, ma per portare avanti una mia ricerca e la continuerò anche se tu tornerai sulla Terra.»

Bogdan sospirò. Con certa gente non si poteva proprio parlare: prendevano tutto quello che dicevi come se fosse una questione personale e neppure si degnavano di ascoltarti e capire ogni sottinteso in ciò che dicevi. Ah, come era ingiusta la vita con lui!

«Va bene, come vuoi. Adesso però preferirei riposare. Non so cosa ci sia nelle flebo che mi fanno, ma deve essere qualcosa che ti toglie la voglia di vivere, assieme alle tossine o quello che sono.»

«Sì, non hai una bella faccia: sembri qualcosa che è affogato nella tazza del gabinetto. Andiamo, e lasciamo riposare il catorcio,» disse, girandosi verso Fung Mei. Andarono.

Bogdan li seguì con lo sguardo fino a che non ebbero abbandonato la stanza, ossia per una manciata di secondi al massimo, quindi si rilassò nel letto. Per quanto il suo corpo gli rendesse possibile una qualsiasi forma di rilassamento, sia a letto sia altrove. Aveva preferito non informarsi sul numero di punture ricevute, ma i suoi muscoli si trovavano in quel fantastico stato di forma che raggiungi solo dopo essere stato utilizzato a lungo e con soddisfazione (altrui) come puntaspilli. O così sembrava a lui, ogni volta che tentava un movimento, anche solo per cambiare di poco la posizione a letto.

Sì, toccare uno di quei maledettissimi insetti era stata una pessima idea. Venire su Svarga era stata una pessima idea in generale, anche se all’inizio era sembrata fantastica. Ma tutte le pessime idee ti sembrano fantastiche all’inizio, no? È parte del loro status di pessime idee. Poi l’inizio passa e pian piano cominci ad accorgerti che fantastiche non erano. Se sei fortunato. Se non lo sei, è la realtà che ti sbatte nei denti tutta la stupidità della tua idea, molto prima che tu sia preparato spiritualmente per assorbirla. E i risultati... beh, non c’è bisogno di specificarli.

Sulla Terra, sì. A casa sulla Terra, dove almeno gli insetti li conosceva, sapeva a quali fosse meglio non avvicinarsi e quali invece potessero essere schiacciati senza pietà, come forma di antistress nei momenti in cui avresti voglia di schiacciare invece qualcosa di più grande e antropomorfo. Tipo un professore, giusto per fare un esempio a caso.

Lo dimisero una settimana più tardi e la sua prima tappa, all’uscita dell’ospedale, fu l’ambasciata terrestre, dove si recò su gambe ancora un poco acquee, ma in via di miglioramento. Prendere un mezzo di trasporto pubblico sarebbe stato molto più semplice, nonché meno faticoso, ma la giornata era bella e aveva voglia di muoversi un poco, dopo tutto il tempo sprecato a letto. La voglia di fare movimento gli passò quasi subito, più o meno assieme al primo insetto incrociato per strada: non volavano, vero, e non sembravano avere pungiglioni o altro, ma erano pur sempre insetti e Bogdan si era accorto di avere sviluppato un non sorprendente scarso amore per quelle forme di vita. Sì, la permanenza su Svarga era qualcosa da interrompere al più presto.

Hideki Einarsson lo accolse con qualche frase di circostanza, convenevoli da conoscenti che non sono proprio amici e probabilmente mai lo saranno, ma che le correnti del mondo hanno portato a dover collaborare per un certo periodo e così si arrabattano alla meglio. Come va, come non va, per la Terra c’è posto su un volo che parte tra nove giorni. Va bene? Benissimo, anche se Bogdan non si sarebbe lamentato di partire prima. Non aveva proprio fretta di tornare sulla Terra nello specifico, ma aveva fretta di lasciare quel posto in generale.

«Sicuro di aver finito il lavoro qui?» chiese Hideki, prima di confermare la prenotazione.

«Sicuro che il lavoro ha finito me. E poi non ho più niente da fare qui, come ho già detto.»

Sorrisi, pacca su una spalla, tanti saluti. La prossima tappa sarebbe stata sulla collina fuori città, alla sede della fondazione Chen-Cohimbra, dove era alloggiato, ma Bogdan aveva tanta voglia di essere là quanta ne aveva di sottoporsi a una lavanda gastrica. Pure, da qualche parte doveva trascorrere gli ultimi nove giorni sul pianeta, otto contando anche il tempo per raggiungere Yi-Wu e l’ascensore, e poi doveva recuperare i propri effetti personali, chiudere le ultime pratiche, palle varie. Svarga era un mondo orribilmente formale e c’erano pratiche per ogni cosa, sia all’arrivo che alla partenza. Era strano che non certificassero anche le tue tappe al gabinetto.

Scoprì poi che alle scartoffie non avrebbe dovuto pensare, perché se n’era già occupato Fung Mei al posto suo, su indicazione di Anna Lindtner. «Spero di non aver fatto qualcosa di sbagliato, ma Anna ha detto che non avresti cambiato idea e in ospedale sembrava che tu avessi parecchia fretta...»

Bogdan alzò le spalle. Un lavoro in meno per lui. «Tutto pronto, dunque? Non ho altra robaccia da compilare o firmare? Perché la nave partirà tra nove giorni e preferirei non perderla, grazie.»

«Tutto a posto, tutto sistemato. Almeno qui, ecco, poi non so, se hai bisogno di qualcosa per il tuo viaggio, magari non riesci a portare tutto, posso anche accompagnarti, sai.»

«Nessun problema, ci riuscirò. Anzi, penso che partirò in anticipo, così magari guarderò un poco Yi-Wu, mentre aspetto il mio turno per salire. Tanto per vedere altre parti del pianeta, sai.» E per non averti fra le palle, non aggiunse Bogdan. Vero, quel Fung Mei gli aveva fatto un favore e sembrava non essere poi una persona così insignificante come gli era sembrato all’inizio, ma appiccicoso lo era e non voleva dame di compagnia in viaggio, grazie tante. E poi, a dirla tutta, i planetologi della fondazione Chen-Cohimbra gli dovevano molto più di qualche stupida pratica burocratica smaltita al suo posto in anticipo.

Così Bogdan Stratos spese solo due giorni a Guan Yu, poi raggiunse la città equatoriale di Yi-Wu, dove un caldo orrendo lo accolse, e in quel clima malsano visse il proprio ultimo, breve periodo su Svarga. Un pianeta che non avrebbe rivisto volentieri e che non avrebbe rivisto proprio, se gli era consentito di esprimere una opinione a riguardo. La sola cosa che voleva, adesso, era di raggiungere la terra, per una breve sosta ai box, e ripartire al più presto per Madre, col benestare dell’Ufficio e i mezzi necessari a una esplorazione approfondita dei nuclei dei due giganti gassosi. O anche solo di uno: si sarebbe accontentato, almeno per il momento.

Il punto era riprendersi la sua scoperta. Muzafar aveva vinto il primo round, per adesso, e lo aveva vinto con mezzi che definire viscidi e ributtanti sarebbe stato un eufemismo, ma il prossimo round sarebbe stato suo. Basta studi da lontano: avrebbe esaminato direttamente i nuclei, per accertare una volta per tutte se ci fossero strutture organiche (cosa di cui era certo) e come fossero fatte (cosa su cui aveva qualche dubbio in più). E se poi avesse anche scoperto come si fossero formate...

Con questa speranza, Bogdan Stratos ripartì da solo per la Terra e la sede dell’Ufficio. Dove le cose non sarebbero andate proprio come desiderava lui, ma questa è un’altra storia.